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Quattro domande sulla crisi presente | 1/4 – Cosa sta emergendo da questa crisi?

Nota della redazione: pubblichiamo il primo di quattro articoli del filosofo spagnolo José Luis Villacañas Berlanga, Professore Ordinario dell’Università Complutense di Madrid, in cui si pone quattro domande intorno al significato, ai possibili sviluppi e ai nostri compiti di fronte alla crisi sanitaria, economica, sociale e di senso, che la pandemia di Covid 19 ha aperto.
Certamente, di fronte al coronavirus sta emergendo la realtà. In tutti gli aspetti. I più evidenti riguardano tutte quelle persone che in questo momento soffrono, temono, sperano, che si sentono indifesi e che confidano nell’unica cosa che possa ispirarle serenità e aspettative: gli altri, come loro. È il popolo minuto, che non può confidare nelle sue riserve di capitale, nelle sue entrature, nei suoi privilegi, nel suo potere. Può solo confidare in ciò che queste persone possono darle, dedizione, lavoro, sacrifico, sforzo. Questo è ciò che vediamo dietro agli applausi: speranza, gratitudine; perché sappiamo che potremmo stare lì, in una terapia intensiva affollata, con infermieri stressati, infettati, distrutti, con medici sull’orlo del collasso. Ma con questi applausi sentiamo che ci abbracciamo ad ogni sorriso, ad ogni buona parola, ad ogni gesto di incoraggiamento che questo personale regala ai nostri familiari, ai nostri amici, ai nostri padri e madri. Ci immaginiamo lì anche noi, dove stanno i nostri concittadini sofferenti. Immaginiamo di stare davanti alle porte degli ospedali, indifesi, mentre il personale sanitario risponde con una dedizione infinita e disinteressata. Questo cantano tutte le canzoni, e questo accompagnano tutti gli applausi. In questi vola l’affetto di un paese umile e solidale: verso quelle officine che sono passate da fabbricare tende a maschere gratuite; verso gli ingegneri che con una stampante 3D fanno respiratori; ma anche verso i contadini che raccolgono nel loro orto la loro frutta e la loro verdura. Fino a tre giorni fa erano affondati nel disprezzo del mercato. Oggi questi piccoli contadini non guardano se vanno verso la rovina. Riforniscono le nostre città e si sentono felici del fatto che sappiamo quanto siano necessari. Tutto questo emerge perché sempre stava lì. È il popolo minuto, quello che ha solo se stesso. È il popolo eterno. Quello che sempre si salva.
Ma non dobbiamo dimenticare però che altri sono imboscati. Non parlano. Non battono le mani. Ma altri stanno lì. Per il momento anonimi. Non sappiamo molto bene dove si rifugino, ma stanno facendo i loro calcoli. Sono i potenti, coloro che pensano come questo inciderà sul loro potere. Questa realtà va quasi indovinata, interpretata, ma sta lì. Chiaramente non disponiamo della loro razionalità, nemmeno nel momento in cui difendono i loro interessi. Hanno lasciato intravedere le loro intenzioni quando ci hanno detto che era giusto salvare il sistema produttivo ad ogni costo; quando hanno affermato che era necessario che la gente si immunizzasse a forza di contagi; quando ci hanno detto che ora siamo tutti soldati; quando hanno affermato che il virus era un’invenzione di un altro paese; quando hanno risparmiato sugli aiuti che si potevano dare; quando non hanno voluto fermare la produzione in quei settori non completamente necessari. Quando hanno giocato con i calcoli. Anche questo mondo tenebroso riemerge, e non dobbiamo occultarlo, quando si lancia un attacco contro i sistemi elettronici degli ospedali, quando si accaparra materiale sanitario, quando si mente su questo materiale, quando si truffano le istituzioni pubbliche che vogliono comprarlo. La realtà non cambierà a causa del virus. In un modo o nell’altro il virus è sempre stato lì. Di fronte alla necessità, la scarsezza, la penuria, lo sguardo attento verso il pubblico era la speranza della gente semplice prima che tutto questo esplodesse. Ora il pericolo non è la nostra esistenza precaria. Ora riguarda la vita stessa. Non ci sommerge in una vita misera. Ci porta alla morte. L’evidenza è tanto chiara che qualsiasi apparato ideologico deve azzittirsi di fronte al fatto nudo di ciò che ora è in gioco. Però, per quanto tempo ancora, queste canzoni, questi applausi, questa dedizione manterranno in silenzio quelli che pensano che questo faccia parte della lotta per la vita? Quanto impiegheranno i potenti a perdere la vergogna, ad usare alibi per tornare al vecchio discorso per cui viviamo al sopra delle nostre possibilità? Ora sappiamo in cosa, questo, si traduce. Semplicemente, nel vivere oltre il dovuto, oltre il momento della produttività, oltre lo sfruttamento. Quanto ci metteranno a tornare? Lo chiedo a me stesso anche se in realtà lo sappiamo: niente. Sono già qui. Lunedì 23 marzo il giornale spagnolo “Expansión” titolava: “in seguito alla recessione che si avvicina sarà inevitabile che si impongano ulteriori tagli”. Ciò che emerge da questa crisi è anche ciò che per adesso si occulta, ma si prepara. Ora dominano i sentimenti, la buona fede, la solidarietà, ma sappiamo che queste sono le dimensioni più incostanti dell’essere umano. Solo se riusciranno a tradursi in esperienze sapranno stabilizzarsi. E per questo si richiede l’apporto della ragione, della riflessione, del giudizio, di una costanza militante. Solo questo farà da argine a ciò che deve emergere. La nostra specie sopravvisse perché seppe riconoscere la funzione dei deboli, perché superò il darwinismo feroce. Questa crisi può essere l’opportunità per riconciliarci con ciò che ci permise di sopravvivere: gli anziani, le madri, i deboli, quelli che generarono la varietà di sentimenti d’affetto, di cura, di sensibilità, quelli che condussero all’arte, alla capacità simbolica, alla narrazione, al linguaggio. Ci dimostra, però, anche che c’è qualcosa di più arcaico in noi, che dobbiamo al cammino evolutivo della nostra vita. Anche questo strato è reale, fa parte della lotta per la vita, e degli elementi darwiniani innegabili. Dobbiamo alzare con fermezza la voce affinché questi elementi e questo strato arcaico non si impongano. Il nostro passato si è costituito non cedendo crudamente a questo schema predatorio. Non costruiamo la nostra ideologia con i materiali pulsionali che dovemmo lasciare indietro. Oggi il neoliberalismo non può presentarsi liberamente, ma senza dubbio questa crisi avrà anche un’interpretazione neoliberale. E dobbiamo essere preparati a contrastarla. E questo significa essere pronti a reagire contro questo artefatto ideologico che è il darwinismo, il quale le serve come base e legittimazione di chi è più forte economicamente per la sopravvivenza.
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