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L’Unione Europea o della sindrome della Bella Addormentata

Sono questi i giorni in cui molte persone stanno mettendo in dubbio l’ortodossia dell’europeismo a causa della crisi provocata dal Covid-19. Come spesso capita ogni illusione viene interrotta solo dal brusco risveglio provocato dalla realtà. Se il sonno del buon senso ha provocato sogni meravigliosi all’inizio di questa lunga ritirata degli stati nazionali e dei partiti eredi del marxismo, il risveglio di questi anni rischia di portare solo turbamento e una nuova fuga dalla realtà. È un po’ come Matrix (1999): non tutti sono pronti a disconnettersi, non tutti sono disposti a lottare per la propria libertà. Alcuni anzi sono così aggrappati all’illusione da combattere per essa. Mai metafora fu più calzante. Tuttavia, la crisi che stiamo vivendo non è la prima, possiamo però pensare che sia l’ultima e già il fatto di poterlo pensare dimostra la magnitudine della crisi stessa.
Basta gironzolare per i giornali mainstream o per i social per capire che questa volta la paura investe tutti e che le blande rassicurazioni di sempre non bastano più. Perfino il più inadeguato dei presidenti del Consiglio, Giuseppe Conte, un uomo finito lì per caso, di fronte alla minaccia del MES si è ritratto e combatte una guerra silenziosa con il suo ministro dell’Economia, quel Roberto Gualtieri in missione più per conto di Bruxelles che di Roma, che neanche quattro mesi fa ci spiegava quanto il MES fosse un meccanismo utilissimo per l’Italia e non la trappola che – in questi giorni – va evitata a tutti i costi. Dicevamo però che la crisi di queste settimane non è la prima crisi: la prima vera crisi è stata quella all’indomani della crisi dei debiti sovrani del 2008, crisi da cui gli Stati Uniti sono usciti in un paio d’anni grazie a politiche espansive senza condizioni e garantite dalla propria banca centrale (politiche sostanzialmente in continuità sia sotto Obama che nel primo mandato Trump e che hanno garantito più di dieci anni di crescita ininterrotta, un unicum anche per la storia americana) e che verranno certamente rilanciate per far fronte a questo nuovo imprevisto (addirittura con scelte mai viste come l’helicopter money per tutti i redditi sotto i 75mila dollari). L’Europa invece ha annaspato per diversi anni per soddisfare un patto di stabilità continentale che se mai ha avuto un senso, lo ha perduto definitivamente nel decennio scorso. Tempo e risorse umane sprecate per non mettere in discussione l’ordoliberismo tedesco e dei paesi del nord Europa, regole inumane che determinano con chissà quale calcolo che il 10% di disoccupazione in Italia è strutturale e anzi auspicabile per impedire che i salari crescano.
L’intera architettura europea del resto è basata non sulla collaborazione tra stati, ma sulla competizione: basta vedere l’Olanda, ma anche il Lussemburgo, che depreda il resto d’Europa comportandosi da paradiso fiscale, dando asilo alle grandi aziende che non hanno voglia di pagare le tasse laddove producono ricchezza. Un danno stimato tra i 10 e i 20 miliardi di euro all’anno. I liberisti diranno: cosa ci costa farlo anche noi? Ci costa che noi le aziende le vogliamo per la capacità di mobilitare investimenti sul territorio, di arricchire il capitale umano e siamo disposti a spendere in questa direzione, ma poi questa spesa e la ricchezza prodotta grazie a quel tessuto sociale va ripagato e redistribuito. L’Olanda invece si comporta come un parassita: prende senza dare, scarica i propri costi sugli altri, tiene così i propri conti in ordine e oggi può permettersi di fare la morale sui nostri conti. Che ci siano spese pazze in Italia è indubitabile, che i nostri dirigenti statali siano strapagati è un fatto, che la rendita non sia tassata come sarebbe opportuno è sotto gli occhi di tutti, ma siamo anche costretti – da quel patto scellerato sottoscritto dai nostri padri – a sottrarre risorse su risorse per mantenere in piedi un vincolo senza senso, quello del 3%, mentre paghiamo oneri sul debito che – inspiegabilmente – pur essendo denominato in Euro come quello tedesco e olandese, non gode dei medesimi tassi di interesse. Tutto questo, anno dopo anno, ci ha portato alla presunta fragilità dei nostri conti pubblici. Eppure, la larghezza dei patrimoni privati in Italia è la spia di una società ricca, certo sempre meno e sempre più costretta ad intaccare i piccoli patrimoni di famiglia per restare a galla mentre lo Stato taglia sulla sanità, sull’istruzione e sulla pubblica amministrazione. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti, il conto da pagare, sarà salato e nonostante l’Italia abbia già superato la quota dei sedicimila morti (ufficiali), l’idea di fare dell’Unione Europea una casa comune in cui ciascuno mette quel che ha e tutti insieme pagano quel che c’è da pagare, non sfiora né le istituzioni comunitarie né i ricchi paesi del nord Europa. Quel che c’è di più tragico però non è questo, ma i cantori della bella Unione che ancora ci sperano dopo il massacro della Grecia nel 2014, o la crisi dei migranti degli anni scorsi (e che perdura). A valle tutti a chiedere scusa, a monte tutti con la faccia arcigna del “se lo sono meritato”. Se nemmeno dopo la grave umiliazione del paese che ha inventato la parola stessa “Europa”, o l’aver guardato senza scomporsi le migliaia di morti nel Mediterraneo, dopo che le istituzioni comunitarie sono silenti di fronte alle involuzioni autoritarie dei paesi dell’Est e mentre foraggiano lo pseudo dittatore turco per non farsi infastidire dai profughi siriani (salvo poi essere ostaggi del suddetto despota), ancora si vuol credere che la UE sia la cura e non la causa di questa crisi. E allora buonanotte cari europeisti, dormite pure cullandovi nel vostro sogno, ma almeno non disturbate chi cerca una alternativa…
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