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La prospettiva italiana tra equilibri europei e nuove forme della globalizzazione. Intervista a Pino Cabras


9 Apr , 2020|
| Visioni

Quali sono gli equilibri e i rapporti di forza italiani ed europei in gioco in queste giornate di trattative e di stallo in seno all’Eurogruppo e tra i paesi dell’eurozona? Questa crisi sanitaria ed economica sta detonando tensioni da sempre presenti nella UE, ma che fino ad ora erano state più volte coperte e taciute. Quello che osserviamo è uno sgretolarsi della costruzione politica ed economica europea, proprio nel momento in cui essa avrebbe dovuto mettere in campo strumenti e modalità nuove di affrontare la crisi. E quali saranno i nuovi equilibri, i rapporti internazionali e le nuove forme della globalizzazione che verranno fuori da questa crisi? Ne abbiamo discusso con Pino Cabras, deputato del Movimento 5 Stelle e membro della Commissione Affari Esteri della Camera, tra le voci più informate, all’interno del suo gruppo parlamentare, degli equilibri europei e internazionali in cui è stretta l’Italia. 

Il governo italiano sta giocando una battaglia fondamentale in seno all’Eurogruppo. Trapelano in queste ore di trattativa alcune indiscrezioni e informazioni poco chiare e discordanti. 

[Cabras] Sì, c’è molta confusione almeno sulle notizie che trapelano. È chiaro che c’è una tendenza soprattutto da parte degli olandesi a far valere una posizione rigidissima: loro stanno lavorando, in questo senso, anche per conto della Germania. La Francia è in una posizione più mediatrice perché vuole portare a casa, comunque, una forma di Eurobond. E l’Italia è rigida sull’idea che non debbano esserci condizionalità di nessun tipo e che quindi non debba esserci il MES. Qualcuno lavora per l’ipotesi del MES con condizionalità, solo che non è possibile proprio per lo statuto del MES ed è una trappola in cui è bene non infilarsi.

Quanto misure come i prestiti della BEI o del fondo SURE per la disoccupazione sono sul tavolo di questa trattativa? 

Sono sul tavolo della trattativa perché sono sistemi che, anche se lo SURE è nuovo, provengono dal vecchio apparato di strumenti dell’Unione Europea, che hanno un raggio d’azione limitato per situazioni “normali”, mentre ora siamo di fronte ad una situazione eccezionale: sono mezzi piccolissimi, inadeguati, imperfetti, non che esista la perfezione in natura. E, tuttavia, ci sono molte banche centrali in giro per il mondo che stanno sparando cifre enormi per ovviare alla carenza di liquidità in questo momento. E quindi ogni strumento che sia tirchio, come quelli che vengono proposti e hanno anche un retropensiero di debiti da far pagare, sono strumenti inadeguati da non accettare. 

Di fronte all’esiguità delle misure introdotte dall’Unione Europea e alle tensioni in atto in questa trattativa, qual è la posizione del Movimento 5 stelle? C’è una posizione univoca del suo partito rispetto all’azione del governo italiano? 

È la posizione che è passata anche nelle parole, piuttosto solenni, del premier Giuseppe Conte, nel momento in cui ha detto il MES è uno strumento del passato che non serve più, che non è adeguato alle sfide che abbiamo di fronte. In questo momento noi dobbiamo lottare per ottenere strumenti straordinari, che portano a modificare la struttura stessa del tipo d’intervento dell’Unione Europea, se l’Unione Europa raccoglierà questa sfida. Altrimenti, come ha affermato Conte raccogliendo una posizione del Movimento 5 Stelle, faremo da soli. 

Quando parla di strumenti straordinari, si riferisce alla possibilità che la BCE acquisti in maniera diretta e non sul mercato secondario i BTP italiani, o pensa piuttosto all’emissione di Eurobond? 

Parliamo di emissione diretta, che oggi avviene sul mercato secondario con l’acquisto di titoli e che ha un effetto calmierante nei confronti degli spread, consentendo di coprire le banche in affanno per coprire la liquidità. Però non è sufficiente. Servirebbe un’emissione diretta che, però, non è al momento nella natura della Banca Centrale Europea, né nel suo statuto. Cambiare lo statuto implicherebbe un processo di negoziazione lungo e incompatibile con i tempi che, invece, sono necessari adesso. Questa è, quindi, una delle ragioni per cui con altri colleghi, prima della crisi del Coronavirus, avevamo proposto l’introduzione di una sorta di moneta fiscale o certificati di compensazione fiscale: uno strumento che permetterebbe d’immettere liquidità, da non considerare debito, da poter essere esclusa dal perimetro di Maastricht anche per centinaia di miliardi di euro l’anno. Allora questo tipo di misure che un tempo sembravano futuribili, eterodosse, ciò a cui era abituata l’Unione Europea, oggi diventano uno strumento praticamente indispensabile. Perché fin quando non cambia lo statuto della BCE, noi abbiamo delle vie intermedie che possono portare a significativi risultati, ma che sono insufficienti rispetto alla rapidità che possono mettere in campo la Bank of Japan e la Federal Reserve. 

Quanto i cosiddetti minibot proposti dell’Onorevole Claudio Borghi della Lega potrebbero rispondere a quest’esigenza? Del resto, si tratta di uno strumento già approvato dalla Camera. 

Era stata approvata una misura dall’Aula, anzi proprio una risoluzione, che impegnava il governo a trovare degli strumenti di compensazione fiscale: non si chiamava minibot, ma sostanzialmente ricomprendeva anche quelli. Fu approvata all’unanimità, votarono tutti. Alcuni quando si accorsero della portata della questione si rimangiarono tutto. Ricordo tra il PD chi diceva “mio Dio, cosa abbiamo votato!”. La proposta di Borghi in realtà rispetto ai certificati di compensazione fiscale ha un raggio più limitato, perché è la trasformazione dei crediti dei fornitori della Pubblica Amministrazione in strumenti di pagamento, cosa che sarebbe già importante. Ma non si tratterebbe solo di questo con i CCF. I CCF sono degli sconti fiscali differiti che scatterebbero tra due anni e che potrebbero, però, nel frattempo circolare tra chi è disposto ad accettarli. Se tra chi è disposto ad accettarli c’è lo Stato e li accetta per compensare delle imposte, oppure grandi aziende della sfera pubblica come l’Enel, o influenzate comunque dallo Stato come l’Eni o altre, allora risulta appetibile per smuovere l’economia. Diventa una moneta complementare che non si sostituisce agli strumenti attuali, che sono regolati dalla legge, dagli statuti e dai trattati, ma si aggiunge ad essi, come del resto già ce ne sono: abbiamo l’esempio che io conosco bene nella mia terra del sardex, che funziona benissimo, ha una velocità di circolazione elevata ed è uno strumento di pagamento efficace. I CCF avrebbero in più la protezione dello Stato.

In effetti, vista l’urgenza e la necessità dettata dall’attuale crisi sanitaria ed economica, i CCF sarebbero uno strumento da adottare in tempi rapidi: cosa ne impedisce l’attuazione in questo momento?

Veniamo da decenni in cui in un certo senso vigeva un pensiero unico, in cui tutte le università e tutte le facoltà di economia convergevano nell’idea che c’era un unico mondo possibile: quello dell’austerity. Rimuovere tutto un sostrato di abitudini culturali che è durato a lungo e che ha fatto costruire anche delle carriere intorno ad esso non è semplice. In questo momento molti stanno cambiando idea, persino Draghi ha rinnegato metà delle sue idee. Però non è facile smuovere l’idea che tutto questo sia possibile, che si possa osare fino a questo punto. Solo che c’è una necessità della storia che è immediata e rapidissima. Vorrei ricordare che fino a un mese e una settimana fa c’erano solo undici comuni chiusi in quarantena e oggi ci sono tre miliardi e mezzo di persone in tutto il mondo. È avvenuto molto in fretta tutto questo. Quindi la rapidità della storia sta bruciando le case e dovrebbe indurre a non avere più le prudenze di un tempo rispetto alle novità e all’innovazione finanziaria. L’Italia è stato un paese che nella storia ha avuto grande capacità d’innovazione finanziaria: lo stesso termine banca è un termine che deriva dall’italiano ed è lo stesso per tutte le lingue del mondo. 

Un dato di questa crisi sanitaria ed economica è che sta facendo crollare l’impalcatura dogmatica del pensiero neoliberista. Tuttavia, anche all’interno del governo italiano e delle strutture dirigenziali dei ministeri e, in particolare del ministero dell’economia e delle finanze, c’è chi spinge per la conservazione di alcuni di questi dogmi. Sono note, ad esempio, le posizioni inizialmente favorevoli al ricorso al MES del ministro Gualtieri, o il ruolo giocato in tal senso dal direttore generale del Tesoro, il dott. Rivera. Qual è la sua valutazione e quale quella del Movimento 5 stelle in proposito? 

Possiamo dire che il M5S ha conquistato il governo, ma non ha conquistato il potere. Il potere risiede anche in strutture più profonde dello Stato – qualcuno lo ha definito uno Stato profondo – che possiede una resistenza, delle solidarietà burocratiche, a volte opache, che resistono e si fanno scudo di prassi che perpetuano certi meccanismi di funzionamento, resistono al cambiamento, resistono alle direttive che vengono date. Io credo che in questo momento ci sia un problema nella struttura del ministero dell’economia e delle finanze di comprensione delle necessità storiche molto grandi che abbiamo di fronte. Hanno vissuto in un ambito protetto dallo scudo europeo, protetto per loro, un po’ meno per l’economia italiana. Ma questa cosa ormai è finita, bruciata dagli eventi. E su questo si pone, quindi, un problema molto serio di organizzazione burocratica profonda dello Stato, cambiamento di attitudini, di deburocratizzazione. La digitalizzazione ad esempio consentirebbe, ad esempio, già oggi, di fare dei conti correnti associati a ogni codice fiscale italiano e poter offrire in questo modo anche della liquidità ai cittadini, all’occorrenza. Per realizzarlo servirebbe magari un accordo con le banche, perché hanno già un’infrastruttura pronta, ma dobbiamo arrivare a questo, a un sistema in cui le resistenze di un certo mondo vengono superate dalle necessità della nuova fase politica.

Non crede che ci sia un problema di tenuta democratica del paese, laddove apparati e strutture dirigenziali dello Stato, che non possiedono legittimità elettorale, possano incidere così profondamente in questioni politiche ed economiche che hanno un così forte impatto sulla vita dei cittadini?     

Questo è vero in generale per tutte le forme di organizzazione dello Stato, in cui una tecnostruttura ha una capacità di muoversi in maniera indipendente dalla politica. E questo è anche un limite della politica che a volte non riesce a programmare la propria visione in là negli anni e guarda solo alla scadenza elettorale più ravvicinata: questo è un problema generale di come funzionano le democrazie occidentali legate ad obbiettivi molto corti, quando ci sono realtà che richiedono un cambiamento più lungo. E poi c’è il legame strutturale con una struttura davvero non democratica come l’Unione Europea, in cui troppe decisioni sono state demandate a entità che non rispondono a nessuno. Dal momento che la sovranità monetaria non ha nessun contatto diretto con la rappresentanza democratica, è chiaro che il potere è emigrato in altre direzioni. 

A proposito di sovranità monetaria e legandola a quanto viviamo in queste settimane, stiamo vedendo persone che a causa delle misure di sicurezza non possono lavorare nemmeno a distanza, che non hanno più soldi per fare la spesa, mezzi per sostenere le proprie famiglie. Questo stona particolarmente nel momento in cui un paese come gli Stati Uniti ha introdotto misure straordinarie, quali quella dei mille dollari a cittadino, o ancora dalla Gran Bretagna e da paesi europei come la Francia e la Spagna che garantiscono più dell’ottanta per cento del salario, non soltanto ai dipendenti pubblici, ma anche a quelli privati. Perché, invece, un paese come l’Italia non può sostenere i propri cittadini e le proprie imprese?

Quello che è stato disegnato, tralasciando tutte le questioni economiche accumulatesi negli anni, è un problema di liquidità. In questo momento la liquidità la può garantire un sistema monetario che può decidere di emettere tutta la moneta che serve per le esigenze del momento. L’Italia da molti anni ha una moneta straniera, di questo si tratta. L’euro è una moneta per la quale è necessario indebitarsi per averla. E questo è un problema non risolvibile da un istante all’altro. All’interno di un sistema di questo tipo l’Italia può avere di meno di paesi che hanno avuto dei margini di manovra fiscale maggiori. Perché per anni ha funzionato anche un rapporto di forza tra paesi del Nord Europa – la Francia è un caso intermedio – e paesi del Sud Europa, per il quale i paesi con un alto debito pubblico come l’Italia venivano penalizzati. Mentre ci sono paesi come la Germania o i Paesi Bassi che hanno un altissimo debito privato che non viene calcolato nei criteri che potrebbero poi portare ad imporre regole di austerity. E quindi loro hanno oggi una manovra potenziale maggiore e vogliono tenersi questo privilegio, non vogliono che l’Italia possa in qualche modo riequilibrare i rapporti di forza. Pochi giorni fa ho presentato un’interrogazione parlamentare sul fatto che la Banca Centrale Europea sta prendendo a prestito moltissimi dollari, parliamo di centinaia di miliardi di dollari, e paga un interesse anche molto elevato nei confronti della Federal Reserve. Questi soldi a cosa servono? Sono soldi che presta a banche del Nord Europa che sono parecchio indebitate e che hanno problemi ad approvvigionarsi di dollari sul mercato interbancario. Perché per queste operazioni non si applicano gli stessi criteri rigidi che sono stati utilizzati nei confronti della Grecia o con i memorandum in qualche modo imposti all’Italia? È chiaro che ci sono dei rapporti di forza squilibrati: sono nodi che vengono al pettine in questo momento drammatico.

Nel 2012 l’Italia si è autoimposta un limite alla sua possibilità d’indebitamento, attraverso la modifica attuata dal governo Monti dell’art. 81 della Costituzione e l’introduzione del principio del pareggio di bilancio, allora votato da tutta la maggioranza di centro destra e di centro sinistra. Come valuta la proposta di legge costituzionale a firma Borghi-Molinari presentata alla Camera poche settimane fa, a cui si è aggiunta quella di Stefano Fassina concernente l’eliminazione di quel principio?

Sono favorevole a questa revisione costituzionale. Quando fu attuata fu un errore tragico, oltre che per alcuni un atto criminale, a danno dell’impianto della Costituzione italiana. Possiamo dire che la Costituzione italiana è incompatibile con il pareggio di bilancio, perché deve sì garantire la copertura delle sue spese, ma non in quella forma che non garantisce la funzione sociale dell’impresa o tutte le norme progressive che servono per fare una politica economica di tipo keynesiano. Quindi sono favorevole a quella norma. Voglio capire la posizione reale della Lega, perché il primo firmatario, il relatore della legge sul pareggio di bilancio fu Giorgetti che era esponente della Lega. Ben vengano i ripensamenti! 

Non pensa che questa battaglia possa essere ostacolata all’interno di una maggioranza che conta il Partito Democratico, che fino a pochi giorni fa spingeva e premeva per il ricorso dell’Italia all’attivazione del MES, mentre oggi ha una posizione non del tutto chiara in cui sembra essere tornato indietro rispetto a queste posizioni? 

Sì, scontiamo anche qualche mancanza di chiarezza del PD su questo tema. E qualche retropensiero di alcuni dei suoi dirigenti sull’idea che tutto l’impianto dell’Europa non sia da mettere in discussione, che alla fine è meglio prendersi anche poco, piuttosto che prendersi niente. Però, in realtà, quel poco avrebbe un prezzo insostenibile per il futuro dell’Italia. Questa cosa si sta facendo strada anche in molti dirigenti del PD che non stanno più credendo a un certo modello di Europa che è stato affrontato troppo acriticamente. Voglio dirlo: è una critica che posso fare adesso con una certa energia. Vedo ancora qualche figura, in particolare Gentiloni – sarà perché in quel ruolo – o Gualtieri che deve tenere conto anche della sua tecnostruttura, cioè del MEF, che sono ancora legati a un certo mondo, ma bisogna superarlo. 

Da questo punto di vista la pandemia sta facendo crollare un apparato dogmatico che era stato costruito negli ultimi decenni, come anche l’appartenenza acritica all’Unione Europea senza mai essere messa in discussione sta venendo meno. Lei faceva riferimento a un’espressione che ha utilizzato anche il presidente Conto, ovvero al “faremo da soli”. Ma l’Italia è pronta a poter far da sola? E, soprattutto, ha in questo momento dei rappresentanti del governo che siano in grado di affrontare un far da soli?

La Pandemia è stato un evento terribilmente traumatico che ha precipitato l’Italia in una situazione paragonabile a quella che potrebbe avere in una guerra mondiale. La prospettiva d’avere un meno 10 o un meno 15 per cento di PIL è qualcosa che travolge tutto dal punto di vista delle prudenze del passato.

Anche in termini di vite umane quello che l’Italia sta pagando non lo ha pagato, forse, dalla Seconda guerra mondiale.

Potenzialmente il rischio era quello. E se fosse saltato il sistema sanitario e non si fosse diluita la velocità del contagio avremmo avuto la prospettiva di centinaia di migliaia di morti. Ma non solo quello. Sarebbe saltato il sistema sanitario, la sua capacità, cioè, di curare anche le altre malattie. Già oggi ci sono dei problemi di questo tipo. Ed è qualcosa che non viene sostenuta da una società come questa. Quindi, siamo di fronte a una sfida estrema che richiede un coraggio e un cambiamento, che siamo pronti oppure no. Lei mi dice “Siamo pronti”? Non lo so. Molto spesso quando qualcuno adombrava l’idea di un piano b, allora si alzavano degli strilli come delle aquile da parte di tutte le redazioni dei giornali italiani, gli stessi che oggi dicono che il governo dovrebbe fare di più. E quindi il fatto di dover scegliere di fare da soli può essere una costrizione, però può essere anche l’unica scelta che ci rimane. E sarebbe una sconfitta incredibile per l’Europa. Perché, se l’uscita da un’architettura istituzionale, come quella attuale dell’Europa, fosse traumatica, ne pagherebbero un prezzo elevato anche paesi come la Germania o l’Olanda che vorrebbero conservare tutti i dividendi degli attuali assetti di potere. E io mi chiedo, la Germania dove le vende le sue Mercedes in questo momento? Nel momento in cui c’è un crollo del mercato automobilistico del 90%, con la California chiusa, lo Stato di New York chiuso, con la Russia chiusa. Credo che farebbero bene i tedeschi e gli olandesi a evitare un’uscita traumatica. Però se saremo costretti lo dovremo fare, sapendo che non è il paese di Bengodi. Qualcuno si illude che l’uscita traumatica dall’euro possa essere un evento semplicemente salutare, ma non è così, ci sarebbero anni e anni traumatici per l’Italia. Sarebbe bene che il cambiamento necessario di alcuni strumenti, di alcune leve della politica economica europea potesse essere un po’ graduale, che potesse esserci il paracadute. Però, vediamo se la rigidità di quelli cha hanno avuto il potere nelle decisioni europee è tale da impedire un passaggio ragionevole. 

Ma nell’eventualità di un “faremo da soli”, l’Italia si ritroverebbe come la Grecia nel 2015 senza alcun sostegno internazionale, o godrebbe di appoggi e coperture internazionali?

Rispetto alla Grecia l’Italia ha una struttura economica e una dimensione difficile anche da paragonare. La Grecia era un paese che esportava un po’ di formaggio salato, un po’ di verdura e aveva uno straordinario patrimonio turistico, che poi è stato praticamente acquistato dalla Germania in modo selvaggio. È stata un po’ un’Ancheluss simile a quella che ha fatto con la Germania dell’Est vent’anni prima. La prospettiva è diversa, perché l’Italia ha un risparmio senza paragoni fra i paesi occidentali. Quindi ha una capacità di mobilitazione di risorse interne notevole, che potrebbero diventare anche l’architettura di un nuovo sistema di liquidità, potenzialmente anche di una nuova moneta, perché no. Questa è un’opzione che bisogna pensare sul tavolo. L’Italia ha più mezzi di altri paesi, ha dei fondamentali migliori, ha una manifattura che è in grado di riprendersi e di avere dei punti di forza di livello internazionale. Si possono fare degli accordi, certo. Ad esempio, una cosa che suggerirei in una circostanza di rottura traumatica indotta da Germania e Olanda è fare un accordo swap con gli Stati Uniti e la Cina, in modo che la moneta abbia un ancoraggio rispetto a quelli che stanno facendo un Quantitative Easing notevole per rispondere alla crisi.    

Ritiene che l’Italia potrebbe godere di appoggi più favorevoli da parte degli USA, o piuttosto dalla Cina?

L’Italia è custode di molti equilibri europei. L’Italia è paese fondatore dell’Unione Europea e prima della Comunità Europea, è paese cofondatore della Nato ed è nella Nato. Ora, io non ho avuto in passato grandi simpatie per la Nato, non le ho neanche oggi rispetto a certe sue funzioni. Però, dico, l’Italia è parte di un’architettura istituzionale in cui le capitali che contano non sono solo due, Parigi e Berlino. Berlino ha otto carri armati funzionanti, fortunatamente. E questo segna una differenza rispetto agli anni Quaranta o agli anni della Prima guerra mondiale. E c’è una situazione di equilibri europei da garantire, molto più delicata, in cui le forzature tedesche e olandesi non sono l’unico elemento da mettere nella bilancia. 

Come valuta l’azione cinese in questa fase. Se, da un lato, gli Stati Uniti di fronte alla pandemia si sono chiusi al loro interno, abbandonando il loro essere stati una potenza globale, la Cina ha agito da potenza internazionale, inviando soccorsi medici a chi ne aveva bisogno come l’Italia. Non crede che gli equilibri internazionali si stiano spostando sempre più verso la Cina a scapito degli USA?

Su questa cosa mi capita ultimamente di litigare spesso con i sinofobi, ce ne sono parecchi per la politica italiana, che sembra non si siano accorti di cosa sia accaduto negli ultimi quarant’anni, di cosa è diventata la Cina negli ultimi quarant’anni. La Cina è un paese che gode di una dimensione che naturalmente la porta a modificare anche degli equilibri, equilibri commerciali, geopolitici. È quindi un’azionista molto importante del mondo attuale del XXI secolo. Come si fa a ignorarlo, a separarlo o a non tenerlo in considerazione per tutte le cose più importanti che avvengono anche da noi. È assurdo questo. Tanto più che la lezioncina ci viene fatta da paesi che hanno un interscambio con la Cina che hanno quattro volte la dimensione dell’Italia e si scandalizzano per l’accordo sulla via della seta, un accordo che semplicemente migliora l’infrastrutturazione degli scambi tra Italia e Cina, ma in ragione di un rapporto degli scambi fra Italia ed Europa. È che non sta bene a questi paesi che l’Italia stia cambiando questo ruolo. Ma l’Italia non sta cambiando alleanze, non sta cambiando la propria collocazione internazionale, cosa che richiederebbe sforzi che non vale la pena neanche considerare. L’Italia ha buoni rapporti con la Cina ed è giusto che ce li abbia e che li coltivi. Tant’è vero che i cinesi sono stati veramente di grande auto in questa fase iniziale della pandemia e lo sono anche negli Stati Uniti: il governatore di New York Cuomo, l’altro giorno, non ha chiesto il permesso di Fratelli d’Italia per ringraziare la Cina per i mille ventilatori che sono stati portati a New York.

E come valuta il ruolo della Russia in questo contesto. Anch’essa ha portato in questa fase aiuti medici, anche consistenti a chi ne necessitava come l’Italia e gli stessi Stati Uniti. Non c’è forse una presa in carico da parte di Russia e Cina di una prospettiva internazionale e un venire meno degli USA?

Gli Stati Uniti hanno privilegiato in questi anni una politica di potenza costosissima. Sono pur sempre il paese che il 40 % delle spese militari di tutto il mondo. E il secondo paese, la Cina, non si avvicina neanche lontanamente a questo livello di spese. Gli USA hanno sacrificato una serie di settori come le infrastrutture: non a caso Trump dice “dedichiamo molto del nuovo quantitative easing alle strutture”. E l’altro settore era la sanità: vorrei ricordare un film di una decina di anni fa di Michael Moore che a guardarlo c’era da mettersi le mani nei capelli. La sanità è stata completamente trascurata. Gli Stati Uniti posseggono 6200 testate nucleari e hanno soltanto 6000 ospedali. È un interessante sorpasso questo.

E come valuta la posizione della Russia in questo contesto di crisi sanitaria ed economica?

La Russia, come negli ultimi vent’anni, cerca di misurare l’effetto globale della propria presenza, delle proprie azioni. E questa pandemia è un evento globale che più globale non può esserci. E quindi, ogni sua azione è un suo stare nel mondo. Quindi, guadagnando benemerenze, rapporti e, in prospettiva potendo essere aiutata quando occorrerà. E questo mi pare significativo. Agisce anche in altri ambiti: ad esempio, contrariamente al tentativo solito della Russia, in questo momento non sta tenendo su il prezzo del petrolio, anzi sta aumentando la produzione per deprimere il prezzo del petrolio, cosa che indebolisce una parte del sistema finanziario che l’ha attaccata negli ultimi anni.

Sembrerebbe che stiano venendo meno i principi su cui era stata costruita la globalizzazione economica. La potenza globale del virus è talmente forte da mettere, paradossalmente, in crisi la globalizzazione economica. Non pensa che questo potrà mettere in crisi le strutture su cui era stata eretta la globalizzazione economica? O piuttosto, al termine dell’emergenza, le strutture della globalizzazione verranno ridisegnate assumeranno forme nuove, diverse e più forti?

All’interno di una crisi di questa portata, coloro che sono più attrezzati, e ci sono tra questi alcuni protagonisti della globalizzazione, emergono meglio. Quindi ci saranno alcuni grandi dinosauri che sopravviveranno in questa struttura. Penso ad Amazon o a strutture di quel tipo che continueranno ad esistere. Però non riesco a prevedere tutte le evoluzioni. Perché, per un anno o due in cui verrà meno il turismo nel mondo, che è una realtà molto legata alla globalizzazione. Ecco, questo avrà degli effetti che non riesco a prevedere fino in fondo per il modo in cui funzionano gli Stati, le società, le economie. E non so quali effetti si avranno con il fallimento di certe strutture finanziarie, cosa che è prevedibile. E quindi, prevedo dei cambiamenti. Cambieranno delle priorità, cresceranno certi settori, crescerà il sistema sanitario perché qualche lezione qualcuno la apprenderà su questo, e saranno sacrificati altri settori. Ci sarà una grande distruzione creativa, credo, di ricchezza, con delle sofferenze di centinaia di milioni di persone; ed emergerà un mondo diverso. Non credo che tutte le strutture globali saranno distrutte. Anzi, alcune hanno acquistato un’importanza maggiore: penso a tutta la rete.

Tornando da dove siamo partiti, vale a dire al MES, e ripensando alla colonizzazione economica che la Grecia ha subito nel 2015 da parte di paesi come Francia, Germania e in parte anche l’Italia. Quanto c’è, nelle pressioni di Germania e Olanda affinché l’Italia ricorra al MES, una volontà distruttrice della solidarietà tra i popoli europei e di acquisizione di asset strategici dell’economia italiana?

C’è un calcolo delle classi dirigenti di quei paesi, anche molto semplice. Avendo accumulato un certo surplus dal grande vantaggio che hanno avuto all’euro, che è una moneta funzionale a certe economie e disfunzionale per altre, pensano di poter resistere di più rispetto all’asteroide che è caduto in mezzo a questi dinosauri. E quindi pensano che l’Italia vi accederà per prima, perché ha meno resistenza finanziaria. Rischiamo davvero di andare in crisi di liquidità nel breve tempo. Si ripeterebbe in questo modo lo scenario greco e loro sarebbero gli autori del “fiero pasto”, quelli che pasteggiano con il nostro cadavere per continuare a esistere. Però è un calcolo sbagliato perché se si distrugge tutta l’infrastruttura che gli ha garantito tutta questa ricchezza, non so cosa rimarrà delle loro economie. E ho visto che molti paesi hanno sottovalutato l’impatto dell’epidemia. L’hanno affrontata con leggerezza e con una certa superiorità rispetto all’Italia, lasciando tutto aperto e pensando che le loro economie avrebbe resistito e sarebbero state compatibile con quest’epidemia. Poi si son dovuti piegare e si piegheranno alla forza e all’impatto dell’epidemia. Sono tutti calcoli che stanno facendo, ma molto rischiosi per loro e non tengono conto del fatto che l’Italia ha l’esigenza di voler sopravvivere, che lo vuole fare, che ha anche molti mezzi per poterlo fare e che non si lascerà mangiare da loro.   

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