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Garantire la gestione dell’emergenza sanitaria da Covid19 all’interno dei limiti (e delle possibilità) della Costituzione repubblicana
L’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione dell’epidemia ha richiesto l’adozione di misure di limitazione straordinaria – mai sperimentate prima nella storia repubblicana – di molte delle libertà fondamentali riconosciute nella Carta costituzionale. Il primo decreto-legge del 23 febbraio del 2020, prontamente convertito in legge dal Parlamento, ha previsto forti limitazioni alla libertà di circolazione e di soggiorno e di riunione. Nel doveroso rispetto del loro carattere temporaneo, esse paiono legittime e corrispondono allo strumentario che la stessa Costituzione appresta per affrontare situazioni di emergenza, del tutto paragonabili a quella in atto. In tal senso, i costituzionalisti hanno puntualmente ricordato come la Costituzione preveda espressamente, all’articolo 16, che la libertà di circolazione possa essere limitata “per motivi di sanità o di sicurezza”; che lo stesso l’articolo 17, sulla libertà di riunione, dispone che essa possa essere vietata per “comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”; che la tutela della salute assume nell’articolo 32 la forma doppia di diritto dell’individuo e di interesse della collettività”[i].
Anche in tale frangente, la Costituzione opera non solo quale essenziale strumento di limitazione del potere, ma delinea il quadro delle possibilità all’interno del quale deve muoversi l’azione di governo. Anche in ragione di ciò, il rilancio dell’ipotesi di una revisione della Costituzione, addirittura nella boutade di una nuova Costituente, di una riforma dell’amministrazione e della giustizia amministrativa con la previsione di un corpo speciale di giudici ed una modifica dell’art. 102 Cost., oggi presentata dal Sindaco della città di Milano, è di assai difficile comprensione. L’apparato costituzionale non pare aver inibito in nessun modo una immediata risposta dei pubblici poteri al diffondersi dell’emergenza sanitaria, consentendo ciò che l’ordinario non avrebbe consentito. Quindi, a meno di non voler ritenere – non so – il principio di legalità o l’indipendenza della magistratura un impedimento all’azione dei pubblici poteri, anche ad emergenza finita, la proposta di una revisione costituzionale, specie in una fase di così complesso funzionamento dell’organo parlamentare, ha da bloccarsi sul nascere.
Ciò detto, le disposizioni costituzionali tracciano il quadro delle possibilità entro i limiti da esse stesse individuate, per cui il rispetto di questi rimane essenziale. Non c’è ragione di temere l’instaurazione di uno stato di eccezione, purchè si rimanga all’interno del quadro costituzionale.
I profili di frizione o di stress delle regole costituzionali emersi in questi primi mesi di emergenza sono, invero, molti.
Uno tra essi mi pare essenziale e riguarda l’uso disinvolto dei Decreti del Presidente del Consiglio quale strumento privilegiato di intervento del Governo nella gestione dell’emergenza. A scorrere la cronologia dei provvedimenti addottati, la domanda che sorge spontanea è: perché i DPCM? Quale è il motivo per il quale il Governo decide di intervenire con un atto monocratico e non con un atto che impegni la decisione collegiale del Consiglio dei Ministri, ad esempio i regolamenti governativi?
I costituzionalisti hanno già detto molto sulla dubbia idoneità della combine fra decreti legge e DPCM a soddisfare la riserva di legge relativa che la Costituzione pone, ad esempio, al suo articolo 16 chiedendo solo all’atto con forza di legge la definizione delle limitazioni alla libertà di circolazione[ii]. Invero, non immagino una necessaria frizione con la riserva di legge relativa, sempre che le previsioni contenute nel decreto legge siano sufficientemente chiare e precise, di modo da circoscrivere l’intervento attuativo della fonte sub-primaria, assolvendo la riserva di legge[iii]. Del resto, poi, ove il decreto legge non fosse convertito in legge dal Parlamento come previsto dall’art. 77 Cost., la mancanza conversione travolgerebbe anche gli effetti dei decreti.
Invece, non mi pare sufficientemente motivata dalle ragioni di emergenza la preferenza verso una fonte di decisione monocratica in sé e l’abdicazione della regola della collegialità per l’assunzione delle deliberazioni governative. E’ ormai noto come sia stato già l’originario decreto-legge n. 6 del 2020, all’art. 3, comma 1, ad autorizzare l’adozione di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche l’ultimo decreto-legge del 25 marzo 2020 n. 19 ha confermato la centralità dei decreti presidenziali nella gestione dell’emergenza. Esso, infatti, prevede che le misure di cui all’articolo 1 siano adottate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri ministri competenti per materia (art 2, comma 1). Eppure, lo stesso decreto avrebbe potuto – in modo più canonico – prevedere l’adozione di fonti regolamentari, di esecuzione e di integrazione delle previsioni del decreto legge, garantendo l’assunzione di una decisione collegiale del Governo, nel rispetto delle regole che disciplinano l’esercizio del potere normativo secondario dell’esecutivo. La collegialità non è solo un principio di forma nell’assunzione delle decisioni dell’organo esecutivo, ma corrisponde ad uno degli elementi del compromesso costituzionale in tema di forma di governo. In esso, la relazione fiduciaria intercorrente fra Governo e Parlamento rappresenta ad un tempo la fonte di legittimazione dell’organo esecutivo e la sede di verifica della sua responsabilità politica collegiale nei confronti dell’organo della rappresentanza. Il corretto funzionamento della collegialità all’interno dell’istituzione Governo rappresenta – come da tempo avvertito da autorevole dottrina – la principale garanzia non solo del mantenimento degli equilibri interni all’istituzione Governo e al sistema nel suo complesso, ma anche dell’indipendenza del Governo verso l’esterno, nei confronti ad esempio di istituzioni depositarie di competenze tecniche[iv]. Ciò mi pare oggi più che mai essenziale per la difesa dell’autonomia della decisione politica, rispetto al protagonismo del sapere tecnico-scientifico.
Il pericolo che un uso disinvolto dei poteri monocratici del Presidente del Consiglio in periodo di emergenza apra, ancora una volta, al tentativo di rafforzamento del vertice ed ad una modifica degli equilibri di governo non è peregrino. Rimanere dentro la cornice costituzionale, sperimentandone le possibilità, mi pare, quindi, essenziale a che l’emergenza non diventi una nuova occasione per una ennesima spinta in senso decisionista e funzionalista della nostra democrazia.
[i] G. Azzariti, Le misure sono costituzionali a patto che siano a tempo determinato, la Repubblica, 8 marzo, 2020. ⇑
[ii] In tal senso, si veda il Dossier della rivista Diritti Regionali L’emergenza sanitaria da Covid-19. Normativa, atti amministrativi, giurisprudenza e dottrina disponibile in www.dirittiregionali.it. ⇑
[iii] U. Allegretti, Una normativa più definitiva sulla lotta all’epidemia del coronavirus?, in Forum dei Quaderni Costituzionali, 28 marzo 2020. ⇑
[iv] S. Rodotà, La circolazione della informazioni nell’apparato di Governo, in (a cura di) S. Ristuccia, L’istituzione Governo. Analisi e prospettive, Milano, 1977, 63 e ss. ⇑
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