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Combattere il virus della povertà e della crisi
I politici fingono di sapere quello che ignorano e di ignorare quello che sanno
(pensiero anonimo)
Il Consiglio dei Capi di Stato e di governo che si riunirà il 23 aprile prossimo è chiamato a ratificare l’accordo raggiunto dai ministri delle finanze della eurozona (nel cosiddetto Eurogruppo), i quali avrebbero trovato – il condizionale è doveroso – un accordo di massima. E infatti, così non è. Ciascuno dei partecipanti attribuisce all’esito dell’incontro la piega ermeneutica che meglio serve i suoi fini, che non sono tuttavia gli interessi del proprio paese, ma esclusivamente quelli della personale carriera, poiché i decisori ultimi delle questioni rimaste aperte sono visibili solo sullo sfondo, confermando la loro radicata tendenza a coprirsi il volto.
Alla luce di quanto pubblicamente emerso da quell’incontro preliminare ma quanto mai indicativo, è auspicabile che l’Italia opponga un fermo rifiuto a quei meccanismi di aiuto europeo alle economie europee messe in ginocchio dalla pandemia, che farebbero tutti crescere il nostro debito complessivo, seppur in tempi e modi leggermente diversi. La discussione sul Mes (Meccanismo Europea di de-Stabilità), con o senza condizionalità, appartiene alla disciplina della contabilità delle briciole, analogamente alle ansie minimaliste dei difensori o dei propugnatori dello sforamento del 2,04% del deficit annuale, mentre l’economia italiana viene travolta da una mandria di bufali senza guida.
Persino le pietre sono oggi consapevoli che l’austerità fa scendere il prodotto interno lordo, riducendo le chance di ridurre il debito pubblico, ammesso che questo debba essere fatto, se è vero che nella storia nessun governo ha mai ripagato il proprio debito, ma semmai solo gli interessi su di esso, interessi che solo nella patologia eurozonica, priva di un governo equilibratore, sono drammaticamente diversi da paese e paese. Inspiegabilmente ignaro che l’essenza del potere politico-economico è stata da tempo ceduta a istituzioni tecnocratiche, non democratiche e pilotate da una Germania che persegue con metodi diversi il secolare obiettivo di assoggettare il continente europeo al suo dominio, il ceto politico italiano viene confinato nel parco-giochi nazionale, dove la posta in palio è costituita da carriere personali e gratificazioni narcisistiche, non certo dalla legittima tutela degli interessi del suo popolo.
Una prestigiosa firma del giornalismo europeo, Wolfgang Munchau, ha sintetizzato l’esito dell’attuale confronto tra Roma e Bruxelles-Berlino facendo ricorso alle seguenti parole[i] : “le intese (sic!) raggiunte nell’ultimo incontro dell’Eurogruppo non sono favorevoli all’Italia. Come spesso accaduto in passato, vediamo il ministro italiano delle Finanze aderire a un accordo contrario agli interessi del suo paese”. Plastico e umiliante, nulla da aggiungere.
Lo strumento principe di quell’onirica creatura distruttrice di democrazia e di benessere denominata Unione Europea è stata la moneta comune, imposta da una mistica auto-flagellatrice sostenuta dai due cleri, quello mediatico e quello scientifico-accademico al servizio dell’élite finanziaria tedesco-centrica. La natura insensata dell’euro – moneta nazionale gestita da un’istituzione privata straniera, la Banca Centrale Europea (come se la gestione del dollaro venisse affidata alla Banca Popolare di Cina) – avrebbe dovuto generare un istintivo orrore nella mente dei ministri che via via hanno posto le loro firme sui documenti istitutivi.
Nella storia delle nazioni l’euro costituisce l’unico esempio, ben poco esemplare invero, di una moneta senza Stato e senza governo. La sua gestione è lasciata burocrati irresponsabili che non rispondono agli elettori europei: Bce, Commissione e Consiglio, anche questo non certo riconducibile alla volontà popolare, mentre il Parlamento si limita ad approvare risoluzioni non cogenti o proposte di legge preparate da funzionari colmi di privilegi, obbedienti agli interessi delle multinazionali che affollano gli uffici di Bruxelles e sempre comunque a quelli di Berlino.
Essersi privati della facoltà di operare sulla parità della moneta è stato un danno esiziale per l’economia e il potere d’acquisto degli italiani, tornato oggi a quello dei primi anni ‘90. Sistemi economici diversi hanno bisogni diversi. Il ricorso alla svalutazione o a un maggior livello di spesa pubblica non costituisce un crimine contro l’umanità, ma solo a scelte di politica economica, con i loro pro e i loro contro, alla forza dell’economia e al principio di competitività. Solo un’ontologica distrazione impedisce alla nostra dirigenza di accorgersi che nell’odierna distonia istituzionale-monetaria dell’Ue la sintesi delle diverse ponderazioni è fatta dal governo di Berlino, non certo da un’equilibrata Commissione Europea che tenga conto degli interessi e dei bisogni di ciascuno, com’è d’uso in qualsivoglia consesso dove viga una dose minima di solidarietà.
Nella gabbia monetaria pre-confezionata dalle élite finanziarie esterofile che rischia oggi di precipitare il Paese nel baratro, il governo è chiamato all’adozione di provvedimenti di portata storica.
È evidente che la strada maestra sarebbe l’adozione del più euro-accomodante di tali provvedimenti, la monetizzazione dei debiti nazionali attraverso l’acquisto di titoli da parte della Bce e la loro immediata distruzione, come farebbe una Banca Centrale degna di questo nome. Così facendo la Bce inonderebbe i sofferenti mercati dell’eurozona di tutta la liquidità necessaria senza creare inflazione e accontentando la sete di risorse di lavoratori e imprese. Gli ostacoli non sono di natura tecnica o economicistica, ma psico-politica e si collocano tutti nelle menti malate dell’élite politico-finanziaria della repubblica federale di Germania (altri paesi, Olanda compresa, sono solo sbiadite foglie di fico). Per giungere a tanto dunque occorrerebbe superare l’opposizione politica del governo tedesco e la barriera giuridica della Corte di Karlsruhe (i tedeschi, non certo sprovveduti come gli italiani, hanno infatti mantenuto il controllo di costituzionalità delle decisioni Ue-Bce), e infine cambiare lo statuto della Bce (questo in teoria modificabile d’urgenza). A sua volta, tale percorso implicherebbe l’abbandono dello steccato ideologico costruito sulle pretestuose, distruttive politiche di tagli alla spesa pubblica. Non c’è bisogno di alcuna enfasi per capire che le chance di vincere questa battaglia siano quanto mai esigue. Non basterà certo ricordare ai tedeschi che la monetizzazione del debito è una pratica diffusa a cui fanno ricorso in questi giorni anche Regno Unito, Stati Uniti e Giappone, perché il muro tedesco si può abbattere solo con i rapporti di forza, non certo con la logica del pensiero.
In Italia nei prossimi mesi il rapporto debito/Pil raggiungerà[ii] il 160-180% (quale esito della tenaglia “calo del Pil/aumento della spesa” e del debito derivante dai prestiti europei), livello su cui convengono persino le previsioni più conservative. A quel punto, il Paese sarà davanti a un bivio forzato: a) accettare le condizioni imposte dalla Troika (taglio di salari pubblici, pensioni, investimenti sociali e via dicendo, con la possibile eccezione della sanità, ciò che consentirà agli irriducibili di smacchiare le loro coscienze) e veder ridurre drasticamente le condizioni di vita; b) fare da soli, secondo il lessico sfuggito all’oratoria di Conte in un momento di inconsapevole chiaroveggenza. Ciò potrebbe invero significare due cose, procedere ai medesimi tagli che verrebbero imposti dalla Troika senza che quest’ultima mostri il suo volto funesto, oppure (ipotizziamo, e sarebbe un miracolo inatteso) recuperare una parziale sovranità monetaria, introducendo ad esempio i Certificati di Credito (o Compensazione) Fiscale e soprattutto i biglietti di stato a corso legale solo in Italia, entrambi strumenti consentiti dai famigerati Trattati Ue, e procedere finalmente a tutti gli investimenti di cui l’Italia ha urgente necessità per non affogare. La logica fattuale non vede al momento altre vie d’uscita.
Tutti gli strumenti proposti dalle istituzioni europee (a parte forse il Mes senza condizioni, improbabile e comunque largamente insufficiente) generano altro debito che – con la forte riduzione del Pil – farà aumentare la forbice, avvicinandoci al baratro della Troika.
Si apprende in queste ore che Valdis Dombrovskis – uomo politico lettone di centro-destra laureato in economia per ingegneri (?!) e attuale Vice Presidente con il portafoglio dell’”economia che lavora per il popolo” (sic!) nella non-eletta Commissione Europea presieduta dall’ex-ministra tedesca della difesa – si sarebbe convertito, bontà sua, agli eurobond, riscuotendo il plauso degli europeisti meridionali. La mistica di tale narrativa, permeata di un deficit democratico senza confini, non merita commenti. I titoli di debito europei (eurobond) verranno invero varati dai Capi di Stato e di Governo Ue il prossimo 23 aprile solo se tale decisione corrisponderà agli interessi della Germania.
Se i decisori politici del nostro Paese si convincessero della bontà del percorso alternativo sopra illustrato e potessero insieme cogliere alcuni aspetti cruciali di natura geopolitica, essi potrebbero sfruttare questa tragica congiuntura per disegnare la rinascita del nostro Paese, sulla scorta di due dimensioni: a) un’inedita, oggettiva debolezza dell’Ue a guida tedesca, che non si ripresenterebbe per chissà quanto tempo. L’oligarchia teutonica si batterà fino all’ultimo soldato per impedire l’implosione dell’eurozona, ma essa è in preda al panico di fronte al grido di dolore che si leva da tutto il continente. Un’economia centrata sull’ideologia esportatrice ordo-liberista non può far a meno dell’eurozona (l’export tedesco verso i paesi dell’euro copre il 33% delle sue esportazioni complessive, mentre quello verso Stati Uniti e Cina insieme non supera il 16%). Quello che gli ingenui dirigenti italiani paiono non cogliere è la forza ossimorica della nostra debolezza, che ci consente di ignorare le tonterie di un lettone qualunque, il lessico miseramente seduttivo della sua Presidenta e quello normativo dei suoi padroni berlinesi; 2) la seconda è la possibilità di negoziare un’intesa strategica con l’alleato-padrone americano, alla luce del comune interesse, seppur per ragioni diverse, a ribilanciare le scorribande indipendentiste e neocoloniali di Berlino. Poiché eventuali impertinenze antieuro da parte italiana sarebbero esposte alle rappresaglie tedesche e di una Bce presa in contropiede, l’Italia – con la mossa del cavallo – potrebbe chiedere all’attuale inquilino della Casa Bianca, trovando terreno fertile, che il costo del debito pubblico italiano sia coperto per un certo tempo da un prestito americano senza interessi (in uno studio in corso di pubblicazione Giovanni Piero Rotundo calcola tale costo in 315 miliardi per tre anni).
La povertà è in Italia un’emergenza nazionale di lungo corso, che la crisi dei sub-prime ha fatto crescere ulteriormente. Nei dieci anni 2008-2018 gli italiani poveri sono passati da 2,5 a 5 milioni. Nel medesimo periodo, il reddito medio disponibile per le famiglie è tornato ai livelli degli anni novanta, mentre il numero di ore lavorate è sotto ai livelli del 2008[iii] (un maggior numero di persone lavorano per meno tempo e con stipendi più bassi)[iv] . Ad essa deve aggiungersi la realtà di un paese che, con esclusione della minoranza abbiente e lavoratori protetti, è costituito in maggioranza da precari, disoccupati ed esclusi.
Il recupero della sovranità monetaria costituzionale deve dunque intendersi quale base filosofica per una riflessione teleologica – non appaia ciò velleitario o, peggio, ideologico – per muovere verso una diversa responsabilità di governo del Paese, al servizio dell’umanità comunitaria del popolo, contro la violenza della povertà, dell’emarginazione e dell’assenza di dignitose prospettive di vita, a favore del progresso culturale e della qualità dell’esistenza, e non solo della crescita materiale. Vale la pena ribadire un aspetto cruciale, che il recupero dell’indipendenza costituzionale e monetaria nulla ha a che vedere con la piaga del nazionalismo (un lemma al quale ama ricorrere a fini denigratori la narrativa di mainstream).
Mentre scrivo queste righe, alcune voci dal Palazzo, senza concreto riscontro invero, riferiscono che ci si appresterebbe a sostituire Conte con Draghi. Il tema, centrale in un momento altamente critico per l’Italia, offre l’occasione per riflettere, seppure in linea teorica, su alcuni aspetti. Una tale evoluzione del quadro politico – che assumiamo qui solo a fini di congettura discorsiva – si risolverebbe in un punto di confluenza tra cosmesi e inganno. La cosmesi consisterebbe nel far credere agli italiani che si tratterebbe di un cambio importante, se non radicale, alla guida del governo, mentre verrebbe ancora una volta avvalorato l’acuto suggerimento di Tancredi al principe di Salina, vale a dire che il vero obiettivo è quello di lasciare le cose come stanno. Alla guida del cruciale rapporto con la cosiddetta Unione Europea rimarrebbe infatti l’intramontabile impalcatura del pensiero unico (la politica italiana è spesso solo in apparenza divisa tra centro-destra e centro-sinistra), affiancata dall’élite finanziaria germanofila e dalle tecnostrutture del Ministero dell’Economia e Finanza, della Banca d’Italia e di altri palazzi romani, con il fondamentale pilastro dalla gerarchia clericale mediatica e accademica (salvo eccezioni, beninteso, prive di potere), tutti al servizio permanente effettivo del dogma tedesco-europeista distruttore del benessere degli italiani.
L’inganno sarebbe invece rappresentato dalle illusorie capacità taumaturgiche del difensore occulto degli interessi teutonici, il quale salvando l’euro ha invero già una volta salvato la cornice strutturale del dominio della Germania in Europa. Al massimo, egli ci farebbe raccogliere qualche briciola aggiuntiva dal triangolare banchetto Berlino-Francoforte-Bruxelles. In buona sostanza, una lusinga infantile. Il minor costo del debito ci verrebbe presentato con accenti trionfali, mentre si appronterebbero le ghirlande per la capitolazione definitiva del Bel Paese alla finanza predatoria sovranazionale e alla colonizzazione germanica dell’Italia. La scena meriterebbe però un ben altro apprezzamento se, come sopra rilevato, l’ex-banchiere di rito americano fosse chiamato al timone del Paese con l’obiettivo di attrarre lo Zio Sam nella nostra strategia. In tal caso, dimostrando di disporre ancora di qualche statista, l’Italia – facendo leva su una reciproca strumentale irrequietezza nell’Atlantico e nel Mediterraneo – aprirebbe la strada alla liberazione del Paese dalle catene teutoniche riconquistando il posto che le spetta nella storia d’Europa e risollevando i destini dei suoi figli e nipoti. Le speranze tuttavia restano minime, poiché solitamente una classe politica banale partorisce solo uomini banali.
[i] https://it.insideover.com/politica/ecco-cosa-rischia-litalia-con-il-mes.html ⇑
[ii] “How the next euro crisis could unfold”, https://www.ft.com/content/ddb02110-7b24-11ea-af44-daa3def9ae03 ⇑
[iii] https://www.ilpost.it/2020/01/13/tridico-conte-poveri-italia/ ⇑
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