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La pandemia e la crisi della globalizzazione: alcune considerazioni sui possibili scenari futuri


18 Apr , 2020|
| Visioni

I recenti eventi, conseguenti alla crisi sanitaria legata al coronavirus, pongono alcuni problemi importanti che investono fortemente il particolare modello economico e giuridico che, nei recenti decenni e principalmente negli ultimi trentacinque anni, si era imposto in una rilevante area territoriale: lo stesso modello era stato, infatti, definito come una globalizzazione, affermata attraverso l’ampia apertura dei commerci internazionali, realizzati prevalentemente  nell’Organizzazione Mondiale del Commercio OMC – e in alcune Istituzioni giuridiche, sovranazionali, che, in talune aree delimitate – come è avvenuto per le Comunità Europee e nell’Unione Europea –, hanno introdotto dei modelli nuovi sul piano giuridico; sulla globalizzazione in un senso ampio e con un riferimento alle sue implicazioni istituzionali, si può rinviare a E. Felice, Storia economica della felicità, Bologna, 2017 e J. Stiglitz, Popolo, potere e profitti. Un capitalismo progressista in un’epoca di malcontento, Einaudi, 2020.

Nei numerosi contributi colti, dedicati alla materia, molto è stato discusso sugli effetti di questo processo, identificati anche con la progressiva crisi dello Stato nazionale, che, in Europa, si era affermato negli ultimi cinque secoli e sembrava invece superato dal detto sistema della globalizzazione, che introduceva dei giudici sovranazionali – competenti a giudicare sulle controversie commerciali, realizzate nell’OMC, o sul rispetto dei diritti individuali, nell’esempio della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – o alcuni organi amministrativi o rappresentativi non statali, come è stato nel caso della Commissione o del Parlamento Europeo, determinando, per un verso, un’ampia libertà della circolazione delle persone, dei beni e dei servizi – realizzata non sempre sul piano mondiale, però spesso in un vasto ambito sovrastatale – e, per un altro verso, un frequente vincolo delle finanze degli Stati nazionali, ascritte al rispetto di alcuni parametri economici, tra i quali sono noti i criteri elaborati dal Trattato di Maastricht, realizzato nel 1992, riguardanti il rispetto dei livelli dell’inflazione e del rapporto tra il disavanzo ed il debito statale, nell’area dei Paesi dell’euro; la crisi dello Stato, rispetto alla globalizzazione, è stata studiata in M R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione: diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000.

Che cosa indica la presente crisi sanitaria e finanziaria, se la confrontiamo con il processo descritto, sinteticamente, sopra? Gli effetti della stessa crisi possono essere dirompenti sulla stessa globalizzazione

Due considerazioni importanti e forti sembrano discendere da questo confronto.

Anzitutto, quella crisi sembra indicare che il mondo globale, conosciuto negli ultimi anni e prefigurato dai mutamenti ricordati, non è realmente esistito nella misura e con le caratteristiche rappresentate dalla corrente lettura di questi mutamenti, ma è stato una realtà spesso fragile, che si era solamente sovrapposta al precedente ordine internazionale, connesso alla convivenza degli Stati. 

La questione può essere meglio compresa, rispondendo a due domande e facendo una considerazione ulteriore. 

In quale modo, i detti mutamenti avevano, infatti, superato lo Stato nazionale? Effettivamente, le prime risposte alla crisi determinata dalla citata pandemia non appaiono nella direzione dello stesso superamento: le prime misure conseguenti, elaborate da molti Stati europei, si sono tradotte nella chiusura delle frontiere, affinché l’estensione del virus fosse arginata; così, tra la fine dello scorso febbraio e l’inizio del successivo mese, è avvenuto in Austria ed in Francia, che hanno limitato gli ingressi dall’Italia; analogamente, è successo, poi, in molte parti del mondo, dove un consistente numero degli Stati ha impedito la circolazione dei residenti, limitando gli spostamenti interni ed i movimenti verso gli altri Stati e dagli altri territori nazionali. Paradossalmente, quindi, l’emergenza posta dalla crisi sembra aver posto il problema di quei confini territoriali, che la globalizzazione sembrava aver cancellato. 

Perché la globalizzazione non li aveva cancellati? Effettivamente, la connessa evoluzione economica e giuridica aveva avuto un’intrinseca debolezza: essa aveva, infatti, ampiamente realizzato un’integrazione degli strumenti giuridici, determinata con le menzionate giurisdizioni sovranazionali o con il coordinamento amministrativo tra le Autorità nazionali e le Istituzioni non statali – come, nel diritto europeo, è avvenuto nel settore della tutela della concorrenza, che, se prendiamo il caso italiano, appare rimessa alla duplice competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e della Commissione –, senza curarsi, però, della necessaria gradualità, che avrebbe dovuto far evolvere la naturale e sempre maggiore interdipendenza dei rapporti tra gli Stati – delineandola nel senso del progressivo superamento dei pubblici poteri nazionali – secondo tempi molto più lunghi: sul rilievo di questa interdipendenza, si dirà più avanti, ma si può citare l’esempio dell’Unione Europea, nel cui ambito, nei primi anni dello scorso decennio, è stata realizzata una repentina estensione delle Comunità Europee verso i Paesi del precedente blocco del Patto di Varsavia, così com’è stata fatta una moneta unica, ma non sono stati adeguati i processi decisionali – ancora avvinti al criterio dell’unanimità – o il sistema fiscale – ancora inesistente sul piano europeo –, determinando un’intrinseca fragilità di questo progetto. 

In questo senso, la dimensione sovranazionale e la globalizzazione sono apparse una costruzione precaria e debole, che è stata sovrapposta allo Stato nazionale in una maniera non coordinata e non svolta conformemente ad un progetto coerente e duraturo ed ha consentito che lo stesso potere statale rimanesse intatto e si riproponesse integralmente davanti ad aspetti emergenziali come la crisi sanitaria innescata dal coronavirus, dove sono stati appunto gli Stati ad elaborare una prima risposta, mentre l’atteggiamento delle Istituzioni europee è rimasto cauto, anche sulla base del principio dell’assenza di una competenza sanitaria attribuita all’Unione Europea, che, per la propria importanza radicale ed ovvia, sembrava, invece, implicita e trasversale rispetto alle attribuzioni determinate dai Trattati europei.

Per il momento, infatti, escludendo le dichiarazioni ufficiali rilasciate da alcuni membri della Commissione, il principale intervento – connesso ed adottato per la descritta emergenza – sembra consistere in una Comunicazione, che, nello scorso 13 marzo, la stessa Autorità europea ha adottato – riferendosi prevalentemente all’applicazione del regime degli “aiuti di Stato” – sui problemi posti dal processo dell’integrazione europea, considerata nel contesto della globalizzazione; a tal proposito, si ricordino le interessanti osservazioni di J. Stiglitz, Globalization and Its Discontents, New York, 2002.

La medesima globalizzazione ha, però, una seconda debolezza intrinseca, legata sia alla sua limitazione al settore economico e dei relativi diritti, sia alla conseguente affermazione dei principi e dei modelli culturali rispetto ai quali il ruolo degli Stati Uniti ha avuto storicamente una forte importanza: l’ultima circostanza è dimostrata dall’esempio di internet, che è regolato da un’Autorità collocata negli USA ed identificata nell’ICANN Internet Corporation for Assigned Names and Numbers –, caratterizzato dal linguaggio e dai modelli propri di questo contesto nazionale e culturale.

Nel primo senso, invece, si possono citare i casi delle imprese operanti nel contesto globale, i cui simboli – “Amazon”, “Facebook”, “Microsoft” – , nella precarietà del sistema istituzionale ed economico determinato da questo processo, sono stati confusi spesso con delle piene realtà istituzionali, poi invece travolte dalla crisi finanziaria innescata dalla detta epidemia: in questo senso, si può ricordare che, con la sottoposizione dei debiti pubblici all’acquisto degli operatori – spesso privati – dei mercati internazionali, alcuni soggetti privati, operanti globalmente, hanno spesso avuto un’influenza condizionante sull’assetto di quelle finanze nazionali e, quindi, sulla consistenza e sull’autonomia dei poteri statali. 

Tuttavia, la fragilità di queste realtà economiche – alle quali, invece, una forte importanza era stata data in tale contesto globale – è stata dimostrata proprio dall’intatta realtà statale, che, davanti alle a tali istituzioni sovranazionali, ha spesso assunto un ruolo nuovo ed antico al tempo stesso, ergendosi come la prima risposta per la garanzia degli interessi connessi ad alcuni aspetti essenziali per la nostra vita, che attengono alle fondamenta di ogni ordine giuridico, politico e finanziario, rappresentate dalla tutela della salute e della fisica incolumità delle persone. Paradossalmente, possiamo amaramente constatare che la globalizzazione ha reso uno scarso servizio alla causa del superamento del tradizionale assetto degli Stati e dell’insieme degli interessi – talvolta egoistici e pericolosi –, che, dalla seconda metà dello scorso millennio, hanno caratterizzato i rapporti internazionali, fondati sulla preminenza del soggetto statale; sulle caratteristiche della società affermata negli ultimi decenni e legata anche alla globalizzazioni, le riflessioni di Z. Bauman, Modernità liquida, Bari, 2011, rimangono importanti. 

L’osservazione conseguente alle risposte alle domande formulate sopra muove, così, ad una valutazione conclusiva, più ampia, dalla quale si può provare ad azzardare qualche riflessione su quale possa essere il futuro della globalizzazione e se essa si possa evolvere in una più ordinata interdipendenza tra gli Stati, che, in una prospettiva lunga, possa portare anche ad una  “mondializzazione” dei rapporti tra le persone e tra i soggetti pubblici.

Del resto, l’interdipendenza tra gli Stati e tra i relativi contesti sociali è una cosa antica: si può fare l’esempio delle relazioni diplomatiche e consolari, che, anche prima rispetto alla nascita dello Stato moderno – e già al tempo dell’Impero romano o poi dei Comuni –, erano svolte tra le varie realtà politiche e giuridiche; a questo processo inevitabile, si aggiungono, oggi, i benefici effetti comunque connessi ad alcuni aspetti della globalizzazione conosciuta negli ultimi trentacinque anni. 

In quale senso, quindi, la pandemia rappresenta una crisi della globalizzazione?

Anzitutto, la crisi legata al coronavirus ha dimostrato che le menzionate realtà istituzionali o imprenditoriali erano spesso settoriali forme di un coordinamento amministrativo o economico, ma non avevano la pienezza dei poteri – che era rimasta solamente agli Stati –, determinando la precarietà della stessa globalizzazione; anche la descritta sottoposizione degli Stati al giudizio dei mercati è stata un’ulteriore forma di questa distorta e malevole proiezione della giusta interdipendenza tra le realtà nazionali, ponendo il problema del rapporto tra i relativi poteri pubblici ed i mercati. 

La crisi della pandemia deve quindi, riportare  ad una “fisiologia” dei rapporti tra tali realtà: si deve, quindi, comprendere che, purtroppo, proprio per i ritardi conseguenti alle distorte modalità della realizzazione della recente globalizzazione, attualmente non esiste – e forse in un tempo lungo non potrà esistere – un globale potere pubblico; il che ci deve indurre a ritenere che si debba muovere dal riconoscimento di alcune residue ed importanti funzioni statali nella realizzazione di una sempre più ampia interdipendenza tra le connesse Istituzioni.

Inoltre, la crisi dimostra la precarietà della ricordata preminenza dei mercati e sembra dimostrare che, ancora, i mercati sono creati e determinati dalle Autorità nazionali e che quindi gli Stati li possono revocare, correggere e regolare, quando lo ritengono opportuno.

Questa considerazione può essere utile anche per affrontare il problema delle misure relative alla crisi economica, derivante dall’epidemia, rispetto alla quale non può, infatti, essere escluso che l’identità delle Banche Centrali, considerate come i “pagatori di ultima istanza”, possa acquisire un nuovo ruolo nell’immissione della liquidità necessaria ad influire sull’assetto e sull’evoluzione dei mercati stessi; nell’Unione Europea, questo processo dovrebbe determinare una temporanea o parziale revisione dei citati parametri di Maastricht, anche consentendo l’adozione di alcuni titoli del tipo degli eurobonds – proposti da alcuni Stati dell’Europa meridionale -, nella prospettiva di una mutualizzazione e di una sana “europeizzazione” dei debiti legati alla ripresa dalla medesima crisi, che, altrimenti, potrebbe anche evolversi nell’individuazione di due modalità diverse nella partecipazione all’unione monetaria, provocandone la crisi.

Rimarrà e dovrà crescere, così, l’interdipendenza tra gli Stati, che – magari in un tempo, inevitabilmente, lungo – potrà evolversi in un governo mondiale ed in un diritto pubblico – o qualcosa di simile – connesso. 

Del resto, la pandemia ha dimostrato che, davanti a questi problemi, esiste una dimensione davvero globale, sempre esistita nel mondo moderno, soprattutto dopo la nascita degli Stati nazionali a partire dal 1600.

Forse, anzi, si dovrà parlare più propriamente di una dimensione planetaria, per descrivere i principali problemi del mondo, considerati nel recente contesto. 

In questa dimensione ampia, la detta interdipendenza potrà, dunque, esprimersi in una forma più ordinata, cercando le opportune modalità di un coordinamento amministrativo e giuridico, che, muovendo dalla dialogante e gradualmente superabile autonomia ed apertura degli Stati, affronti i problemi rilevanti globalmente, come è nel caso dell’ambiente. 

Queste questioni pongono delle sfide importanti ai partiti collocati nella storia della sinistra – soprattutto europea – che si riconoscono nella tradizione del socialismo e della socialdemocrazia, la quale ufficialmente in Europa è stata spesso incline ad un’acritica lettura dei principi del “neoliberismo”, affermati con il descritto processo globale e nell’integrazione europea. 

In questo modo, probabilmente, nella critica alle distorsioni di questo processo e nella riscoperta di una nuova dimensione della difesa del ruolo degli ultimi e degli oppressi – affermata anche rispetto alle descritte realtà sovranazionali –, sarà possibile individuare un’importante missione, che, più generalmente, la politica, dirigendo e determinando l’evoluzione della complessa realtà contemporanea – nella quale il ruolo della tecnica, nel passato, è stato, invece, invasivo e limitante –, potrà esercitare sia sul piano nazionale sia nell’ambito ultrastatale.

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