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Coronavirus: il Governo è scappato a Brindisi


20 Apr , 2020|
| Sassi nello stagno

In effetti è proprio nei momenti più bui, quelli nei quali la crisi è più nera, che un leader ha l’opportunità di scavare un solco davvero profondo nella memoria storica del popolo. Quando te la passi male, quando te la vedi brutta, volgi lo sguardo alla figura di riferimento, alla guida, e ti aspetti un indirizzo fatto di pienezza, di contenuti, di autorevole sostanza: delle sue scelte ricorderai tutto, di come ti ha tirato fuori dai guai o di come invece ti ci ha lasciato dentro fino al collo.

Affrontare una tempesta è una sfortuna, certo, tuttavia concorderete sul fatto che avere Nemo al timone possa essere meglio che rassegnarsi a Schettino.

A noi è capitata questa politica qui, con questi volti, con questi personaggi: gente che riteneva “remota” l’ipotesi di un’esplosione dei contagi in Italia; quelli che andavano a farsi gli aperitivi invocando la normalità per poi finire in ospedale; alcuni che giravano per gli aeroporti chiedendo di riaprire tutto all’inizio della pandemia, per poi essere costretti a rimuovere rocambolescamente i filmati dai social; altri che celebravano il “modello italiano” emulato da tutti e che alla fine conta un numero di morti semplicemente spropositato.

Un disastro, davvero un disastro e mai come in questo caso il pesce puzza proprio dalla testa.

Abbiamo assistito a un teatrino nel quale la politica si è pian piano defilata decidendo di recitare una parte di mera comparsa: qual è stato il ruolo del Governo in questa crisi? Su cosa ha messo inequivocabilmente la firma con coraggio e con nettezza? Per cosa sarà ricordato quando tutto sarà finito?

La politica italiana si è dimostrata contraddittoria, incerta sull’indirizzo da intraprendere e soprattutto divisa: in seno alla maggioranza, all’interno dell’opposizione, tra i diversi livelli amministrativi, all’estero.

La politica italiana è scappata e poco prima di rifugiarsi a Brindisi ha deciso di affidare il Governo provvisorio a un comitato di “tecnici” che nel corso del tempo hanno affermato tutto e il contrario di tutto. Il Coronavirus ha ammazzato tanta gente, ha buttato giù innumerevoli presidi, ma di certo la vittima eccellente è stata la politica quella vera. Ne abbiamo infatti vista un’altra con le sue non-scelte, con le sue non-decisioni, con i suoi non-indirizzi, con la sua non-assunzione di responsabilità, con la sua irragionevolezza, con la sua iniquità.

Partiamo da un esempio. Continuano a ripeterci che con questo virus ci dovremo convivere, non è debellabile nel breve o medio periodo, ma allora qualcuno deve assolutamente spiegarci come sia possibile che ad oggi situazioni tanto diverse tra loro vengano governate con le stesse identiche misure. Nel momento in cui si scrive, la Lombardia conta 34.587 casi positivi, il Lazio 4.365, l’Umbria 424, il Molise 213. Applicare identiche misure di contenimento a situazioni drammaticamente tanto diverse tra loro ha del demenziale: a situazioni differenti si devono indirizzare misure differenti, specifiche, peculiari. È questo il compito della politica quella vera, è questa la responsabilità che la politica oggi ha il dovere di assumersi. È evidente, infatti, che applicare lo stesso identico regime di misure a contesti tanto avulsi induca a ipotizzare: a) che nelle regioni più colpite le misure siano evidentemente troppo deboli; b) nelle zone meno colpite le misure siano spropositatamente invasive. Delle due l’una e non si scappa.

Non importa, non ha importanza, il Governo è a Brindisi: si fa quello che dicono i tecnici.

Il problema grosso però si crea quando qualcuno prova a occuparli quegli spazi: ti tocca ascoltare Santori che propone una flat tax addizionale con aliquota all’1% uguale per tutti. Il paladino della sinistra nostalgica e per certi versi un pochino rincoglionita che va in TV a proporre un modello di imposizione fiscale per definizione iniquo, anticostituzionale. E niente, continua lo show e sulla stessa rete qualche sera fa abbiamo dovuto assistere all’appello di una regista italiana che affida “alle donne” la battaglia per un’Europa forte, basata sul settore pubblico, come se il sesso costituisse di per sé una discriminante di una qualche significanza in materie come queste: come se la Lagarde non fosse una donna, come se la Von der Leyen non fosse una donna, come se la Merkel non fosse una donna. E “brave!”, esulta la conduttrice: contente voi, contenti tutti.

Attori del vuoto, dell’insignificante nel senso letterale del termine, dello scialbo nella sua accezione più piatta e pericolosa.

Se però un atto di tradimento politico vero vogliamo individuarlo nella sua più palese evidenza questo non può che essere il Decreto Liquidità: un vero e proprio obbrobrio, una truffa ordita da una politica impotente, pavida e incapace, un inganno a tutto tondo ai danni del Paese e soprattutto degli ultimi, di chi ha più bisogno d’aiuto in questo momento.

Detto in parole povere, il Decreto è stato raccontato come una poderosa iniezione di centinaia di miliardi messi a disposizione delle aziende italiane, per far fronte al difficilissimo momento storico nel quale versano. Ci è stata raccontata la favola del Governo che mette mano al portafoglio e sborsa miliardi su miliardi in favore delle aziende e, nelle giornate precedenti all’emanazione del decreto, qualcuno parlava di prestiti persino a interessi pari a zero.

La prima cosa vergognosamente opinabile è il fatto che in un momento del genere a qualcuno venga in mente di fare un prestito alle aziende. Proviamo però a spostare momentaneamente la lente di ingrandimento sulla dinamica che il Governo intende assolutamente evitare: non è infatti il fallimento delle aziende in sé a disturbare il sonno del Presidente del Consiglio, bensì le conseguenze che esso comporterebbe. Tantissimi creditori perderebbero di colpo la speranza di vedersi onorati i pagamenti, tra questi molti lavoratori che perderebbero il proprio sostentamento e tanta tanta gente improvvisamente per strada, senza lavoro e senza mezzi. Il collasso delle aziende italiane comporterebbe un pauroso effetto domino e una pericolosa escalation di tensione sociale che l’esecutivo ha ritenuto (giustamente!) di evitare. Il problema è come ha pensato di risolvere il problema: piuttosto che intervenire direttamente, con la creazione di debito pubblico (in senso tradizionale) e con la distribuzione “a pioggia” di risorse a fondo perduto da indirizzare al mondo del lavoro e alle famiglie, il Governo ha ben pensato di scaricare la patata bollente sui privati, sulle imprese, sul debito privato.

Eccolo, di nuovo, il Governo che scappa a Brindisi: venendo meno ai suoi doveri, alle prerogative che la Costituzione e in generale il contratto sociale riconducono allo Stato, il peso viene scaricato interamente sul Popolo che per salvare se stesso è costretto a indebitarsi. E il Governo non caccia assolutamente una lira, si limita a fare da “garante”. Almeno c’è il tasso zero, dirà qualcuno, ma si sbaglia: l’imprenditore dovrà accollarsi il costo di questa garanzia (si, esatto, la paga!) che arriva fino al 2% da aggiungersi al costo (calmierato) del finanziamento da riconoscere alla banca. Non sono tassi contenuti: si consideri che essi erano assai vicini allo zero già prima che la pandemia scoppiasse e che alcune banche erano arrivate persino a riconoscere il “tasso negativo” ai propri clienti. Vale a dire che se i clienti versavano 100 sul conto, dopo un anno si sarebbero ritrovati qualcosina in meno. Scherzando e ridendo, alla fine del giochetto può essere pure che qualcosa ce la guadagnino: cose dell’altro mondo.

Si aggiunga che se l’imprenditore chiamato a indebitarsi al posto dello Stato per pelargli la gatta non fosse in grado di onorare il debito, verrebbe ovviamente assalito dai creditori (altre aziende, fornitori o gli stessi lavoratori) e, indovinate un po’, chi avrebbe di diritto il ruolo di creditore privilegiato con prelazione? Proprio lui, lo Stato.

È triste: abbiamo assistito alla sublimazione del nulla, alla paradossale condensazione del vacuo, all’irrazionale apparizione del’inconsistente. Siamo governati da una politica senza spina dorsale, senza coraggio, senza idee. Al timone c’è una politica vigliacca che per anni ci ha indotto alla rassegnazione per le cause di forza maggiore codardamente create ad arte: la crisi, la disoccupazione, il vincolo esterno, l’UE, “i soldi che non ci sono”. E oggi, proprio oggi che qualcuno avrebbe potuto consumare l’opportunità di dimostrare la propria diversità, la propria altrità, la propria reale vocazione popolare, si decide invece di scappare a Brindisi lasciando il Popolo nella sua più indigente solitudine. Quantomeno ci facciano tornare a vivere laddove possibile, nei luoghi dove il virus, solo lui, dimostra un po’ di clemenza.

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