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Fase 2: La famiglia e i rigurgiti del patriarcato
“L’Italia è una repubblica fondata sulla famiglia”. Potrebbe parafrasarsi in questo modo l’articolo 1 della Costituzione, alla luce delle ultime dichiarazioni del premier Conte che preannunciano i contenuti del DPCM per far fronte all’emergenza Covid 19, in vigore dal prossimo 4 Maggio.
Il decreto preannuncia la chiusura delle scuole fino alla fine dell’anno scolastico, tiene fermo il principio di distanziamento vietando il trasferimento da una regione all’altra e confermando i divieti di spostamento all’interno della stessa regione se non per i motivi già contemplati nei decreti precedenti: esigenze lavorative; ragioni di necessità o salute. A queste motivazioni, se ne aggiunge però una nuova: la possibilità di far visita ai congiunti, seppure con molta cautela. Il premier Conte si sofferma accuratamente sul punto, illuminando egli stesso la ratio ispiratrice della norma: “Siamo consapevoli che molte famiglie sono state separate, molti nuclei familiari, genitori con figli, figli e nipoti con nonni: vogliamo quindi consentire loro delle visite”.
Un dichiarato omaggio alla famiglia, quindi, confermato dall’altra significativa novità del decreto: il ripristino dei riti funebri con un numero limitato di partecipanti, anche in questo caso non persone care tout court, ma rigorosamente congiunti.
La famiglia, quindi, è l’unica istituzione che il Governo dimostra, se non di tutelare, almeno di considerare (insieme, forse, alla Religione Cattolica, a cui Conte dimostra un certo favor – comunque insufficiente per placare i malumori dovuti ad una prolungata sospensione dei pubblici culti – ringraziando pubblicamente la sola CEI per la collaborazione dimostrata durante l’emergenza). Una famiglia, quella tratteggiata dalla parole del premier, di tipo “tradizionale”, a cui non si accede se non per vincoli di nascita o per il legame del matrimonio. Un corpo intermedio che manifesta ancora una volta il suo valore di zona franca dal diritto. Le indicazioni del premier rispetto agli incontri coi congiunti (“Saranno visite mirate, fatte nel rispetto delle distanze di sicurezza, con l’adozione di mascherine e quindi con divieto di assembramento”) poco hanno a che fare, infatti, col diritto in senso stretto: possiamo piuttosto considerarle dei meri suggerimenti: sarà difficile immaginare che le violazioni di queste diposizioni, all’interno delle mura domestiche, possano essere in qualche modo perseguite e sanzionate.
Alla famiglia, come è già avvenuto nella fase 1, il decreto anche nella fase 2 attribuisce tutto l’onere della riproduzione sociale: la cura dei bambini, la cogestione della smart school, la cura degli anziani. Sappiamo già che, nella fase 1, queste attività sono già state svolte prevalentemente dalle donne, le quali in alcuni casi hanno lasciato il loro lavoro extradomestico, o lo hanno portato avanti tentando una conciliazione (difficilissima) tra vita professionale e impegni privati. Eppure questo sforzo appare del tutto naturale al premier Conte, che nel suo discorso non dedica neppure una parola di ringraziamento alle donne e anche quando, dopo la conferenza stampa, viene sollecitato da una giornalista sul tema della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita, si limita a rispondere che la didattica a distanza sta funzionando abbastanza bene (omettendo i costi in termini di esclusione sociale che la DAD produce), ringraziando (doverosamente) il corpo docente, ma non facendo alcun riferimento al lavoro che viene svolto a casa, tra le mura domestiche, dalle famiglie, dalle donne. La concezione patriarcale di famiglia che traspare in tutto il discorso del premier non solo mortifica gli affetti che si muovono all’esterno del nucleo familiare tradizionale – amicizie, legami sentimentali non riconducibili alle relazioni familiari, relazioni occasionali – ma sembra ignorare le più importanti battaglie portate avanti dal femminismo moderno e contemporaneo: per la parità di diritti; per il riconoscimento sociale, giuridico ed economico del lavoro di cura e di riproduzione sociale, per la libertà di costruire la proprio rete di affetti liberamente, anche al di fuori della cerchia familiare.
Poche ore dopo il discorso di Conte, il riferimento ai congiunti ha scatenato non solo la prevedibile ironia della rete, ma anche il commento di costituzionalisti come Antonio Baldassarre, il quale ha sollevato dubbi sui profili di costituzionalità del provvedimento e ha individuato nel discorso del premier “il pregiudizio familistico di cui parlano gli studiosi stranieri quando si discute dell’Italia”. Da parte di associazioni per i diritti come l’Arcigay, è stato ritenuto discriminatorio e pertanto “inaccettabile il riferimento ai congiunti” ed è stata minacciata la disobbedienza. Tutto questo ha costretto il Governo ad alcune (incerte e deboli) aperture, come quelle ai fidanzati o alle unioni durature: un’interpretazione estensiva che non ribalta certo l’impianto ideologico sotteso al provvedimento e la logica familista che lo ispira, enunciata d’altra parte dallo stesso premier con cristallina chiarezza.
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