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Conte si, Conte no, Conte un caz
Che nostalgia per il vecchio dilemma cantato da Ricky Gianco e parafrasato nel titolo. Del resto, che il Presidente del Consiglio in questi giorni sia al centro di una polemica sollevata ad arte da un noto esperto di fumo e polvere (negli occhi) chiamato Matteo Renzi è piuttosto palese. Che ciò sia qualcosa di serio di cui occuparsi, come fanno i giornalai in bulimica astinenza da scoop, è alquanto opinabile.
Ma procediamo con ordine.
Prima questione
Conte e il suo governo sono sotto un triplice fuoco incrociato, abilmente ravvivato sia da Renzi che da alcuni piddini (oltre che, ovviamente, dall’opposizione): quello delle beghine della Cei per una limitazione al diritto di culto, quello dei liberal-libertari-liberitutti per una limitazione al diritto di movimento (e relativo diritto di accoppiamento extra-moenia), quello degli esercenti che si sono visti allungare oltre il previsto il diritto di aprire le serrande. Sia chiaro, in linea di principio si tratta di osservazioni in parte sensate, ma che differiscono tra loro nettamente. Se le prime due, infatti, afferiscono alla sfera della tutela delle libertà individuali e dei cosiddetti diritti civili, la terza ha molto più a che vedere con il diritto sociale a godere della “libertà di non morire di fame”.
Nel contesto emergenziale in cui ci troviamo, in cui sono più le incognite sulla propagazione del virus che le certezze al riguardo, è comprensibile che un governo decida di rimanere cauto nell’allentamento delle misure di quarantena. È in tale situazione che vanno contestualizzati i diritti elencati sopra, poiché non hanno lo stesso valore come vorrebbero farci credere i renziani e l’opposizione: se il diritto di espressione del proprio culto e quello di movimento possono essere ulteriormente sacrificati per altre settimane senza mettere a repentaglio l’esistenza materiale di milioni di individui, lo stesso non si può dire del diritto sociale ad avere i mezzi economici per garantire a sé e alla propria famiglia una vita dignitosa, senza essere costretti a passare notti insonni per le angosce dovute all’impossibilità di pagare mutui, affitti e bollette incombenti.
Quindi, giungiamo a una prima conclusione: in questo preciso momento la garanzia dei diritti economici è più cogente della garanzia dei diritti di espressione del culto e di libertà di movimento. Vescovi e amanti in fregola si mettano in coda: prima ci sono gli stomaci da riempire.
Seconda questione
I renziani non hanno mai nascosto il desiderio di allentare il blocco e tornare alla “normalità”, in spregio ai reali rischi che tale allentamento potrebbe comportare. Forse che il darwinismo anagrafico, cavalcato fin dai tempi dell’antica rottamazione piddina, consenta loro di accettare gli eventuali effetti devastanti sulle fasce più anziane e deboli della popolazione di fronte a un riacutizzarsi del contagio? Probabile.
L’asse di governo M5S-PD, invece, preferisce ridurre le garanzie sul rispetto dei diritti sociali e sui diritti civili pur di non correre il rischio di affrontare un nuovo picco di ricoveri come quello che a marzo e aprile ha ridotto il nord a un lazzaretto.
Due posizioni opposte, dunque, che potrebbero apparire naturalmente destinate alla resa dei conti. Attenzione, però, perché qua viene il bello: a entrambi va benissimo questa baruffa. Sì, avete capito bene: a entrambi. Perché il fumo e la polvere sollevati consentono di creare le basi di una nuova polarizzazione, quella tra “permissivisti” e “rigoristi”, che finirà per dividere l’opinione pubblica (artatamente fomentata dai media-spazzatura a reti unificate), distogliendola dal vero nodo, che tutti, renziani, piddini e grillini, desiderano sia espunto da qualsiasi discussione: ovvero che sia possibile tutelare i diritti sociali e poi, in un secondo momento, anche i diritti di culto e movimento, senza per questo rinunciare necessariamente alla tutela della salute pubblica.
Insomma, le seconda conclusione è che la polemica tra favorevoli all’apertura e favorevoli alla chiusura risulta soltanto un giochino funzionale a entrambi, poiché copre le ragioni per cui, nella nostra situazione, non si possono tutelare diritti sociali, diritto alla salute e, un passetto dietro, alcuni diritti civili.
Terza questione
“Eh, la fai facile tu”, potrebbe osservare il debunker strafatto di fact-checking à la Open: “che è ‘sta mandrakata che puoi avere tutto? Qualunquista! Populista! Ignorante!”.
Ragioniamo. I milioni di italiani che stanno tirando la cinghia non possono essere abbandonati, lasciando loro l’unica soluzione di mettersela al collo e penzolare a mezzo metro da terra.
Ma per rispondere alle loro sacrosante richieste, è inammissibile che si metta a rischio la salute pubblica.
Che si potrebbe fare, dunque? Due cose, innanzi tutto:
1) assicurare un dignitoso reddito statale della durata di due o tre mesi per milioni di autonomi e precari che altrimenti resterebbero col culo per terra. In questo modo, si potrebbe convincere gli italiani a prolungare la quarantena, senza che per sopravvivere debbano affidarsi alle gentilezze del cravattaro sotto casa o debbano scendere in piazza per pretendere tutte le riaperture, subito e a qualunque costo;
2) procedere a una riorganizzazione delle strutture sanitarie affinché siano pronte ad affrontare un eventuale aumento dei contagi. Ciò comporterebbe che l’investimento sia immediato e duplice: sia negli ospedali (con relativo potenziamento del personale), sia nei presidi territoriali con medici di base e guardie mediche anti-covid pronti a intervenire con tamponi e cure domiciliari tempestive ai primi sintomi della malattia. Tale copertura permetterebbe, progressivamente, di garantire un più ampio diritto al movimento, escludendo, in caso di aumento dei contagi, il rischio di un collasso sanitario.
Tuttavia, per fare questo servirebbero soldi. Tanti soldi. E subito.
Ma proprio qua casca il teatrino imbastito dai “permissivisti” e dai “rigoristi”. Perché nessuno di loro ha intenzione di ammettere pubblicamente che la mandrakata, che riuscirebbe a placare gli animi degli italiani, non si può fare a causa dei vincoli europei per il reperimento delle risorse necessarie.
Infatti:
- non abbiamo una Banca Centrale degna di questo nome che, come negli Stati Uniti, in Giappone, in Gran Bretagna, in Cina, in Canada e in Australia, si metta al servizio delle necessità dei governi con una monetizzazione del debito;
- abbiamo una BCE balbettante e mai messa seriamente con le spalle muro al fine di provare a costringerla, in barba allo statuto, a fare quanto fanno le “sorelle” degli altri Paesi di cui sopra;
- abbiamo assistito a una clamorosa debacle italiana al Consiglio europeo, visto che è stato raggiunto un accordo che prevede soltanto prestiti condizionati, di entità ridotta e spalmati su un periodo talmente lontano che davvero, per allora, potremmo essere tutti morti;
- ci troviamo con un governo che al suo interno ha, da una parte, una corrente ideologica euro-unionista (piddina e renziana) che per ignoranza e malafede si è rifiutata di esigere il dovuto in sede europea e, dall’altra, un ircocervo senza capo né coda (chiamato Movimento 5 stelle) che ha vigliaccamente chinato il capo senza colpo ferire;
- siamo privi di un reale piano B con cui fare la dovuta pressione in UE, come denunciato da Alberto Bradanini su “La Fionda”
E allora, cari lettori, “Conte sì” o “Conte no”? Conte un caz, naturalmente. Perché il dilemma è mal posto. E ci induce soltanto a guardare un dito sporco di fumo e polvere, scordando che lassù la luna sta calando sempre più in fretta dietro nuvole grigie, tendenti al nero. Con buona pace delle beghine in astinenza di salmi, dei trombamici in astinenza di amplessi e, soprattutto, dei poveri cristi che ogni giorno sentono la cinghia stringersi sempre più, un po’ in vita e un po’ alla gola.
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