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Agguati e libertà liberiste. Contro gli opposti centrismi


4 Mag , 2020|
| Sassi nello stagno

Che il quadro politico e il mondo culturale e dell’informazione in Italia si fosse spostato radicalmente a destra lo avevamo capito da tempo, ma visto che al peggio non c’è mai fine, in questa pandemia abbiamo assistito ad un’ulteriore accelerazione. Sono usciti infatti a distanza di pochi giorni un appello e un controappello, su due storici quotidiani della defunta sinistra italiana (morta forse “con” Covid, ma piena di patologie pregresse) che mostrano bene lo stato delle cose.

Il Manifesto, quotidiano comunista, che dovrebbe essere – anche guardano alla sua storia – la voce del conflitto sociale, ci invita a smetterla con gli agguati al Presidente Conte e al Governo, denunciando giustamente gli attacchi da destra, omettendo però di specificare cosa significano questi attacchi, che posizione ha il governo rispetto a queste pressioni, e perdendosi in una seria di esilaranti eufemismi, tra i quali spicca il capolavoro: “Il governo Conte non è il migliore dei governi possibili” e fino a qui ce ne eravamo accorti, ma… “sempre che da qualche parte possa esistere un governo perfetto”. Insomma i limiti del governo Conte derivano esclusivamente dal principio teologico per cui le cose mondane non possono imitare la perfezione divina, o forse da quello filosofico, per cui quando le forme ideali vengono calate nel mondo, si fanno spurie e imperfette. Altrimenti, fuori da questi limiti ontologici, forse Conte la perfezione la poteva raggiungere. Insomma una generica difesa di un governo di centro, che in effetti sul piano dell’emergenza sanitaria qualcosa di giusto lo ha fatto. Ma forse è un po’ poco per un quotidiano comunista. Ci saremmo aspettati di vedere nominata Confindustria e le sue pressioni sul governo, e i cedimenti del governo (di cui diremo dopo). Ci saremmo aspettati due parole sul fatto che Conte nelle sue conferenze stampa chiede sacrifici a tutti, ringrazia giustamente medici e infermieri, ma non nomina mai gli operai. Ci saremmo aspettati una critica al fatto che le misure messe in atto in termini economici e sociali sono totalmente inadatte e di conseguenza, una riflessione, anche minima, sulla disfatta finale nella contrattazione con i paesi del nord in sede europea. Insomma una denuncia della continuità con il governo della crisi puramente regressivo che ha caratterizzato tutti i governi degli ultimi dieci anni. Ci saremmo aspettati, ma forse no, perché sono anni che ci siamo abituati, qualcosa di più della chiamata in causa dei limiti ontologici delle cose umane, forse un po’ di analisi materialista, da un quotidiano comunista.

Ma se i comunisti ormai sono moderati centristi, sembrerà logico a questo punto che il quotidiano della sinistra liberal sia diventato – in questo caso, va detto, anche a causa di un cambio di proprietà e di direzione – il giornale del centrodestra liberista. E infatti il controappello di Repubblica, sotto forma di lettera aperta a Mattarella, arruola lo scrittore (sul piano letterario di grande valore) Mario Vargas LLosa, voce nota della destra liberal-conservatrice, per denunciare la resurrezione – cito – dello “statalismo, l’interventismo e il populismo con un impeto che fa pensare a un cambio di modello lontano dalla democrazia liberale e dall’economia di mercato.” Contro lo statalismo, il populismo e l’interventismo, per il liberismo, per la libertà del mercato: cos’è se non destra liberista? Che in questa fase si fa particolarmente inquietante, nella misura in cui va a sostenere le pressioni per mandare i lavoratori al macello.

Ma cosa sarebbe la destra liberista senza un po’ di scontro di civiltà in pieno stile yankee e un po’ di suprematismo politico-morale occidentale? E arriva pure quello: “Purtroppo oggi il modello cinese più che un riferimento sanitario sembra essere diventato una scelta politica. Ma noi siamo uomini liberi, italiani, occidentali.”

Questo mix di antistatalismo, liberismo economico, rivendicazione della libertà individuale da far west, e posizionamento geopolitico anticinese mette d’accordo una bella platea di intellettuali di riferimento, dalla destra c.d. nazional-populista (che non ha niente di autenticamente populista) al centrodestra liberal-conservatore: da Massimo Boldi a Paolo Becchi, da Bernnard-Henri Levy ad Alberto Bagnai. Questo “assembramento pittoresco” dà l’impressione che si stia compattando un’area liberista e conservatrice fortemente ancorata sulla sponda atlantica, che in questa fase ha come riferimento il paladino delle libertà Donald Trump arruolata per un’offensiva anticinese.

Infine, ammesso che non ci identifichiamo né con il centro di governo né con il centrodestra d’opposizione, né con l’appello del Manifesto né con quello di Repubblica, cosa dobbiamo intendere, in una concezione autenticamente democratica e antiliberista, per libertà? E quali scelte politiche avrebbero permesso una maggiore concessione di libertà al popolo italiano?

Se nella prima fase, quando l’epidemia stava esplodendo la libertà andava ridotta, giustamente, alla sua dimensione più essenziale di “libertà dalla morte”, contro la “libertà di (far) morire (gli altri)” che l’economia del profitto reclamava, cioè di sicurezza in senso universalitico, ora le cose sono più complesse. Già in quella fase infatti si era vista una certa debolezza del governo di fronte alle pressione economiche, e ci sono stati ritardi nella chiusura. Ma poi, il vero punto dirimente era mettere in campo politiche che garantissero la “libertà materiale” delle classi lavoratrici, attraverso misure di welfare e di pianificazione del sistema economico produttivo nazionale, che sottraesse tutti al ricatto della logica della sopravvivenza economica. Solo così, solo mettendo in campo un poderoso intervento statale nell’economia, volto anche alla costruzione di un potente apparato di gestione della crisi sanitaria (con misure di potenziamento degli ospedali, tracciamento dei contagi ecc ecc), sarebbe stato possibile iniziare a riconoscere, agli individui concreti, una parte della ugualmente necessaria libertà di riappropriarsi della propria vita (quasi) pienamente.

La scelta del governo invece – anche e soprattutto a causa della sua inadeguatezza in sede europea – che Il Manifesto non denuncia è stata quella di esporsi alla oscena propaganda liberista di Confindustria, di Repubblica, della Lega, di Renzi che stanno convincendo grosse fette delle classi lavoratrici, soprattutto autonomi, che andare a rischiare di crepare è l’unico modo di sopravvivere, ad accettare cioè il ricatto della scarsità delle risorse.

Se c’era un ipotetico tetto massimo di contatti interpersonali sostenibili in questa fase, si è deciso di spostarli tutti sul lato del profitto, della necessità economica, mentre un nuovo protagonismo dello stato avrebbe permesso di prevedere un allargamento delle libertà personali. L’autoritarismo è necessario quando retrocede la capacità di decisione politica contro gli interessi economici del capitale, che, al contrario di ciò che sostiene la narrazione liberista, non hanno nulla a che vedere con le libertà individuali. Il tempo della produzione fagocita il tempo della vita.

Di:

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