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Le folli spese anni ottanta?
“Negli anni Ottanta la madre del mio vicino è andata in pensione a 36 anni: ecco perché da anni non ci sono più i soldi per la sanità! Li abbiamo tutti sprecati allora!”.
Quando, per l’ennesima volta, ho sentito un’affermazione simile da parte di un conoscente, ho pensato che quella signora “baby-pensionata” poteva essere in pericolo, perché se qualche energumeno in lutto a causa della perdita di un caro per le carenze del sistema sanitario (alias, effetto Covid19) si fosse convinto della correttezza di questa affermazione, chi gli avrebbe impedito di andare dalla signora e pretendere, magari con le cattive, che i baby pensionati come lei pagassero caro e pagassero tutto?
Vabbè, potremmo pensare, che in fondo la storia si arrangia da sola e la giustizia spiccia di strada segue vie a noi imperscrutabili, ma sinceramente a me spiacerebbe che quella donna, e pure i politici che ne hanno consentito l’uscita prematura dal lavoro per occuparsi dei figli senza perdere una fonte di reddito, dovesse pagare per una colpa quanto meno mal attribuita dal punto di vista economico. Dal punto di vista etico e politico, senza dubbio, potremmo eccepire sulla spesa per le baby pensioni, ma sul piano economico è meglio mettere i puntini sulle i ed evitare che gli energumeni si facciano giustizia da sé per una ragione sbagliata.
Orsù dunque, proviamo a cercare di capire da dove possa derivare l’alto rapporto tra debito pubblico e Pil emerso nei primi anni Ottanta (ricordiamo che fino al 1981 il rapporto debito/Pil era inferiore al 60%) che porta ancora oggi la vulgata a dire con eleganza che “se sémo magnati tutto”.
Il falso mito delle cicale
A partire dagli anni Ottanta abbiamo forse esagerato con la spesa per le aziende di Stato, per le politiche del lavoro, per le pensioni (comprese le baby), per l’assistenza sociale, per la sanità, per l’istruzione? No, anzi. I famigerati anni Ottanta hanno visto un calo della spesa pubblica in tutte le voci precedenti.
Ma allora, se non abbiamo “buttato soldi nella spesa pubblica improduttiva” (come amano dire i Cottarelli-boys), com’è possibile che il rapporto debito/Pil si sia impennato proprio a partire dagli anni Ottanta?
Le ragioni si possono facilmente rintracciare nei numeri presenti nella seguente tabella, che è stata elaborata sui dati ufficiali forniti dal MEF (Ministero di Economia e Finanza) consultabili nel seguente documento:
Percentuale media di spesa divisa per settore sull’intera spesa pubblica annuale italiana
Voci di spesa | Anni Settanta 1969-1978 (dall’autunno caldo allo Sme) | Anni Ottanta 1979-1992 (dallo Sme a Maastricht) | Anni Novanta 1993-2002 (da Maastricht all’Euro) | Anni Duemila 2003-2009 (dall’Euro alla grande crisi) | |
Spesa per interessi | 6,8% | 15,3% | 18,3% | 10,7% | |
Rimborso prestiti | 3,7% | 13,8% | 25,3% | 27,7% | |
Spesa per il personale amministrativo pubblico | 23,8% | 15,4% | 10,5% | 13,2% | |
Interventi sociali Comprende: Assistenza socialePensioniPolitiche del lavoroSanità | 16,1% | 21,2% | 15,4% | 13,2% | |
Istruzione e cultura | 14,1% | 9,0% | 8,5% | 9,4% | |
Investimenti produttivi di Stato | 29,8% | 24,8% | 12,1% | 8,1% |
Interessi sul debito e dove trovarli
I dati forniti dal MEF ci raccontano che a incidere pesantemente sulla spesa pubblica italiana degli anni Ottanta furono i rimborsi e gli interessi sul debito pubblico, che passarono complessivamente dal 10,5% medio degli anni Settanta al 29,1% medio del “lungo” decennio successivo. In pratica triplicarono il peso del loro fardello. A controbilanciare queste spesa realmente improduttiva (che infatti andò ad arricchire gli investitori, in particolare banche, finanziarie e grandi società per azioni) furono la diminuzione della percentuale sulla spesa destinata agli investimenti produttivi di Stato (con progressiva distruzione delle grandi aziende pubbliche), alla spesa per il personale amministrativo (alla faccia di chi pensa che in Italia ci siano solo impiegati statali o regionali) e all’istruzione e alla cultura (no comment).
Inoltre, la famosa “esorbitante” spesa per l’assistenza sociale, le politiche per il lavoro, la sanità e le pensioni (comprese le baby) ebbe un incremento del solo 5% (dato inferiore al vero boom del rimborso dei prestiti e degli interessi) per poi diminuire costantemente negli anni Novanta e Duemila (con buona pace del nostro welfare).
Insomma, se il rapporto debito/Pil cominciò a dirigersi verso quota 100% per poi superarla non fu per la presunta spesa “ad minchiam” che lo Stato destinò ai servizi pubblici, ma per le cedole pagate ai rentiers, cioè a quelli che fecero i soldi coi prestiti allo Stato.
Come si giustifica, potreste chiedere a questo punto, tale esplosione? Le ragioni sono le seguenti tre:
1) l’entrata e la successiva permanenza dell’Italia nello SME (Sistema Monetario Europeo) risalente al marzo 1979 (e tanto avversata in Parlamento dal PCI) costrinse il nostro Paese ad alzare e adeguare i tassi d’interesse nominali a quelli tedeschi (che facevano da riferimento per lo SME) che erano più alti di quelli italiani;
2) la stabilità dei tassi di cambio tra le varie monete dei Paesi aderenti allo SME finì per ridurre la possibilità di svalutazione dell’Italia (naturalmente possibile in un sistema di cambi realmente flessibili come quello precedente) riducendo l’inflazione, ma portandosi via quello che di buono fa l’inflazione, ovvero ridurre il peso del debito pubblico. In questo modo, l’Italia si ritrovò sul groppone interessi vivi in costante ascesa;
3) il divorzio Tesoro/Banca d’Italia trasformò progressivamente la nostra Banca Centrale in un ente del tutto indipendente dal governo, riducendo gli interventi di sostenibilità nei confronti del debito pubblico. Venne infatti eliminato il conto corrente di tesoreria (di fatto uno straordinario bancomat a fondo perduto a disposizione del governo che copriva fino al 14% del bilancio statale) e si lasciò l’Italia da sola a fare i conti con gli interessi decisi dal mercato, senza che la Banca d’Italia ne mitigasse l’effetto. Dal 1975, ricordiamolo, la nostra Banca Centrale si era impegnata ad acquistare alle aste tutti i titoli non collocati presso il pubblico, finanziando quindi gli ampi disavanzi del Tesoro e tenendo i tassi d’interesse molto bassi. Dal 1981 non fu più possibile e i tassi d’interesse pagati sul debito, ovviamente, schizzarono in alto.
Cornuti e mazziati
Quante volte ci siamo sentiti ripetere che tagli ai servizi, blocchi dei salari e svendite di aziende pubbliche strategiche sono stati il conto da pagare a causa della gigantesca spesa pubblica che politici senza ritegno utilizzavano per ingrassare le proprie clientele, incuranti degli effetti nei decenni a venire? Lungi da noi assolvere una classe politica corrotta e opportunista. Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare e se alla Prima Repubblica possiamo imputare soprattutto il terribile danno di immagine dello Stato e dell’amministrazione pubblica, non possiamo nascondere che le ragioni dell’aumento del tanto famigerato rapporto debito/Pil iniziato quarant’anni fa sia da attribuire ad altre ragioni e a una parte della classe politica – magari meno chiassosa, meno frivola, meno puttaniera se volete – che ha stretto due salde ganasce alla macchina statale, lasciandola in balia di chi se n’è spolpato le parti migliori.
E allora, caro energumeno che sei giustamente infuriato perché il sistema sanitario è al collasso, non andare a casa della (fu) baby pensionata per pretendere il maltolto. Guarda chi s’è fatto davvero una grande scorpacciata quarant’anni fa e chi glielo ha permesso. Così saprai a chiedere conto di tutto quel piscio che ti trovi in testa e che ancora qualcuno si ostina a chiamare pioggia.
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