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L’Italia e il Coronavirus


19 Mag , 2020|
| Visioni

N.d.R: pubblichiamo di seguito un adattamento da un pezzo apparso su KLASSEKAMPEN, Oslo, 22 Aprile 2020.

Per una famiglia come la nostra, residente a Bergamo per quasi 20 anni, le ultime settimane sono state molto drammatiche. Sembrava che le persone nel piccolo villaggio di campagna dove vivevamo, 12 km fuori città, ce l’avessero fatta. Il laconico messaggio che lanciavano era invece che a Bergamo “le persone muoiono come mosche”.

Come tutto ciò che accade, anche la crisi del Coronavirus in Italia appartiene ad un preciso contesto. Questo è rappresentato da una politica economica neoliberista che – sotto Berlusconi e Monti – ha tagliato il bilancio sanitario del Paese per 25 miliardi di euro tra il 2010 e il 2015, mentre i governi successivi, tra il 2015 e il 2019, hanno tagliato altri 12 miliardi. L’attuale spesa sanitaria in Italia ammonta a 2.326 euro per abitante. Ovvero, 2.000 euro in meno rispetto alla Germania.

Se facciamo un passo indietro nel guardare allo sviluppo economico, notiamo che il problema sta nel fatto che l’UE non ha capito il paradosso del risparmio evocato da Keynes. L’UE ha da tempo costretto l’Italia a tagliare il bilancio, il che ha determinato la contrazione dell’intera economia reale, non solo quella del bilancio complessivo. Ciò è stato sottolineato dall’economista statunitense Jan Kregel, ex responsabile della politica economica presso Confindustria. L’ideologia dell’UE è dominata dalla Germania che, a seguito dell’iperinflazione successiva alla prima guerra mondiale, soffre di una combinazione di mania di risparmio e di un culto del surplus di bilancio. La Germania rifiuta di rendersi conto che il suo enorme avanzo commerciale (di gran lunga superiore a quanto la politica dell’UE in realtà consenta) comporta necessariamente un deficit della bilancia commerciale di altri Paesi, come l’Italia. Poiché, con l’euro che funge da camicia di forza, le svalutazioni sono impossibili, secondo Kregel (si veda p. 55) l’intera zona euro diventa uno schema Ponzi: una sorta di gioco piramidale economico che, prima o poi, deve crollare.

L’UE se l’è presa comoda nell’aiutare l’Italia a fronteggiare l’enorme crisi legata al Coronavirus. Il 12 marzo, la presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha peggiorato le cose affermando che la banca “non ha ritenuto suo dovere ridurre le differenze dei tassi di interesse tra i Paesi“. Nel bel mezzo della crisi legata al Coronavirus, ciò ha fatto salire i tassi di interesse sui titoli di stato italiani e il mercato azionario è sceso del 17%.

L’inazione della Unione European ha provocato forti reazioni da molti rappresentanti politici, non ultimo Matteo Salvini che il  27 marzo ha sparato a zero sulla Unione Europea: «ora impiega 14 giorni per decidere cosa fare e se aiutare. Lasciateci a noi stessi. Prima sconfiggiamo il virus, poi ripensiamo all’Europa. E se lo reputeremo necessario, ce andremo. Senza nemmeno ringraziare.» 

Le crisi possono determinare cambiamenti nella politica economica. Il 1846, con l’abolizione della protezione tariffaria sul grano da parte dell’Inghilterra, costituì il culmine del liberalismo e del libero commercio. Con una grave crisi finanziaria nel 1847, combinata con raccolti scarsi in gran parte dell’Europa nel 1848, il quadro cambiò rapidamente, e lo stesso anno vide scoppiare rivoluzioni in tutti i principali Paesi europei, con l’eccezione di Inghilterra e Russia. Il contesto era quello degli anni ’40 del 1800, gli “Hungry Forties”. Se lo schema è stato individuato per la prima volta nell’ambito della letteratura, come con Charles Dickens, è ovvio che anche La Piccola Fiammiferaia di H.C. Andersen fu scritto negli anni ’40 del 1800.

“Le persone stanno morendo. Oggi per insufficienza polmonare, domani, forse, di povertà”, ha detto Matteo Salvini. Dopo la caduta del Muro, nel 1989, la supply-side economics è emersa come concetto politico: riduzione delle tasse e deregolamentazione avrebbero dovuto generare crescita economica. Ciò ha invece portato all’inflazione dei beni da investimento: un aumento dei prezzi dei beni strumentali come l’edilizia abitativa, ma, in molti luoghi, il calo dei salari di coloro che devono pagare l’affitto per l’alloggio. La crisi legata al Coronavirus consiste innanzitutto in una massiccia riduzione della domanda e, alla fine, dovremo riscoprire Keynes e la demand side economics.  

L’ultima volta che l’Italia ha avuto un’economia basata sulla domanda è stato negli anni ’70 e ’80. Allora appariva irresponsabile: i sindacati, politicamente radicali, premevano per l’indicizzazione dei salari in un periodo di forte inflazione. Coloro che, come noi, gestivano delle società di produzione, a quel punto capirono che l’unica soluzione consisteva nell’investire molto più capitale – quindi con un forte tasso di interesse reale negativo – su ogni posto di lavoro. Ciò fece sì che l’Italia crescesse più della Germania. Il lavoro costoso può costituire uno stimolo chiave per la tecnologia. 

In termini più generali la crisi influenza le gerarchie sociali e la relazione fra stock e flusso di capitale. Questo può riportarci a domande che non vengono affrontate nella teoria economica corrente, ma a fonti più antiche. Riscopriamo ora la nostra dipendenza da professioni che non conferiscono prestigio, le persone che lavorano nei supermercati, quelle che raccolgono i rifiuti, quelle che si occupano dei pazienti e di tener puliti gli ospedali. 

Quando si chiedeva a Martin Luther di dare un giudizio su cosa fosse bene o male, la risposta era: “È buono ciò che serve al fine della vita”. La crisi ha improvvisamente portato alla nostra attenzione che anche queste professioni di basso prestigio ‘servono la vita’. 

La crisi ci mette di fronte a scarsità economiche di grande scala. Questo può portare ad un conflitto fra lo stock di capitale non utilizzato (che possiamo identificare con Mammone) e l’uso al quale lo stesso capitale potrebbe essere impiegato per alleviare le sofferenze di esseri umani. Un antico teorico della moneta, il vescovo Nicola d’Oresme (1320-1382), si riferisce a questo tipo di dilemma quando scrive “… e fu in considerazione di ciò che Teodorico, re d’Italia (493-526), ordinò che l’oro e l’argento depositato nelle tombe pagane fosse rimosso ed usato per il conio di nuove monete. Commenta Nicola d’Oresme: “Era un crimine lasciare nascosto fra i morti, e senza uso, ciò che può mantenere in vita i vivi (De Moneta, 1355). 

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