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Rapimento e riscatto


19 Mag , 2020|
| Visioni

La vicenda di Silvia Romano è una vicenda italiana: con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi (molti) difetti. Ma prendersela con questa giovane cooperante non dico che non vale: soprattutto non serve. Silvia è protetta – anzi legittimata – dallo scudo costituzionale e, più in alto, da varie Carte dei diritti a cominciare dalla Dichiarazione universale dei diritti umani; prendersela con lei significa attaccare le Carte che, per carità, sono suscettibili di analisi critica. Ma allora ci si deve impegnare in questa direzione, con tutto quel che ciò comporta: occorre essere attrezzati per non scivolare in facili banalità. Però fermarsi a Silvia è, ripeto, inutile: lei ha semplicemente esercitato prerogative, libertà, diritti fondamentali. Se ha optato per la religione musulmana, lo ha fatto, lo ha legittimamente potuto fare, perché secoli or sono, nell’Europa squassata da Riforma e Controriforma, molti hanno affrontato il patibolo al fine di garantire de futuro l’impunità dell’alternativa alla religione di stato o alla religione dominante: per congruenza con il nostro essere occidentali, con la nostra identità, ora noi dobbiamo disinteressarci della scelta di Silvia. Attaccarla sarebbe come intraprendere una causa temeraria: la causa sarebbe scioccamente persa e a ciò si aggiungerebbe una nota di censura. Meglio lasciar stare.

 Il caso Romano è come se fosse incluso in due, anzi in tre, cerchi concentrici. Nel primo troviamo la ragazza: è l’ambito della sua sfera privata in cui lei ha il pieno dominio, un dominio esclusivo, che esclude, cioè, qualunque tentativo di interferire. Ma oltre si entra in un altro cerchio il cui diametro è più esteso, molto più esteso: in questo dominano la res publica e l’interesse della collettività o interesse generale. Silvia non è fuggita, non si è liberata da sola; né è stata liberata con un blitz delle nostre forze speciali. Una missione, quest’ultima, impossibile, almeno da noi: non tanto, penso, perché le teste di cuoio italiane non siano all’altezza, quanto perché un tal agire avrebbe suscitato polemiche a non finire, interpellanze parlamentari, richieste di dimissioni ecc. E poi non ce lo avrebbero consentito comunque, data la progressiva debolezza che ha gravemente infiacchito l’Italia nello scacchiere internazionale. Parecchi concluderebbero che è una fortuna che non ci possa permettere l’azione militare e può darsi che abbiano ragione. Dobbiamo, però, essere consapevoli che in altri Paesi, di consolidata tradizione democratica, non la pensano così e che quest’astensione italiana e la nostra acclarata propensione a pagare un riscatto divengono automaticamente criteri di cui altri fanno uso per valutare il governo e, più in generale, il carattere degli italiani.  E allora, se ci interessa acquisire consapevolezze, saperne di più, domandiamoci se questo nostro cedere ai ricatti dei terroristi aumenta o diminuisce, o conferma una volta di più, la considerazione che gli attori internazionali hanno verso di noi.

 Nei fatti abbiamo consolidato, per situazioni del genere, una specie di ethos: l’uso italiano è pagare in silenzio il riscatto. Un precedente per tutti: il caso di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, due giovani cooperanti rapite nel 2015 in Siria e poi liberate. Caso alquanto simile a quello di Silvia Romano. Fu certamente pagato un riscatto; ma la condotta dell’allora ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, suscitò a ragione più di una perplessità. A tutta prima questo ministro negò ogni pagamento; poi, di fronte a certe evidenze, interrogato nel corso di un dibattito televisivo, scelse di sorvolare, tacque, non rispose. Ma in una repubblica democratica, a sovranità popolare, il silenzio, a fronte di un’opinione pubblica desiderosa di sapere, è un’opzione congrua? Il silenzio, intendo, non circa le strategie e i movimenti della nostra intelligence, ma sul pagamento o meno da parte dello Stato. La menzogna circa le verità di fatto è sempre intollerabile; ma i nostri dirigenti politici, al fine di sbarrare le “interlocuzioni”, vi hanno talvolta fatto ricorso. Ora, negare le verità di fatto è effettivamente un tentativo di modificare il corso della storia: un’azione grave in una democrazia; il dirigente che se ne fosse reso responsabile dovrebbe essere allontanato per sempre.

 E però come valutare il silenzio? Ma è già stato scritto, da uno come Kant (Per la pace perpetua), proprio per uno stato a costituzione repubblicana: qui l’imperativo è la trasparenza più piena, a maggior ragione se in confronto dell’azione di governo vi siano lagnanze. Il segreto coperto dal silenzio non si addice a una res publica: solo disvelando sarà possibile soppesare la bontà dell’opzione governativa, che dovrà essere processata pubblicamente e in sede parlamentare per consentire all’elettorato di scegliere ponderatamente e ai futuri governanti di avere pronte linee di condotta meno censurabili perché testate all’esito del dibattito pubblico.

 Ma da noi sembrerebbe esserci qualcosa di più: un ethos ulteriore, complementare, a perfezionare la rappresentazione pubblica e a trasformarla in vera sceneggiata. Perché nel 2015 Gentiloni si precipitò all’aeroporto di Roma per accogliere Vanessa e Greta? Perché nel 2020 non solo il ministro degli esteri Di Maio ma anche il presidente del consiglio Conte sono accorsi entrambi ad attendere Silvia all’ingresso dello stesso aeroporto? Per questi due il dubbio è che si sentissero concorrenziali e che uno non avrebbe tollerato che ci andasse solo l’altro. Comunque la domanda prima è questa: Gentiloni, Conte, Di Maio erano assolutamente disinteressati – cioè non avevano alcun personale interesse – nel porgere il benvenuto alle rapite in quanto sinceramente partecipi delle sofferenze certamente patite da ciascuna di queste ragazze, oppure desideravano principalmente far bella mostra di sé, così impossessandosi dei meriti eventualmente da tributarsi a mediatori e intelligence? Una domanda che, ad essere imparziali, dovrebbe girarsi anche a Bonafede e a Salvini che, sia pur in un contesto diverso, erano corsi ad “accogliere” Cesare Battisti in consegna dal Brasile. Forse in ciò sta – o sta anche – l’ethos italiano: si tratta di condotte rispettabili?

Vi è più che il forte sospetto che in tutti questi casi i nominati dirigenti politici (e altri in casi identici o analoghi), nel mentre dichiaravano di rappresentare la Repubblica, in realtà rappresentavano sé stessi e, al massimo, i partiti o movimenti politici di cui erano (sono) parte. E Giuseppe Conte chi rappresentava? L’Italia, il governo, i partiti al governo, sé stesso? Se glielo si potesse chiedere è molto probabile che sceglierebbe la prima alternativa. Ma allora avremmo diritto ad una domanda supplementare: perché non ha avvertito il dovere di rappresentare lo Stato recandosi in un ospedale lombardo quando il virus stava uccidendo ogni giorno centinaia e centinaia di italiani? A distanza di tempo, è vero, è transitato per Milano incontrando il presidente Fontana, ma era di passaggio perché a Genova lo attendeva l’inaugurazione del ponte. Nemmeno Mattarella, dobbiamo riconoscere, ha mai ritenuto di avventurarsi al nord in tempi di Covid 19; e allora, forse, si chiede davvero troppo a Giuseppe Conte…

Nella vicenda di Silvia Romano vi è, però, un terzo, e ultimo, cerchio, che circonda gli altri due: dalla sfera privata alla sfera pubblica per giungere – terzo cerchio – alla sfera internazionale. Inevitabile: lei è italiana, la storia si è svolta in Africa, la liberazione è frutto dell’interazione di più stati, dopo il rilascio è circolata una fotografia che ritrae la ragazza con addosso un giubbetto antiproiettile corredato di mezzaluna e stella, il simbolo della Turchia. Da parte italiana ci si è affrettati a dire che quest’immagine potrebbe essere un fake. Potrebbe, ma non vi è alcun dubbio che i servizi segreti turchi siano stati decisivi. Lo ha riconosciuto, ringraziando la Turchia, anche Giuseppe Conte. Ma allora qualcuno sarebbe legittimato a pensare che, nel Corno d’Africa, l’Italia conti molto poco o davvero niente, che in breve tempo abbiamo perduto troppe posizioni e che i turchi vogliano qualcosa in cambio. I nostri dirigenti dovrebbero dare qualche spiegazione in punto  oppure questa retrocessione è irrilevante per l’Italia?

Intanto, in questo valzer di sceneggiate, come non ricordare il twitter di un altro ministro, Paola De Micheli: «Voglio ringraziare tutte le persone che in questi mesi hanno lavorato in silenzio, lontano dal clamore, per farla tornare in Italia». E poi: «Finalmente libera». Peccato che, sotto, campeggi al centro il simbolo del PD.

Se questo è il contesto della vicenda Romano, per favore non censurate, e tanto meno insultate, Silvia! Se si guardano con attenzione le riprese televisive del suo arrivo a Ciampino, è abbastanza evidente che, a fronte degli scalpitanti Conte e Di Maio, lei non si è prodigata in ringraziamenti: un saluto, un sorriso, non più di due o tre parole. A vederla così ci scapperebbe che proprio Silvia li abbia messi a posto. E se fosse, che dire? Ma complimenti!  

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