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Diavoli: una serie “contro” la finanza ma europeista. Una contraddizione in termini
“sarà domani demolita downing street e giù in rovina cadrà la testa, un epilogo al nostro passato. Domani sceglierete che sarà per voi: una vita solo vostra o un ritorno alle catene. Scegliete con cautela.”
V per Vendetta.
Si sentiva la mancanza di una serie italiana che parlasse di finanza, mentre all’estero (in realtà principalmente in USA) è da qualche anno che si producono film e serie tv sull’argomento, dai film come “The big short – La grande scommessa” e “The wolf of Wall Street”, ai documentari come “Inside jobs”, fino a serie tv come “Billions”, solo per citare alcuni dei più famosi e di qualità.
In Italia arriviamo con molto ritardo e con una serie che, a livello qualitativo, non arriva minimamente ad avvicinarsi agli esempi citati. Si salvano Alessandro Borghi e Laia Costa che riescono a tenere abbastanza bene la scena all’interno di una regia legnosa che non riesce a dare fluidità alla narrazione. Mentre Patrick Dempsey, che interpreta il cattivo, sembra messo lì per avere un nome di peso e dare prestigio alla produzione.
La cosa più interessante della serie però è la componente politico/economica che detta i tempi della narrazione durante l’avanzare delle puntate. Peccato che gli spunti anche positivi delle prime puntate vengano completamente ribaltati dalle ultime due che fanno crollare e ribaltano addirittura tutta la costruzione.
Infatti nel finale di stagione vengono a galla due punti fondamentali: 1) il concetto che la finanza, e sostanzialmente lo status quo, non è modificabile, mentre l’unica cosa che possiamo pensare di fare è cambiarne il corso accettando di giocare con le regole date; 2) conseguenza di questo è la necessità di salvare le istituzioni formali che dirigono lo status quo, nel caso della serie l’Euro.
Il primo concetto nasce direttamente dalla concezione del produttore della serie, Guido Maria Brera, il quale sostiene con una frase – che viene usata anche dai personaggi della serie – che “la finanza è come l’acqua”: è pervasiva e sostanzialmente indispensabile alla vita. Il nostro però è un “moralizzatore” e spiega in questo articolo che ”di troppa acqua si muore e di poca acqua si muore ugualmente. Ciò significa che bisogna essere molto bravi a guidare la finanza” . Insomma nella sostanza si tratta di mettere le persone giuste, nel posto giusto e in questo modo cercare di guidare nella direzione giusta il sistema, che però va mantenuto e difeso perché il costo di metterlo in discussione sarebbe troppo elevato.
Una visione sostanzialmente conservatrice, che in effetti si sposa benissimo con l’europeismo mostrato nel finale mediante la beatificazione del “whatever it takes” di Mario Draghi, con colonna sonora trionfalistica annessa. Si dimentica, tuttavia, il non trascurabile fatto che la macchina dell’euro è stata creata proprio per ricattare tramite i mercati la democrazia e che Draghi non ha salvato il popolo, come si vorrebbe far passare nella serie, ma ha solo fatto quanto necessario per riprodurre la struttura dell’euro e quindi mantenere intatto il potere di ricatto.
È interessante però il modo con cui si arriva a questa conclusione; infatti l’inizio poteva far intendere che la serie fosse effettivamente qualcosa di nuovo nel panorama culturale italiano, arrivando a riabilitare la figura di Mu’ammar Gheddafi, a mettere in discussione lo scandalo sessuale che ha coinvolto Strauss-Khan, come una montatura, e l’intervento della BCE durante la crisi irlandese, che avrebbe soltanto salvato le banche tedesche facendo pagare il costo della crisi al popolo. Ma anche la storia personale del protagonista s’inserisce in questo tipo di riletture: questi, infatti, con le sue azioni ha contribuito nel passato a creare la crisi argentina, con una ricaduta tragica anche nel rapporto con il personaggio interpretato da Laia Costa.
Ma nelle ultime due puntate si mostra in tutto il suo splendore reazionario la cifra della serie, che come da tradizione mette sullo stesso piano “gli opposti estremismi” (in questo caso il “diavolo” Dominic Morgan e Daniel Duval, il capo di un gruppo anarco-rivoluzionario che potremmo paragonare a Wikileaks) per far passare il solito messaggio: essere contro il sistema è sostanzialmente irresponsabile. Insomma, per fare un paragone con un famoso fumetto poi adattato sul grande schermo, V per Vendetta, è come se si fosse partiti con V che prepara la rivoluzione per poi, ad un certo punto, ripiegare in un “no dai, alla fine questo sistema è necessario, però mi siedo al posto di comando e vedrete che andrà tutto bene”.
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