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Sanità tedesca. Parte 1


27 Mag , 2020|
| Visioni

Nel corso di un’audizione in videoconferenza svoltasi alla fine dello scorso aprile, il ministro della Salute della Repubblica federale tedesca, Jens Spahn, ha annunciato che le cure e l’assistenza mediche saranno poste al centro delle politiche sanitarie della Große Koalition (CDU/CSU-SPD) di governo in questa fase finale della XIX legislatura del Bundestag (le prossime elezioni federali si terranno nell’ottobre 2021). Dall’ultimo voto politico del 24 settembre 2017, il tema della sanità pubblica è sempre stato al centro del dibattito pubblico e ora, in tempi di Coronavirus, è diventato ancora più urgente.

Eppure, se andiamo a guardare i dati e le statistiche in un confronto internazionale con alcuni paesi OCSE scopriamo che la Germania non è poi messa così male. Se ad esempio consideriamo il numero di posti letto in terapia intensiva ogni 100mila abitanti, vediamo che la Repubblica federale tedesca fa meglio di tutti con 34 posti letto, ma sono dati ufficiali del 2017; seguono l’Austria con 30 e gli USA con 26 posti letto ogni 100mila abitanti, entrambi con dati relativi al 2018. L’Italia ha 9 posti letto di terapia intensiva ogni 100mila abitanti, benché queste cifre ufficiali siano relative al 2020 (tutte le statistiche citate in questo caso sono tratte dal quotidiano economico-finanziario «Handelsblatt», ed. n° 80, aprile 2020).

Il dato della Germania è relativo al 2017 perché il governo aveva annunciato all’inizio della pandemia di SARS-CoV-2 di voler incrementare il numero dei posti letto nelle stazioni intensive da 28mila a 40mila, che corrisponderebbe alla cifra stratosferica di 48 posti letto in terapia intensiva ogni 100mila abitanti. Sempre secondo «Handelsblatt» i posti a fine aprile risultano invece 30.000.     

Bisogna dire che al 22 aprile 2020, nella piattaforma del DIVI (Deutsche Interdisziplinäre Vereinigung für Intensiv- und Notfallmedizin), l’associazione tedesca per la medicina intensiva ed emergenziale che coordina tutte le terapie intensive della Germania, si erano iscritti 1220 ospedali, un po’ di più della metà.

Uno dei numerosi problemi per il giovane ministro Jens Spahn (compie 40 anni questo maggio, il più giovane membro del Bundestag in tutta la storia tedesca, a 22 anni) deriva proprio dal grande numero di posti di terapia intensiva rimasti vuoti e inutilizzati. Dei 32.000 posti letto, ad esempio, ad inizio maggio risultavano occupati 19.000 e solo 2.500 di questi per pazienti Covid19, come riferisce DIVI. La pandemia ha precipitato molti ospedali in gravi crisi economiche, con la prospettiva di grosse perdite e tagli del personale. Lo Stato fornisce un bonus giornaliero per ogni posto letto vuoto, ma è insufficiente. Secondo calcoli della DKG, la società ospedaliera tedesca, il comparto degli ospedali ha perso nelle quattro settimane di marzo circa tre miliardi di euro. Dal paracadute finanziario dello Stato tedesco le aziende ospedaliere ne hanno ricevuti finora due e mezzo.

In Germania ci sono 1942 ospedali (nel 1991 erano 2400), dalle oltre 400 cliniche con meno di 50 posti alle 97 strutture da 800 posti e più, con un numero totale di 497.182 posti letto («Handelsblatt», n° 84). La Deutsche Krankenhausgesellschaft, DKG, la società ospedaliera tedesca, calcola che il 30-40% di questa capacità, circa 150mila posti letto, è al momento non utilizzata. C’è anche chi, come l’esperto del settore Boris Augurzky del RWI Leibniz -Institut per la ricerca economica, prevede un 50% di posti che rimarranno vuoti, in un mercato che ha un volume d’affari di 90 miliardi di euro.

Una delle ragioni di tutti questi posti liberi sta proprio nel fatto che ad inizio epidemia in Germania gli ospedali diligentemente avevano seguito le indicazioni del Ministero della salute (16 marzo 2020) che invitavano le strutture ospedaliere a rimandare nel futuro tutte le operazioni e i trattamenti medici non strettamente necessari, al fine di dare alle cliniche la piena capacità di affrontare l’emergenza Coronavirus. Un altro motivo invece è che anche in Germania ci sono tante persone che preferiscono non andare in ospedale a farsi curare le conseguenze di un incidente (anche cose serie come un infarto o un’ischemia) per paura di infettarsi con il Coronavirus.

“Dovremo lottare per molto tempo prima che i pazienti riconquistino la fiducia di andare in una clinica senza correre il rischio di infettarsi di Corona”, ha detto al giornale «Handelsblatt» Thomas Lemke, amministratore delegato del gruppo privato Sana Kliniken. Aggiungendo anche che la vera crisi per il settore è quella che deve ancora venire: “Dopo Covid-19 ci sarà una grande discussione su come dovrà essere strutturato in futuro il sistema sanitario tedesco”.

Ad oggi, il panorama del settore della sanità tedesca (come del resto quello di tutti gli altri Paesi) registra già da molti anni una forte tendenza alla privatizzazione. Sempre più cliniche vengono affidate alle iniziative dei privati e di conseguenza diminuisce il numero di ospedali pubblici o parastatali, ovvero quelle strutture sanitarie gestite da enti senza fini di lucro, in prevalenza religiosi, che hanno il nome di freigemeinnützige Trägerschaften. Le statistiche della DKG ci dicono che nel 2017 in Germania c’erano 560 ospedali pubblici, 662 case di cura amministrate da associazioni Onlus e 720 cliniche private. La quota del settore ospedaliero privato è passata dal 21,7% dell’anno 2000 al 37% del 2017. Dal 1991, il numero dei posti letto negli ospedali pubblici è passato da 665.565 a 497.182, che corrisponde ad una perdita di più del 20%. Nel settore privato si registra invece l’andamento opposto, con una tendenza al rialzo dei posti letto (93.189).

C’è un altro dato molto importante che non dobbiamo trascurare, ed è quello dei giorni di degenza in media in ospedale, che è passato dai 10 giorni del 1998 ai 7,3 giorni del 2017. Il motivo? Perché gli ospedali non vengono più pagati per la durata del periodo di ricovero dei degenti, bensì secondo un sistema generale di classificazione dei pazienti in gruppi omogenei che ha lo scopo di permettere di assorbire le risorse impegnate e contenere la spesa sanitaria.             

Si tratta del famigerato sistema DRG, Diagnosis Related Group, introdotto in Germania nel 2003 e noto in Italia come ROD (Raggruppamenti omogenei di diagnosi).

Il virus del (neo)liberalismo

Il sistema dei Diagnosis Related Groups, DRG (in italiano ROD, Raggruppamenti omogenei di diagnosi) è, seguendo alla lettera il Dizionario di Medicina della Treccani, un «sistema di classificazione dei pazienti dimessi dagli ospedali». Serve a definire i costi che derivano dalle prestazioni mediche e dall’assistenza sanitaria secondo parametri, continua la Treccani, «raccolti in opportuni archivi, dove vengono codificate le diagnosi dei malati degenti in ospedali (regime di ricovero ordinario o di day hospital)».

L’idea originaria di razionalizzare i costi di gestione della sanità deriva dalla ricerca della funzione di produzione delle strutture ospedaliere iniziata nel 1967 dal gruppo di studiosi intorno a Robert Fetter dell’Università di Yale, negli Stati Uniti. Il sistema fu introdotto per la prima volta nel 1983 nel Medicare, il programma tutt’oggi in vigore di assicurazione medica pubblica all’interno del sistema sanitario degli Stati Uniti per persone con più di 65 anni o disabili.

Nel corso degli anni Ottanta, il modello DRG per la gestione dei finanziamenti del sistema sanitario è stato adottato da svariati Paesi del mondo. G-DRG (German-DRG) è la denominazione della versione tedesca, i cui riferimenti legislativi si trovano, tra gli altri, nell’art.17 della Krankenhausfinanzierungsgesetz, la legge sul finanziamento degli ospedali. È proprio in seguito a quest’ultimo provvedimento che dal 2003 gli ospedali (che fino a quell’anno erano finanziati almeno per l’80% con tariffe giornaliere – Tagessätze – che corrispondevano alla reale somma dei costi sostenuti dalle cliniche) sono dovuti passare al sistema forfettario DRG (Fallpauschale), che non calcola i finanziamenti stanziati in funzione delle reali esigenze della struttura sanitaria, ma in base «all’unità di remunerazione dell’assistenza ospedaliera erogata dagli ospedali pubblici». A specificare l’entità di queste «unità di remunerazione», come sono chiamate in gergo tecnico, provvedono i ROD, i Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi. La competenza per l’introduzione e la rielaborazione del sistema DRG in Germania spetta all’Istituto per il sistema retributivo negli ospedali (Institut für das Entgeltsystem im Krankenhaus,InEK) che ha sede a Siegburg, vicino a Colonia.

In genere, le versioni dei sistemi DRG prevedono oltre 500 di questi raggruppamenti. A titolo di esempio si può vedere più da vicino un caso tratto dal programma attualmente utilizzato in Italia, la versione 24.0 dei Medicare DGR introdotta il 1° gennaio 2009. Alla malattia infettiva «Febbre del Nilo Occidentale», ad esempio, secondo che sia «non specificata», «con encefalite», «con altre complicazioni neurologiche» o solo «con altre complicazioni», vengono attribuiti quattro codici diversi, ognuno dei quali serve a classificare diversi atti medici, con diversi costi.

La Germania, come abbiamo visto, ha adottato durante il secondo governo Schröder la sua versione che si chiama G-DRG, German Diagnosis Related Groups. Dal 2004 tutte le cliniche tedesche sono tenute per legge a calcolare i costi delle prestazioni mediche tramite le tariffe forfettarie dei G-DRG (in tedesco diagnosebezogene Fallgruppen). In pratica, le cliniche e gli ospedali sono costretti da allora a impostare i propri programmi di terapia e cura non in base a criteri medico-sanitari, che mettono al centro di tutto la salute del cittadino, ma in base a parametri economico-aziendali che trasformano gli ospedali in aziende ospedaliere, le quali fanno quello che devono fare tutte le aziende, cioè rendere, fornire un utile. 

Vale la pena citare il commento di Michael Simon, professore all’Istituto di scienze infermieristiche dell’Università di Basilea e autorevole esperto del settore, secondo il quale il sistema DRG «porta palesemente ad un sottofinanziamento di una considerevole parte degli ospedali». Fattore determinante, spiega Simon in un contributo sulla rivista medica «Deutsches Ärzteblatt» del settembre 2013, «è la propensione dei prezzi del sistema dei ROD a stabilire costi calcolati mediante una media». È chiaro che se i prezzi vengono stabiliti sulla base dei costi medi allora molti ospedali che registrano spese superiori alla media si troveranno in una condizione di scoperto. Il sistema DRG, continua Simon, non considera affatto se l’ospedale o la clinica abbiano un piano finanziario adeguato alle reali necessità. La sicurezza economica per un ospedale è però il presupposto principale per l’assolvimento degli incarichi di cura e di protezione dalle malattie. È solo tenendo a mente questa logica aziendale che si può comprendere il motivo per il quale i reparti che non risultano particolarmente redditizi, come per esempio quelli di ostetricia e di pediatria, e soprattutto intere strutture ospedaliere che si trovano in territorio di campagna, stanno andando incontro alla chiusura, con le conseguenze nefaste che questo può avere in primo luogo sulle persone che perdono il lavoro e poi indirettamente anche sulla salute di molti cittadini.

Oggi, certamente, l’emergenza Coronavirus rende le cose ancora più complicate. Nel bel mezzo della pandemia molte cliniche, come riporta un articolo di una serie dedicata al sistema sanitario tedesco nel quotidiano di sinistra «junge Welt» (jW, 30 aprile 2020), hanno deciso di chiudere o di trasformarsi in case di riposo. Un video pubblicato sul sito dell’organizzazione «Krankenhaus statt Fabrik» («Ospedali al posto di fabbriche») e realizzato in collaborazione con «Attac», l’Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie e per l’aiuto ai cittadini, mostra come in Germania manchi oggi il 15% del personale sanitario, ovvero un numero che corrisponde a 50.000 unità fra infermiere e infermieri. Analogamente, si sono tagliate le spese sui posti letto di riserva, da conservare nel caso di eventi catastrofici, come quello di una pandemia. Naturalmente non è sempre stato così. In passato, fino agli anni Novanta valeva il principio dei Kostendeckung, ovvero della copertura totale dei costi necessari e vigeva anche la regola che gli ospedali e le cliniche non potevano fare profitti o, al massimo, potevano farli soltanto per un lasso di tempo limitato.                                                    

La Gesundheitsstrukturgesetz, entrata in vigore il 1°gennaio 1993 e promossa dall’allora ministro della Salute Horst Seehofer, l’attuale ministro dell’Interno, apre il settore sanitario agli investitori privati e alla concorrenza. Fra i molti cambiamenti proposti dalla legge uno dei più importanti riguarda il budgeting delle spese per i servizi ospedalieri, le cure mediche e dentistiche, i farmaci, nonché dei costi amministrativi delle compagnie di assicurazione sanitaria. Dal 1996, inoltre, viene introdotto il principio della libera scelta dell’assicurazione sanitaria (freie Krankenkassenwahl). Fino ad allora ai cittadini veniva assegnata automaticamente la cassa sanitaria del datore di lavoro.

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