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Sanità tedesca. Parte 2


28 Mag , 2020|
| Visioni

N.d.R.: riprende da Sanità tedesca. Parte 1

Le assicurazioni sanitarie

Nei sistemi sanitari nazionali come quello inglese o italiano l’assistenza sanitaria è a carico dello Stato e il finanziamento della sanità pubblica avviene attraverso la fiscalità generale. Nei sistemi ad assicurazione privata di malattia, come negli Stati Uniti, il finanziamento avviene attraverso i premi pagati da coloro che scelgono liberamente di sottoscrivere una polizza assicurativa. Chi non riesce a pagare i costi delle polizze è escluso dalla protezione sanitaria. In Germania vige una terza variante, che potremmo chiamare mutualistica, dove il principale erogatore di prestazioni e servizi è privato o parastatale e il finanziamento è di tipo contributivo, cioè avviene attraversi i contributi versati alle gesetzliche Krankenkassen (GKV, Assicurazioni sanitarie legalmente riconosciute) dai cittadini e dai datori di lavoro. I contributi da pagare variano naturalmente a seconda del reddito.

Oltre all’appena descritto principio di finanziamento mediante contributi (Beitragsfinanzierung), l’altro cardine del sistema sanitario tedesco è infatti il Versicherungspflicht, ovvero l’obbligo da parte di ogni cittadino residente in Germania di assicurarsi presso una delle compagnie di assicurazione sanitaria obbligatorie (GKV, gesetzliche Krankenversicherung). Sono questi enti che hanno il dovere di assicurare ai cittadini l’assistenza sanitaria. L’origine di queste istituzioni si perde nel passato delle gilde e delle corporazioni delle arti medievali, ma è soltanto alla fine del XIX secolo con la legislazione sociale di Bismarck che si giunge all’unificazione delle diverse forme di assistenza. Per prima fu introdotta nel 1883 l’assicurazione sanitaria (Krankenversicherung), che doveva tutelare anzitutto i lavoratori dell’industria, dell’artigianato e delle piccole attività commerciali. Allora solo il 10% della popolazione era assicurato contro le malattie; oggi lo è il 93%. Seguirono l’assicurazione contro gli infortuni (Unfallversicherung) nel 1884 e quella per la pensione (Rentenversicherung) nel 1889. L’indennità di disoccupazione per i lavoratori e i dipendenti (Arbeitslosenversicherung) fu introdotta nel 1927. Soltanto nel 1995 venne aggiunto il quinto “ramo” del sistema di sicurezza sociale tedesco, ovvero l’assicurazione per l’accudimento e l’assistenza continuativa ai malati (Pflegeversicherung).

Ad oggi, dati relativi a 1° gennaio 2020, sul mercato tedesco ci sono 105 assicurazioni sanitarie che coprono il 90% della popolazione in Germania, cioè circa 73 milioni di persone. Il numero delle compagnie assicurative che svolgono questo fondamentale servizio pubblico si è ridotto drasticamente negli ultimi decenni, se si considera che nel 1990 ce n’erano 1147. Al momento, le due più grandi sono la Techniker Krankenkasse (TK) con 10.600.000 di assicurati e la BARMER con quasi nove milioni di iscritti. In quanto società di diritto pubblico, le assicurazioni sanitarie sono dal punto di vista finanziario e organizzativo indipendenti; svolgono i compiti loro assegnati dallo Stato in autonomia e sotto la propria responsabilità. Esiste il Versicherungspflichtgrenze, il limite di obbligo assicurativo, che è un parametro economico e corrisponde per il 2020 alla soglia dei 62.550 euro di reddito annuale. Oltre questo valore minimo, il cittadino può scegliere di assicurarsi privatamente e godere dei vantaggi di non dovere attendere per esami e analisi ma anche di quelli ben più importanti di essere curato con le migliori tecnologie mediche a disposizione.

Fondamentale è anche il principio dell’autonomia amministrativa (Selbstverwaltungsprinzip), secondo il quale, all’interno di una cornice generale di gestione sanitaria condotta dallo Stato, l’ulteriore organizzazione e finanziamento delle singole prestazioni mediche sono compiti che spettano agli organi di amministrazione autonoma del sistema sanitario, composti dai rappresentanti dei vari operatori: medici, dentisti, psicoterapeuti, ospedali, assicurazioni sanitarie e i pazienti. Il supremo organo di amministrazione autonoma nel campo delle assicurazioni sanitarie è il Gemeinsamer Bundesausschuss, che decide, fra le varie cose, anche quali prestazioni mediche vengono pagate dalle Krankenkassen (GKV).

Fino a quattro mesi fa la situazione finanziaria delle GKV era salda e robusta. Il florido mercato del lavoro tedesco aveva portato negli scorsi anni a cospicue entrate derivanti dai contributi costantemente in aumento e ad eccedenze di bilancio da record. Si calcola che fra riserve e fondi finanziari del Ministero della Salute, le GKV abbiano avuto fino al 2019 circa trenta miliardi di euro a disposizione («Handelsblatt», maggio 2020, Nr. 89).

Oggi, nel pieno della crisi creata dal nuovo Coronavirus, la federazione nazionale delle assicurazioni sanitarie (Spitzenverband Bund der Krankenkassen) lancia l’allarme sulla grave crisi economica e avverte che alcune delle compagnie stanno andando dritte verso il fallimento. Nel mezzo di una recessione, quello che prevede il futuro per i lavoratori e i loro datori di lavoro è un aumento sostanziale dei contributi da pagare mensilmente. A meno che, scrive «Handelsblatt», non intervenga il ministero della Salute di Jens Spahn con pacchetti miliardari di sovvenzioni presi dal bilancio del Bund.

Lo scontro sulla sanità

Il tema delle riforme al sistema sanitario è al centro del dibattito politico tedesco dall’inizio di questa legislatura, 24 ottobre 2017, ma con l’esplodere della pandemia la polemica pubblica sembra sia entrata nel vivo. Il virus Sars-CoV-2 ha “acceso” lo scontro in Germania fra due posizioni nette, chiare e distinte: da una parte i tanti critici, tantissimi, stanchi di una politica sanitaria tutta basata sulla privatizzazione, sui casi forfettari, sui tagli al personale e sulla riduzione del numero dei letti. «Le razzie del sistema economico neoliberale hanno distrutto il servizio sanitario pubblico in Germania», ha scritto Elmar Wigand lo scorso 28 aprile in «junge Welt» (che, cosa bizzarra, è considerato dalle autorità tedesche come mediamente ostile all’ordine costituzionale). Dall’altra, la posizione di coloro, come la Bertelsmann-Stiftung, la fondazione indipendente che ha un ruolo molto influente nella politica e nella società tedesche, che sostengono la necessità di ridurre il numero totale di ospedali a meno di 600, se si vuole migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria. La ragione risiederebbe nel fatto che molti ospedali sono troppo piccoli e non dispongono spesso della strumentazione necessaria e della giusta specializzazione.

Storicamente, e le statistiche recenti lo confermano, la Germania è un Paese in cui si perdono poche giornate lavorative per scioperare. I sindacati sono riusciti spesso ad ottenere buone condizioni per i propri lavoratori, grazie alla florida economia tedesca. Nel settore sanitario, da alcuni anni non è così. Dal 2015 almeno, da quando i dipendenti dell’ospedale berlinese Charité misero in atto spettacolari proteste contro la mancanza di personale e le gravose condizioni di lavoro, chiedendo e ottenendo una nuova regolamentazione dei contratti. Nel 2017, nelle cliniche universitarie di Essen e Düsseldorf le manifestazioni di protesta del personale sono durate quattro settimane. Altre iniziative, coordinate a livello nazionale dal sindacato ver.di (il più grande sindacato tedesco dopo IG Metall), si sono verificate ad Augsburg, Homburg an der Saar, Jena e altre città. Azioni di solidarietà si sono tenute in oltre 80 ospedali in tutta la Germania. Oggi, in tempi di pandemia, scioperare non è possibile ma la lotta continua online con petizioni, già firmate da centinaia di migliaia di persone, che richiedono più personale, adeguata dotazione sanitaria e soprattutto chiedono la fine dell’aziendalizzazione e della privatizzazione del sistema della salute pubblica. 

Tuttavia, sul fronte delle conquiste sociali da parte dei lavoratori qualcosa è stato raggiunto. Nel gennaio 2020, lo stesso sindacato ver.di, la Deutsche Krankenhausgesellschaft (DKG) e il Deutscher Pflegerat (la giunta tedesca per l’assistenza sanitaria) hanno presentato ai media un nuovo strumento per il calcolo del fabbisogno del personale infermieristico e sanitario negli ospedali, oltreché del costo di tutte le relative dotazioni professionali necessarie. Il Ministero della Salute ha dato la sua approvazione e il «PPR 2.0.», questo il nome del programma, dovrebbe entrare in vigore, dopo l’iter legislativo, nel gennaio 2021. Non si tratta certo di un arretramento da parte del Ministero dalle posizioni del libero mercato e della concorrenza, ma rappresenta pur un passo in avanti.

A questo punto, uno potrebbe chiedersi dove sono finite le lobby dell’industria farmaceutica, le agenzie di consulenza specializzata, i manager e gli altri poteri invisibili. Ebbene, sono tutti ben rappresentati dal ministro della Sanità tedesco Jens Spahn. Prima di diventare ministro della Salute nel marzo 2018, Spahn è stato dal 2005 al 2009 delegato della CDU/CSU nella Commissione Sanità all’interno del Bundestag e poi fino al 2015 portavoce per la politica sanitaria del suo partito sempre all’interno del parlamento. Oltre al suo lavoro di deputato, il giovane ministro ha svolto varie attività di consulenza legate alla società Politas, i cui clienti, secondo la rivista «Focus» in una sua inchiesta del 26 novembre 2012, erano principalmente aziende del settore sanitario e dell’industria farmaceutica. Il portale «lobbypedia.de», un progetto indipendente che ha lo scopo di portare alla luce l’influenza del lobbismo nella politica e nella società tedesche, riserva una propria pagina-scheda a Jens Spahn, in cui sono descritte e documentate le numerose relazioni personali che il ministro intrattiene con gli ambienti delle lobby farmaceutiche e sanitarie. Sempre secondo «lobbypedia» (che, vale la pena citarlo, nel 2012, un anno e mezzo dopo la sua nascita ha vinto il Grimme Online Award) «Jens Spahn già nel 2005 aveva preso parte a importanti decisioni politiche in favore di finanziamenti miliardari al settore sanitario». Tutto il comparto della salute in Germania frutta un giro di affari di 300 miliardi, ha detto in un’intervista a «junge Welt» il professor Michael Simon. Il suo timore è che una buona fetta di questi soldi vada a finire nelle tasche delle grandi aziende e dei manager.

Contraddizioni

I 400 Gesundsheitsämter, gli uffici sanitari, sparsi per tutto il territorio della Germania hanno finora costituito una barriera che ha impedito all’ondata infettiva di travolgere gli ospedali e gli ambulatori. Professioni ritenute dal sistema economico dominante meno importanti, come l’infermiere e tutti i paramedici, sono diventate improvvisamente systemrelevant, come racconta un interessante articolo apparso su «DIE ZEIT» il 2 aprile 2020. Systemrelavant è l’espressione tedesca che traduce quella inglese too big to fail, usata nel linguaggio economico-finanziario per indicare che il fallimento di un’azienda troppo grande porterebbe con sé guasti rilevanti all’intero sistema economico. Systemrelavant non sono per il giornale di Amburgo i medici e virologi, che sono i personaggi del momento, ma le commesse, le cassiere, le infermiere, chi recapita a casa le consegne, gli autisti, i poliziotti e tanta altra gente che rappresenta l’élite dal basso. Sono i lavoratori delle grandi catene di supermarket, quelli che devono riempire di merce gli scaffali. Quelli di Real, la grande catena di ipermercati tedesca, hanno ricevuto in regalo dalla propria azienda un bonus di 100 euro che hanno potuto spendere in occasione della Pasqua 2020. Da Lidl invece, dove si viene licenziati se si ha solo l’idea di formare un consiglio dei lavoratori, si è arrivati a un bonus di 250 euro. Nelle filiali dei supermercati economici Kaufland ci sono sconti speciali per i “supereroi” in camice.

Il Coronavirus, secondo gli autori di DIE ZEIT, ha fatto riemergere in maniera prepotente la questione sociale in Germania. Un virus, come lo smog, parrebbe essere “democratico”, nel senso che non fa differenza fra ricchi e poveri. Sappiamo però che SARS-CoV-2 colpisce in particolare chi è affetto da patologie pregresse, cioè un gruppo di persone considerate a rischio a causa dell’età. Alcuni risultati di studi recenti del Robert Koch-Institut riportati nell’articolo su DIE ZEIT ci dicono quali sono le categorie che appartengono a questo gruppo. Sono le donne della fascia sociale più bassa, che corrono un rischio tre volte maggiore di soffrire di bronchite cronica delle donne della classe più alta. Sono gli uomini di mezza età con scarsa qualifica professionale, che a causa di malattie cardiovascolari sono otto volte in più dei loro coetanei qualificati esposti al pericolo di dover abbandonare il posto di lavoro. Un autista di autobus deve mettersi in malattia mediamente sette volte più spesso di un professore, una badante quattro volte più di frequente di una dottoressa. In generale, uomini e donne con redditi bassi muoiono 8,6 anni prima di chi guadagna bene.

Secondo gli autori, il virus non è egualitario, è selettivo. Le possibilità di sopravvivere alla pandemia salgono insieme al reddito. Coloro che sono meno benestanti (i systemrelevant) appartengono, con molta probabilità, alla categoria a rischio di ammalarsi di Covid19.

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