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Texan Western College una vittoria contro il razzismo
Negli Stati Uniti d’America dei lunghi anni Sessanta il movimento per i diritti civili aveva ingaggiato una vera e propria battaglia contro il governo statunitense[i]. Erano gli anni in cui Martin Luther King e Malcolm X guidarono la lotta per rivendicare i diritti civili; in questo contesto turbolento, lo sport giocò un ruolo importante.
Nel continente americano, il pugile Cassius Clay, campione del mondo dei pesi massimi, aveva annunciato pubblicamente la sua conversione all’Islam, entrando nella Nation of Islam e cambiando il suo nome in Muhammad Alì.
Il pugile afroamericano era finito sulle cronache giornalistiche per la sua amicizia fraterna con Malcolm X il leader della lotta nera statunitense. Era la prima volta che uno sportivo prendeva una posizione del genere arrivando fino al rifiuto nel 1968 di combattere in Vietnam.
Nello stesso anno, alle Olimpiadi di Messico, Tommi Smith e John Carlos passarono alla storia per aver alzato il pugno nero al cielo.
Prima del grande NO di Clay alla guerra e del podio olimpico ci fu una storia, che è stata spesso dimenticata, avvenuta in Texas nel 1966 all’Università del Texas a El Paso (all’epoca chiamata Texan Western College).
In vista del Torneo di pallacanestro maschile della NCAA (National Collegiate Athletic Association) Division, l’università texana si pose l’obiettivo di costruire un roster di giocatori competitivi per vincere il prestigioso titolo. Questo compito venne affidato al coach Donald “Don” Haskins.
Haskins era un tecnico di vecchio stampo tutta grinta e disciplina: appena prese le redini della squadra si rese conto delle pessime condizioni economiche e agonistiche in cui versava. Così prese la decisione di investire di tasca propria il denaro necessario per costruire la squadra e partire alla ricerca di giovani talenti sparsi per gli Stati Uniti.
Alla fine del suo viaggio, Haskins costruì una squadra composta da cinque bianchi e sette afroamericani; all’epoca fu un fatto epocale e non ben visto in uno Stato del Sud come il Texas.
La mentalità del Sud era profondamente permeata di razzismo: in passato il Texas fu uno Stato profondamente schiavista ed ebbe un ruolo importante durante la guerra di secessione nel fornire viveri, soldati e armi all’esercito dei confederati[ii].
Con la sconfitta degli Stati del Sud venne sottoposto a una politica di ricostruzione che poneva gli ex schiavi nel pieno esercizio dei diritti politici, allo stesso livello dei bianchi. La politica di ricostruzione non riuscì però a cambiare la mentalità: basti pensare alle leggi Jim Crow, che reintroducevano la segregazione razziale, dividendo gli spazi pubblici tra bianchi e neri; tuttavia questa nuova formula fu caratterizzata da una segregazione razziale a tratti più violenta della precedente.
Questa era la situazione e il retaggio culturale di uno Stato come il Texas, che nel 1966 si vide rappresentato in competizioni nazionali di basket da una squadra formata in maggioranza da giocatori afroamericani.
I primi passi della squadra non furono incoraggianti, ma grazie alla costanza, alla grinta che Haskins riuscì a trasmettere al suo team e con il talento di questi giocatori scoperti dal nulla, la squadra texana dopo un’ottima regular season riuscì a guadagnarsi l’accesso al Torneo NCAA 1966. Nell’ambiente sportivo, in quello dei mass-media e in quello universitario si levò la domanda del perché bisognasse affidarsi a giocatori di colore. In quel periodo il basket era ancora una cosa da bianchi, il peso della segregazione razziale si faceva sentire e la color line (linea di colore) era ben presente anche qui[iii].
La risposta era semplice, Haskins era conosciuto come uno dagli allenamenti molto duri e di conseguenza aveva bisogno di giocatori che avevano “fame”, che volevano dimostrare il loro valore. Così, questi ragazzi venuti dal nulla riuscirono a far raggiungere ai Texas Miners la finale del torneo. Nella finale l’avversario da battere era la squadra dell’Università del Kentucky: I Wildcats.
Alla guida dei Kentucky Wildcats c’era Aldolph Rupp, allenatore di lungo corso con un curriculum di tutto rispetto.
Il quintetto dei Wildcats era composto esclusivamente da bianch: Adolph Rupp era storicamente avverso alle persone e ai giocatori di colore ed aveva molti pregiudizi, tanto che considerava i giocatori di colore di Texas Western come semi-professionisti, dei teppistelli di strada ingaggiati dalle città del Nord per vincere il Titolo.
Viste le premesse, la sfida assunse un significato profondo che andò oltre la competizione sportiva. Assunse i contorni di uno scontro sociale e civile.
Nella finale del 1966, coach Haskins, in risposta alle dichiarazioni di Rupp che snobbò l’organico dei Texas Miners, a causa del suoi pregiudizi razziali, prese una decisione importante, dai risvolti sociali e civili importanti: schierare un quintetto formato solo da giocatori afroamericani. Haskins conosceva il talento dei suoi giocatori e voleva dimostrare al mondo intero che le tesi di Rupp erano infondate.
La finale vide così cinque bianchi e cinque afroamericani contendersi il titolo del college. I Texas Miners vinsero la finale nettamente e dimostrarono la loro superiorità tattica e atletica.
Ci fu un ulteriore atto discriminatorio verso i vincitori: nessuno portò la scaletta per il taglio simbolico della retina del canestro, tanto che i giocatori decisero di strapparla e portarsela via.
La loro vittoria fu un segnale fortissimo, un qualcosa che si percepì veramente solo dopo almeno un decennio. L’esito di questa partita scosse il mondo sportivo del basket americano, fu un evento spartiacque, che incoraggiò le altre scuole a reclutare giocatori afroamericani aprendo così una strada che sembrava sbarrata dalla linea di colore.
Nel pieno della lotta per i diritti civili, i Texas Miners scrissero una significativa pagina della storia sportiva americana: nessuna squadra dei college, fino a quel preciso momento, aveva mai schierato cinque giocatori afroamericani senza un bianco in campo.
Per tutta la stagione, i giocatori afroamericani del Texas Western avevano sopportato l’odio, i cori e gli insulti razziali; inoltre, alcuni arbitri spesso evitavano di chiamare falli subiti dai giocatori di Haskins. Dopo aver vinto il titolo nazionale, Haskins ricevette aspre critiche per non aver tenuto almeno un giocatore bianco sul pavimento in ogni quarto.
Come tardo riconoscimento nel 2006 la squadra venne introdotta nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame. E infine il 6 febbraio 2016 per il cinquantesimo anniversario della vittoria, il presidente Barack Obama tenne un discorso di elogio alla squadra, vittoriosa nel 1966, affermando che la loro vittoria fu contributo importante alla lotta per i diritti civili.
[i]Per maggiori dettagli, si veda Bruno Cartosio, I lunghi anni sessanta: movimenti sociali e politica negli Stati Uniti, Feltrinelli, Milano 2012; Bruno Cartosio, Senza illusioni: i neri negli Stati Uniti dagli anni sessanta alla rivolta di Los Angeles, Shake Edizioni Undergroud, Milano 1995, Milano 1994 e Stefano Luconi, Gli afro-americani dalla guerra civile alla presidenza di Barack Obama, CLEUP, Padova 2011.⇑
[ii]Maggiori dettagli sulle cause dello scoppio della guerra civile e le conseguenze della vittoria del nord sul sud, si veda Arnaldo Testi, La formazione degli Stati Uniti, il Mulino, Bologna 2008.⇑
[iii]Venne estesa in tutti gli sport. Per capire meglio cosa fosse questa linea di colore, anche a livello mentale, rimando a Web Du Bois, Sulla linea di colore, razza e democrazia negli Stati Uniti e nel mondo, Il Mulino, Bologna 2010⇑
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