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Docenti a distanza… dalla didattica. La digitalizzazione, ultimo atto della scuola neoliberale


1 Giu , 2020|
| Visioni

In questi giorni si è molto discusso di quanto scritto dal filosofo Giorgio Agamben a proposito della didattica a distanza, equiparata a una «nuova dittatura telematica»[i] che farebbe degli insegnanti che vi hanno aderito «il perfetto equivalente dei docenti universitari che nel 1931 giurarono fedeltà al regime fascista»[ii]. La vicenda giunge a completare un quadro che di per sé risulta tanto più complesso quanto meno nette sembrano essere le alternative che si profilano a coloro che, da troppo tempo, occupano supinamente una funzione a dir poco dirimente nella e per la società come l’insegnamento. Sebbene la riflessione di Agamben fosse rivolta ai docenti universitari, è fuor di dubbio, infatti, che la provocazione colga l’intero mondo dell’istruzione, avendo l’emergenza Covid reso abbastanza evidente che «i due mondi (scuola e accademia) […]sono sostanzialmente uno»[iii]: la DaD – come scrivono Carla Fabiani ed Elena Fabrizio –  li ha infatti ulteriormente accomunati, e certo lo erano già, se non altro «perché il soggetto, cioè lo studente, a cui si rivolgono è proprio lo stesso»[iv]. Uno studente sottoposto a modalità di apprendimento e di accesso alla conoscenza del tutto avulsi dalla pur minima formazione di uno spirito critico, toccandogli la condanna di abitare la «società della conoscenza», ovvero una società dove la conoscenza in realtà non conta più nulla. Conta solo il mercato: anzi, la società è quel mercato. L’immateriale viene messo a valore, le conoscenze sostitute da abilità e competenze, il sapere dal «saper fare», i diplomi da certificazioni del «capitale umano», quantificabile e quantificato da sistemi di valutazione estranei alle più nobili finalità dell’insegnamento (INVALSI, ANVUR), e ciò proprio perché decisamente organici alle direttive di organizzazioni che con l’educazione e l’istruzione non hanno ovviamente nulla a che fare: una sigla su tutte, l’OCSE.  Se – come sottolinea Valeria Pinto – con il processo di Bologna[v] si entra nell’«economia della conoscenza», dove la conoscenza «è fin dall’inizio prodotta secondo le leggi della valorizzazione del capitale»[vi] e pertanto ridotta a feticcio, è vero che le agenzie di valutazione agiscono tutte «al modo delle agenzie finanziarie di rating»[vii] le quali sono del resto «né più né meno che agenzie di valutazione nel senso stretto»[viii].

Ora che tanto nelle scuole come nelle facoltà universitarie la modalità di insegnamento – ammesso che di insegnamento si possa ancora parlare – viene di fatto a coincidere, se non altro per l’utilizzo delle medesime piattaforme e il proliferare di interventi che sono tutto fuorché lezioni (materiali caricati nei portali più o meno istituzionali, conferenze caricate sui social, etc.), i problemi che si affacciano allo sguardo critico, o a quel che ne rimane, delle rispettive classi docenti, sono tanto più comuni quanto poco affrontabili sotto lo stesso segno. A distinguere le diverse condizioni di eguale asservimento stanno i differenti percorsi legislativi che hanno interessato «i due mondi», collegati finanche nel nome del Ministero (MIUR) proprio mentre li si rendeva di fatto estranei l’uno all’altro dal punto di vista dell’inquadramento giuridico del ruolo. Proprio il ruolo cessa di essere tale con il D.L.vo 29/93 del governo Amato, che con il placet dei sindacati confederati impone l’impiegatizzazione del corpo docente – non così per l’Università. A partire da quella normativa non esiste più il ruolo, che viene sostituito dall’incarico a tempo indeterminato: l’insegnante perde l’unica vera autonomia che avrebbe dovuto difendere – la libertà d’insegnamento – proprio nel momento in cui si preparava per lui l’autonomia di Berlinguer-Bassanini[ix], la scuola-azienda. E non è forse un caso che oggi alcuni noti interpreti e rappresentanti della Sinistra[x] – che negli ultimi decenni, a partire dal quel passaggio, non hanno fatto altro che bersi la “purga” progressista della scuola dell’autonomia e della «didattica per competenze», e che fino a ieri avrebbero citato volentieri Agamben proprio perché scambiavano la sua reductio ad Hitlerum per il piedistallo su cui ergere il loro «antifascismo da operetta»[xi] – si sentano toccati fin nelle viscere dalla provocazione del noto filosofo.  

Il ruolo costituiva, infatti, «uno “scudo” a garanzia dell’autonomia della funzione docente e del rispetto del dettato costituzionale sulla libertà d’insegnamento»[xii], che è «tipico del lavoratore “non subordinato”»[xiii]. Con la perdita del ruolo ad essere stata imposta è la «privatizzazione del rapporto di lavoro della Scuola»[xiv] – ma non dell’Università, dove pur esercitando la stessa funzione, i docenti sono legati a contratti di natura pubblica, proprio perché, per assurdo, diventati estranei al pubblico impiego. Ciò non ha impedito, tuttavia, di sottoporre gli accademici a una «violenta de-professionalizzazione»[xv], una vera e propria «espropriazione della capacità decisionale e di giudizio» che ha fatto di loro dei «”prigionieri-funzionari” dell’entrepreneurial university»[xvi]: non obbedendo, infatti, a ordini imposti dall’alto, ad essere entrata in gioco per loro è una «mutazione tecnologica della responsabilità»[xvii], ovvero una «completa sottomissione della responsabilità alla performance»[xviii]. Nient’altro che efficienza, cultura del risultato. Il modello governamentale è, del resto, «intrinsecamente cibernetico»[xix], non prevedendo alcun intervento costrittivo, nessuna imposizione dall’esterno: l’azione di comando è la realizzazione di un programma, «l’esecuzione corretta»[xx] prodotta spontaneamente dal momento che alla «macchina-sistema»[xxi] è fornita l’informazione relativa ai risultati della sua stessa azione.

Di fronte a una classe accademica «inebetita, incapace di guardare oltre la sopravvivenza di se stessa, del proprio Dipartimento, del proprio Corso di Laurea, della propria carriera o di quella del “proprio” allievo»[xxii], in quanto irretita da un’autoreferenzialità di lunga data, l’asservimento dei docenti scolastici alla medesima logica è stato, invece, reso possibile a partire dalla trasformazione della scuola stessa da istituzione delle Repubblica a mero «servizio» – è noto, infatti, che dal servire all’essere servi il passo può talvolta essere breve. A tutto ciò si aggiunge che è con il suddetto decreto del governo Amato che il preside diventa «datore di lavoro», per poi di lì a poco essere esplicitamente indicato con la riforma Berlinguer come «dirigente», con tutta una serie di funzioni che non è la «buona scuola»[xxiii] di Renzi ad avere ideato per la sua figura, essendo già state tutte dettagliatamente indicate ben prima della legge 107/2015. Ebbene, a confermare una volta di più l’estrema problematicità della situazione in cui si trova la scuola è la recente uscita di un documento dell’ANP (Associazione Nazionale Dirigenti Pubblici e alte professionalità della scuola), i cui contenuti, decisamente più inquietanti della provocazione lanciata da Agamben, non sembrano tuttavia, – come oramai da troppo tempo accade – suscitare reazioni minimamente scomposte. Il documento così recita:

“L’esperienza della didattica a distanza (DAD) e dello smart working, vissuti durante questo periodo come unico mezzo per curare gli apprendimenti degli alunni e la gestione amministrativo contabile, ha posto ogni scuola davanti alla consapevolezza che gli strumenti digitali sono ormai diventati indispensabili supporti formativi e di organizzazione.[xxiv]

In queste parole – potremmo dire – è contenuto il succo di una ben più lunga proposta, articolata fin nei minimi dettagli. Se non fosse chiaro, ad essere esplicitato è un nodo che ad oggi i docenti faticano ancora a focalizzare: il problema non è, e non è mai stato, se schierarsi con o contro la tecnologia: questa – banalità per banalità – non è né potrà mai essere uno strumento neutro rispetto all’esercizio del potere e alle sue modalità. Quello che infatti non sembra si scorga a sufficienza nel corpo docente è come la DaD sia ben lungi dal rappresentare un elemento di discontinuità rispetto alle “innovazioni” che hanno investito negli ultimi due decenni l’insegnamento. La didattica a distanza[xxv] – ovvero l’uso della tecnologia al posto della didattica – sopraggiunge a consolidare un sistema che a livello organizzativo è stato preparato a lungo e senza che gli insegnanti abbiano mai esercitato una reale e concreta opposizione. La didattica a distanza giunge come ultimo tassello di un quadro in cui la digitalizzazione della scuola non rappresenta null’altro che l’entrata a pieno regime della didattica per competenze.

Da uno stato di necessità – la pandemia – passeremo dal prossimo settembre alla necessità di un diverso stato della scuola, perché a quel punto la digitalizzazione – che già tre mesi fa si delineava quale strumento in grado di rispondere al sempre più oneroso impegno burocratico dei docenti in un perverso gioco di specchi pronto a scambiare il mezzo con il fine – sarà domani l’unica modalità in grado di rispondere alla valutazione costi/benefici, l’unica a consentire lo svolgimento «efficace», «efficiente» ed «economico» del lavoro. Un lavoro appunto di gestione, comunicazione – un lavoro “tecnico”. Docenti che finalmente non dovranno più pensare a nulla, se mai lo hanno fatto negli ultimi anni, perché c’è chi non ha smesso nemmeno un istante di pensare a loro. Bene sarebbe, infatti, che i docenti cessassero di interpretare ogni riforma, ogni passaggio nella storia delle istituzioni scolastiche come frutto di disinteresse da parte dello Stato, o peggio ancora come diretta conseguenza dell’incompetenza di ministri estranei al mondo della scuola e proprio per questo incapaci di provvedere al suo miglioramento. Come poter ancora solo immaginare che formule quali «e-government della scuola»[xxvi] stiano lì a testimoniare disinteresse o ignoranza dei processi educativi e/o degli strumenti nella cabina di pilotaggio? Cosa altro rappresentava la perdita del ruolo e quindi l’impiegatizzazione dell’insegnamento se non la volontà – peraltro realizzata con esiti orwelliani – di governare la scuola e chi vi lavora?

Ebbene, in piena crisi post-Covid, «L’e-government della scuola […]è ormai un’esigenza primaria in linea con i processi di profonda trasformazione che tutti gli enti pubblici stanno affrontando per servire i cittadini e le imprese nel miglior modo possibile, anche quando arriverà l’auspicata conclusione dell’emergenza Covid-19»[xxvii]. Per l’ANP la scuola non è che un ente pubblico, e come tale rispondente alla medesima logica aziendale. Siamo ben oltre lo svilimento della conoscenza, della funzione sociale oltre che del luogo simbolico e concreto ad essa deputato. Svilimento che non lascia, certo, fuori la stessa figura del Preside (un tempo colui che stava a «presidio» dell’istituzione repubblicana, alla quale i padri costituenti con l’Articolo 3[xxviii] consegnavano il compito di assolvere un ruolo essenziale per il raggiungimento della democrazia sostanziale) ridotta a figura gestionale, un amministratore che asservisce i docenti pur essendo servo tra i servi – altro che giuramento al regime…

La media education è diventata oggi una sfida democratica che richiede l’impegno delle agenzie formative e del decisore politico per rispondere all’interesse degli studenti e dell’utenza di rafforzare, attraverso le competenze digitali, la formazione e l’informazione e contestualmente favorire le finalità sociali della cittadinanza mondiale.[xxix]

L’autonomia perduta di cui si parlava poc’anzi è tutta qui, in queste parole, che consegnano al “decisore politico” la facoltà di dirigere la scuola verso la cosiddetta “sfida democratica”: una scuola che formerà membri della “cittadinanza mondiale”, privi di radici culturali, ignoranti rispetto alla storia, alla letteratura e incapaci di approcciarsi allo studio e alla conoscenza se non con il piglio spoliticizzato e spoliticizzante dell’homo oeconomicus. Come ricordano Giovanni Carosotti e Rossella Latempa, per il presidente dell’ANP Giannelli, studiare i Beatles o Dante non fa alcuna differenza «ai fini di un certo obiettivo di apprendimento»[xxx]. Se il fine è la «competenza» del saper argomentare, tanto vale «guadagnarla» con una canzone piuttosto che con il «noioso» Dante. Non conoscere il sommo poeta non è poi così importante, perché non è questo che sarà richiesto agli studenti dal «mercato del lavoro». Nel momento in cui il docente perde il ruolo, e la scuola perde l’autonomia dell’insegnamento per guadagnare quella “aziendale” della riforma Berlinguer, lo fa per subordinarsi direttamente e inevitabilmente agli interessi economici, condannando gli studenti ad essere null’altro che l’anteprima di lavoratori incapaci domani di riconoscersi come cittadini, pronti ad eseguire ordini, ad essere «flessibili», sempre disposti a «imparare ad imparare»[xxxi], senza alcuna capacità d’esprimere senso critico e levare il capo contro chi è pronto a rubargli la vita.

Nella «società della conoscenza», l’ignoranza non è che un «effetto collaterale della crescita»[xxxii], in ogni caso un «fardello sopportabile». E dovrà esserlo ancora di più in piena crisi post Covid. Ancora di più: questa è la formula che come nessun’altra sembra in grado di delineare il senso che la vicenda emergenziale riveste per la «descolarizzazione»[xxxiii] dell’istruzione pubblica italiana. Del resto, proprio la politica dell’emergenza non è che il cuore dei processi di neoliberalizzazione: se all’emergenza, infatti, si risponde con il governo dei tecnici, ad essere messa in atto è la depoliticizzazione atta a naturalizzare le scelte politiche «di classe» da parte delle élite dominanti; la governance diventa la parola d’ordine per legittimare a livello discorsivo lo svuotamento della democrazia dall’interno, la cessione della sovranità popolare e costituzionale a meccanismi resi sempre più automatici da organismi non elettivi e sovranazionali. Governance è l’auto-governo del mercato, è il nodo gordiano di una rete inestricabile di infiniti livelli di «sussidiarietà»[xxxiv] in cui a governare è la negazione di legittimità di qualunque scelta governativa, della decisione politica tout court. Governance è il modo in cui la scuola diventa parte di quel mercato; «e-governance» lo è ancora di più.

I cittadini di domani, non saranno altro che “servi”, perché mancherà loro la conoscenza che i “Signori” hanno tenuto per sé. L’unica ad essere sfidata e sconfitta definitivamente è proprio la democrazia, a partire dal sacrificio della libertà dell’insegnamento, in favore di una più completa attuazione dell’autonomia scolastica, ovvero della totale aziendalizzazione della scuola. «È [infatti, ndr] evidente […] che a settembre il mondo della scuola non potrà più replicare quello precedente all’emergenza e che l’autonomia scolastica – in verità mai pienamente attuata – dovrà rappresentare la prima risorsa concettuale per la ripartenza e l’innovazione»[xxxv]. Mentre l’esame di maturità oramai si avvicina, i docenti sembrano capaci di mobilitarsi solo per opporsi (intendiamoci, giustamente!) contro l’esame in presenza. Ma non si tratta forse dell’ennesima conferma di un modus operandi che nel corso degli ultimi decenni ha portato l’intero corpo docenti a lasciarsi guidare proprio da ciò che meno corrisponderebbe a un corpus? Ovvero la privatizzazione della propria condizione, da tutelare sempre e comunque rispetto alle fatiche fattesi ogni giorno più onerose, e rispetto alle quali, tuttavia, mai ci si è sottratti, così come mai ci si è interrogati sulla difesa del ruolo, della funzione? In che rapporto sta questa protesta con quella manifestata contro la didattica a distanza? Com’è possibile immaginare di pressare il decisore politico verso la riattivazione della scuola in loco senza recarsi a scuola?

Di fronte a nodi inestricabili come questi si trovano oggi i docenti; nodi di fronte ai quali riemerge con maggior forza l’estrema problematicità delle posizioni pro o contro la riapertura delle attività – la cosiddetta «fase 2»[xxxvi]. Non si può «restare tutti a casa» se non c’è uno Stato in grado di esercitare la propria sovranità, e quindi garantire all’intera popolazione la possibilità di salvaguardare la propria salute senza per questo dover morire di fame; se – come sembra – argomenti come questo non hanno alcuna presa sul ceto medio riflessivo e sui docenti in generale, resta il fatto che non è battendosi per un privilegio scambiato con i diritti altrui, che si rivendicherà l’autonomia del ruolo docente, semmai si ribadirà la propria subalternità a un più che noto sistema di sfruttamento.


[i] Giorgio Agamben, Requiem per gli studenti, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 23 maggio 2020, https://www.iisf.it/index.php/attivita/pubblicazioni-e-archivi/diario-della-crisi/giorgio-agamben-requiem-per-gli-studenti.html

[ii] Ivi.

[iii] Carla Fabiani, Elena Fabrizio, L’ordine è già stato eseguito. La sussunzione della Scuola al Capitale, Dialettica e filosofia, 27 maggio 2020, http://www.dialetticaefilosofia.it/ricerca-avanzata.asp?cerca=si

[iv] Ivi.

[v] Il processo di Bologna è un processo di riforma internazionale dei sistemi di istruzione superiore dell’Unione europea, iniziato nel 1999 con l’incontro di 29 ministri dell’istruzione europei tenutosi tra il 18 e 19 giugno dello stesso anno a Bologna. Fu sottoscritto un accordo noto come la dichiarazione di Bologna, col quale ci si proponeva di realizzare entro il 2010 lo Spazio europeo dell’istruzione superiore (EHEA – European Higher Education Area).

[vi] Pasquale Esposito, Vigilanza e controllo nell’economia della conoscenza. Intervista a Valeria Pinto, Mentinfuga, 14 maggio 2020, https://www.mentinfuga.com/vigilanza-e-controllo-nelleconomia-della-conoscenza-intervista-a-valeria-pinto/?fbclid=IwAR1n3HMo-L_AFyo8dPb7N2h_k0_U6OQimwE2kVBKa3xQV3ywgHHBRs5JrW8

[vii] Ivi.

[viii] Ivi.

[ix] È del 1997 la Proposta di “Riordino dei cicli scolastici” del Ministero della Pubblica Istruzione (“riforma Berlinguer”), divenuta successivamente Legge – quadro sul riordino dei cicli scolastici, Legge n. 30 del 10/2/2000. La legge Bassanini introduce l’Autonomia scolastica (Legge 59/97, integrata successivamente con il D.P.R. 233/8 ed il D.I. 44/01).

[x] Cfr. Christian Raimo, Su Agamben, 24 maggio 2020, http://www.thomasproject.net/wp-content/uploads/2020/03/Su-Agamben.pdf

[xi] Christophe Guilluy, La società non esiste. La fine della classe media occidentale (titolo originale: No Society. La fin de la classe moyenne occidentale, Edition Flammarion 2018), Luiss University Press, Milano 2019.

[xii] Stefano D’Errico, La scuola distrutta. Trent’anni di svalutazione sistematica dell’educazione pubblica e del Paese, Mimesis, Milano-Udine 2019, p. 81-82.

[xiii] Ivi, p. 82.

[xiv] Ivi, p. 81.

[xv] P. Esposito, Vigilanza e controllo nell’economia della conoscenza. Intervista a Valeria Pinto, cit.

[xvi] Ivi.

[xvii] Ivi; Cfr. Stiegler, Il chiaroscuro della rete, Youcanprint, Lecce 2014.

[xviii] Ivi.

[xix] P. Esposito, Vigilanza e controllo nell’economia della conoscenza. Intervista a Valeria Pinto, cit.; cfr. Valeria Pinto, La parte di Tersite. Verità e democrazia dopo la democrazia, Laboratorio dell’ISPF, XVI, 2019, http://www.ispf-lab.cnr.it/article/2019_PNV_Abstract

[xx] Ivi.

[xxi] Ivi.

[xxii] Ivi.

[xxiii] Legge 13 luglio 2015, n. 107. Riforma della scuola.

[xxiv] Le proposte dell’ANP per la riapertura delle scuole a settembre, 25 maggio 2020, https://www.anp.it/le-proposte-anp-per-la-riapertura-delle-scuole-a-settembre/?fbclid=IwAR0XaCK_8G_Z70PzcNU2fOpCk-QkDXyhrfpMh7c_aSduiEjB026Cam56J30

[xxv] «La didattica a distanza […] sollecita l’intera comunità educante, nel novero delle responsabilità professionali e, prima ancora, etiche di ciascuno, a continuare a perseguire il compito sociale e formativo del “fare scuola”, ma “non a scuola”…» (Nota MI 17.03.2020 n. 388).

[xxvi] Le proposte dell’ANP per la riapertura delle scuole a settembre, cit.

[xxvii] Le proposte dell’ANP per la riapertura delle scuole a settembre, cit.

[xxviii] «Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (Costituzione Italiana, Principi Fondamentali, Articolo 3).

[xxix] Le proposte dell’ANP per la riapertura delle scuole a settembre, cit.

[xxx] Giovanni Carosotti, Rossella Latempa, Associazione Nazionale Presidi: fine della scuola della Costituzione e pieni poteri al capo, Roars, Return on Academic Research and School, 28 maggio 2020, https://www.roars.it/online/associazione-nazionale-presidi-fine-della-scuola-della-costituzione-e-pieni-poteri-al-capo/?fbclid=IwAR0u9z1v3Eb_D7w0BUWYQ_mscjmBiirT7U4hajXrLcZMtcj4R4UcPwVx-zU; cfr. Daniele Lo Vetere, Chiedi chi erano i Beatles: divagazione su scuola e memoria, laletteraturaenoi, 6 maggio 2020, https://www.laletteraturaenoi.it/index.php/il-presente-e-noi/1179-chiedi-chi-erano-i-beatles-divagazione-su-scuola-e-memoria.html.

[xxxi] Cfr. Diego Melegari, Fabrizio Capoccetti, Maturità, salvare il rito per negarne il senso. Sulla distruzione della scuola pubblica italiana, La Fionda, 9 maggio 2020, https://www.lafionda.org/2020/05/09/maturita-salvare-il-rito-per-negarne-il-senso-sulla-distruzione-della-scuola-pubblica-italiana/

[xxxii] G. Carosotti, R. Latempa, Associazione Nazionale Presidi: fine della scuola della Costituzione e pieni poteri al capo, cit.

[xxxiii] Cfr. Ivan Illich, Descolarizzare la società. Una società senza scuola è possibile? (tit. or.: Deschooling Society, Harper & Row, New York, 1971), Mimesis, Milano-Udine 2010.

[xxxiv] Per il principio di sussidiarietà cfr. Articolo 5 del trattato sull’Unione europea, Gazzetta ufficiale, 26 dicembre 2012, https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506-fd71826e6da6.0017.02/DOC_1&format=PDF

[xxxv] Le proposte dell’ANP per la riapertura delle scuole a settembre, cit.

[xxxvi] Diego Melegari, Fabrizio Capoccetti, I «bottegai», l’ultimo argine? Spunti per una politica oltre purismo e subalternità, La Fionda, 27 maggio 2020, https://www.lafionda.org/2020/05/27/i-bottegai-lultimo-argine-spunti-per-una-politica-oltre-purismo-e-subalternita/

 

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