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Una cosa che so di lui


19 Giu , 2020|
| Voci


C’è qualcosa che potrei dire di Alberto Sordi, che non sia stato detto e che insieme non risulti retorico? No. E allora tanto vale che parli di quell’aspetto che più degli altri mi ha sempre colpito e che, ne sono certo, interessa un po’ anche voi.
Sto parlando di quel rapporto tutto particolare che Sordi aveva con i suoi personaggi.

Facciamo un test: chi tra voi ricorda almeno cinque nomi degli oltre duecento personaggi che Sordi ha interpretato? (non valgono il marchese Del Grillo, né il dottor Tersilli, ché ricavarli dal titolo non è consentito né corretto). Chi ci riesce passi pure al prossimo paragrafo, mentre gli altri, che sono la maggioranza, proseguano tenendo il filo (“io so’ io, e voi nun zete un cazzo”, che poi il marchese citava un re del Belli). Il punto è che non esistono oltre duecento personaggi interpretati da Alberto Sordi: esistono duecento Alberto Sordi declinati in maniera differente. La star dei fotoromanzi, l’aspirante industriale a corto di liquido e capacità (“la mia Elvira non c’è più!”), l’emigrato in Australia non tanto bello e perfino il malato immaginario o l’avaro (che avevano qualche annetto in più dell’attore…), spariscono dietro Alberto Sordi, perché SONO Alberto Sordi. In TV non guardo la storia dell’autoproclamato inglese a Londra: guardo Alberto Sordi che salta la fila dei taxi a Heathrow. E lo guardo quando spernacchia i lavoratori e poi scappa, quando ficca la madre all’ospizio per levarsela di torno, con represso sussulto di coscienza (“come ‘na reggina, me la dovete trattà!”), quando medita di sostituire le donne con i robot. Sullo schermo non c’è un invasato dell’American way of life (non è che usasse quest’espressione, poi), e meno che mai un film di Steno (Stefano Vanzina, lo chiamino pure gli snob dei cineforum): c’è Alberto Sordi. Oltre duecento volte, per una sessantina d’anni di carriera.

Il risultato di tutto questo non è la ricorrente, banalissima affermazione che “Alberto Sordi ha raccontato l’Italia”. Mi sentirei, con questo, di fare uno sgarbo a molti: cos’hanno fatto, allora, Manfredi o Mastroianni? Non l’hanno raccontata? Eccome. Albertone, invece, da fenomeno paranormale, È STATO l’Italia. Sì: è stato lui stesso, declinato in duecento personaggi, il nostro paese. Il nostro paese è stato Nando Mericoni, sbalestrato tra l’umile quotidianità e il sogno americano. Il nostro paese è stato l’industriale senza qualità de Il Vedovo, o quello sommerso di debiti de Il Boom. Il nostro paese è stato l’affermato borghese (quasi mai piccolo piccolo) dei film tra la fine dei Sessanta e i Settanta, l’editore che non sopporta più la quotidianità e va nel “continente nero” a cercare l’amico e l’avventura (“Titì, hai bruciato mezza Africa”). Nel fisico dinoccolato, nel saltino, nel balletto, nella risata c’è mezzo secolo della nostra Italia. Non (solo) nei film, non (solo) nelle storie, non (solo) nei personaggi: nel corpo di Alberto Sordi c’è l’Italia (“ammazza che fusto!”).

Chi voglia rispolverare qualche nostro decennio, selezioni una quindicina di quei duecento film, e li guardi con attenzione. È proverbiale che vi troverà vizi e virtù, ma magari quest’ultime saranno più di quel che comunemente si borbotta.

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