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Borg McEnore 40 anni fa. Il match del secolo tra filosofia e politica
Quale è la partita del secolo nel gioco del lawn tennis? La risposta è facile: finale di Wimbledon del 5 luglio 1980, di fronte Bjorn Borg e John McEnroe. Esattamente 40 anni fa.
Se uno sceneggiatore fosse stato chiamato a scrivere la trama di un match destinato a rimanere nella storia e nell’immaginario sociale non avrebbe saputo eguagliare ciò che la realtà si incaricò di offrire.
La sede è perfetta. Il tempio del tennis, il Vaticano della religione della racchetta e delle palline bianche: Wimbledon. I verdi prati, le fragole con la panna, l’incombente presenza della regalità sembrano attutire l’agonismo della competizione. Il tennis si sta avviando verso la grande trasformazione, accingendosi ad abbandonare i gesti bianchi. La rivoluzione dei materiali e dello stile di gioco è già nell’aria, e alcuni protagonisti della modernità sono destinati di lì a poco a rappresentare il vecchio mondo: Panatta, Vilas, Gerulaitis, Tanner, Nastase, ancora bene in arnese, diverranno in pochi anni solo esempi di un tennis romantico e perduto definitivamente; un tennis che si giocava come si viveva fuori dal campo, con fantasia, leggerezza forse anche ingenuità.
Il profeta di questa rivoluzione è Bjorn Borg, che ha già vinto quattro volte il torneo inglese, e che ha portato nel tennis una riforma strutturale: il suo tocco con il top spin ha mutato la costituzione materiale del gioco. Lo svedese ha incontrato il tennis per caso, scegliendo la racchetta come premio di una lotteria paesana. Da lì sono nati infiniti palleggi contro la parete di un garage, con una tecnica personale, e visto che il rovescio è il colpo più difficile da organizzare cosa c’è di meglio che impugnare l’arnese con la stessa presa bimane usata per la mazza da hokey? Dato che nella socialdemocratica Svezia lo Stato accompagna dalla culla alla tomba, se nel tragitto si incontra un campo da tennis tanto meglio: il giovanissimo Bjorn viene subito seguito dalla federazione e spedito in campo nella Coppa Davis poco più che sedicenne.
Alle ore 14,00 del 5 luglio 1980, per la quinta volta consecutiva dal 1976, Borg entra sul campo centrale di Wimbledon per disputare la finale: nell’epoca moderna nessuno ha mai raggiunto tale livello di continuità. Borg porta con sé il carisma della sovranità, nei primi turni del torneo londinese rischia sempre con avversari più deboli, che si bloccano però nel momento di affondare il colpo, paralizzati dalla decapitazione del monarca.
Sinora nell’ultimo atto ha sconfitto Nastase, Connors, per due volte, e Tanner, tutti avversari temibili ma superabili nella sua sintesi. Le finali sono state svolgimenti dialettici, con la sussunzione della anti-tesi in un ulteriore e più avanzato risultato. Borg ha riconosciuto gli avversari e da loro ha ricevuto il riconoscimento, come nella dialettica hegeliana del servo e del signore, il suo tennis è stato il risultato di questo reciproco movimento.
L’avversario che gli sta di fianco mentre si inchinano di fronte al palco reale è fatto di un’altra pasta. La dialettica non vale più, qui entra in gioco la differenza, assoluta.
John McEnroe è l’astro nascente del tennis, formatosi nell’ambiente universitario americano è destinato a diventare avvocato o consulente della finanza newyorkese. Aggredisce giudici di linea e arbitri come se stesse arringando in un foro, mette in causa la loro imparzialità e competenza, si sente vittima dei giornalisti e dei fotografi che lo disturbano mentre gioca. Pratica un tennis di attacco, da mancino trova angoli insidiosi, come cavilli giuridici di un atto di difesa, usa impugnature inedite, la racchetta nelle sue mani è un coltello affilato. Borg lo ha già incontrato sette volte prima di oggi, sempre sul veloce visto che sulla terra rossa l’americano stenta, venendo sconfitto in tre occasioni. Non si possono che trovare differenze tra i due. America contro Europa, tennis di rete contro regolarità da fondo campo, isteria tennistica contro calma serafica, impugnature piatte contro top spin, creatività contro razionalità. Sono destinati a non riconoscersi, ad allestire un conflitto mortale dove solo uno dei sue resterà in piedi. Borg è il Leviatano hobbesiano, la persona artificiale che porta ordine civile e pace, mentre McEnroe è Behemoth, il disordine caotico della violenza e della natura. Va in scena il grande scontro della modernità, la Sostanza contro il Soggetto. La potenza della volontà contro la volontà di potenza: Spinoza vs. Nietzsche.
La concreta vicenda sportiva che si svolge sul campo il 5 luglio 1980 trasforma questi elementi già ricchi di significato in una vera e propria epica. La partenza di Mac è bruciante, guerresca, in pochi minuti lascia a Borg solo un gioco, rendendogli un umiliante 6-1. La baldanza dell’americano trova nella seconda partita la giusta replica dello svedese, che non molla nessun punto, e anche quando sembra soccombere ritrova sostanza e gioco. McEnroe spreca un po’ e Borg ne approfitta chiudendo un combattuto set per 7-5. Lo svedese serve bene, segue anche la seconda a rete, nonostante lo si consideri un pallettaro; e soprattutto risponde con efficacia ai servizi saettanti dell’americano, costruendosi le palle break sufficienti a stare in testa. La partita è avviata su un terreno favorevole al detentore del titolo, il tenore emotivo si abbassa, la rabbia iniziale di Mac è solo un ricordo e tutto, compreso lo stato d’animo del pubblico, sembra scivolare verso la riconferma di Borg: che si aggiudica la terza partita per 6-3 e conduce 5-4 nella quarta. Alle 16,53 arrivano sul 40-15 anche due palle per chiudere il match: tutti intuiscono che manca poco alla fine. Tutti tranne McEnroe che annulla le opportunità con due fendenti, un rovescio e un diritto di volo, che lo portano a togliere il servizio a Borg e ad issarsi sul 5-5. L’urlo dell’americano lascia interdetti gli stupefatti spettatori. Dopo il 6-6 è l’ora del tie break, il rito della “morte rapida” che assegna una partita in pareggio a chi raggiunge prima i sette punti secchi, senza il conteggio dell’orologio (15-30-40 etc.): ogni punto vale la vita o la morte.
Hanno inizio i 23 minuti più lunghi della storia del tennis. Borg è avanti nel punteggio e riesce a conquistare altri 5 match ball: l’ultimo, il settimo della partita, sull’11-10 è salvato da Mac grazie alla complicità del nastro che trattiene la sfera bianca per rimandarla poi nella metà campo dello svedese. Le divinità del tennis hanno scelto. Dopo 34 punti di puro spirito, dopo cinque match point per Borg e sette set point per MacEnroe, l’americano irriverente porta a casa il tie break per 18-16.
Lo sconcerto del pubblico è annullato dall’entusiasmo per le emozioni vissute, il clan di Mac festeggia e carica del suo beniamino in campo. C’è un fremito di paura negli inglesi abituati alla consuetudine e ai tempi lunghi dei sovrani, la sensazione che il finale possa avere un esito diverso dalla solita celebrazione del re. Borg va al cambio di campo distrutto, è in piedi alla macchinetta che distribuisce acqua e bibite come un automa, lo sguardo perso. Gli tocca pure il turno di servizio. Deve rimettere in gioco e ricominciare. I primi due punti sono tragici, basterebbe una spinta in più per buttarlo nel baratro. Ma lì dimostra la sua grandezza, ribatte all’euforia del newyorkese con una solida ripresa di contatto con la realtà. Sarà impeccabile nel servizio, non cederà più che un solo punto nei suoi turni di battuta, mentre McEnore salva varie palle break. Si va avanti in equilibrio sino al 7-6 per Borg, il tie break non è previsto nel quinto set: lo svedese si guadagna due palle della vittoria con due passanti, poi sulla prima trafigge col rovescio McEnroe che va per le terre nel vano tentativo si arpionare la palla che lo passa. Borg cade in ginocchio e la racchetta vola in aria.
È l’ultimo vero trionfo. L’anno seguente McEnroe lo detronizza. Qualche mese dopo lo sconfigge anche nella finale degli Us Open, dove un indispettito Borg diserta la premiazione e sale su un taxi senza neppure essersi fatto la doccia e se ne va: non solo dal campo ma anche dal tennis.
Siamo negli anni ’80 della restaurazione neoliberale e lo spirito ribelle di Mac riflette il fastidio per le regole che animano la finanza e il capitale, rinfrancate dal reaganismo. Addio compromesso socialdemocratico, addio stato regolatore dell’economia! Dopo il tennis democratico di Borg si impone lo spirito aristocratico di McEnroe. Ma si tratta di una parentesi, in verità. Dopo Borg tutti giocheranno come lui, basta vedere oggi una qualsiasi partita. Mac sarà amato ma il suo tennis resterà un caso unico, una eccezione. Quaranta anni dopo si può tracciare un bilancio. Si può dire che sui campi “Borg è vivo e lotta insieme a noi”, nella società invece la fa padrone lo spirito di Mac.
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