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Futuro (pensionistico): toccare il Fondo

Mentre su alcuni temi come il lavoro ed i servizi pubblici il sentimento dominante sempre più esteso è l’arrabbiatura e per alcuni settori la coscienza della necessità di lotta (sia pur senza grandissimi risultati), sulla previdenza aleggia un sinistro fatalismo, come se fosse già scolpito nella pietra che chi oggi lavora la pensione non la vedrà mai o avrà un importo miserabile. Eppure l’erogazione viene stabilita in base alle leggi vigenti, che possono cambiare tanto in peggio quanto in meglio.
L’attacco alle pensioni e la pressione per la loro riduzione è diventato così frequente che non fa nemmeno più notizia. Dalla famosa « riforma Dini » del 1995 (che vide uniti in un amoroso trasporto la sinistra PdS e la Lega in maggioranza!) si sono susseguite numerose misure che hanno peggiorato le condizioni dei pensionati.
Senza contare i piccoli aggiustamenti che non fanno notizia perché troppo tecnici ma che hanno conseguenze; ultimo di essi: l’aggiustamento del coefficiente di trasformazione che tramuta l’ammontare dei contributi (i soldi versati dal lavoratore) in importo pensionistico. Secondo le nuove norme di giugno scorso chi va in pensione nel 2020/21 sarà penalizzato.
Da quando tale sistema è stato istituito i ritocchi sono sempre stati peggiorativi.
Nel sistema precedente, detto « retributivo », nella fase post lavoro la somma ricevuta era calcolata in riferimento alle ultime retribuzioni e l’obiettivo era che il soggetto mantenesse la stessa capacità di consumo; nella fase successiva il sistema « contributivo » si focalizza invece sui versamenti contributivi: il lavoratore riprende (più o meno) quello che ha dato.
Abbastanza prevedibilmente le pensioni si sono abbassate : mentre prima del 1992 l’importo era intorno all’80% delle ultime retribuzioni, già nel 1995 una ricerca IRS calcolava che si era scesi al 64,7% (per giungere anni più tardi a poco più del 50%).
La causa più diretta è stata la creazione della Ue, con i suoi parametri assurdi ed autolesionistici tendenti a comprimere la spesa pubblica, parallelamente ad altri contesti extraeuropei non troppo dissimili. Per legittimare tale riduzione di diritti il ventennio successivo metterà in campo i più nefasti luoghi comuni, dalla « insostenibilità finanziaria » di politiche troppo generose alla « giustizia intergenerazionale » (cercando di far passare il massacro sociale come provvedimenti a favore dei giovani, con un livello di ignominia veramente raro): argomenti la cui infondatezza a tratti spudorata è stata già smentita acutamente.
Le pressioni per ridurre gli assegni pensionistici assumono senso se si considera che col declino della previdenza pubblica si apre un mercato molto significativo: quello della previdenza privata.
I provvedimenti che colpiscono la prima escono molto ravvicinati da quelli che fanno avanzare la seconda.
Il D. Lgs. 503/92 del 30 dicembre 1992 taglia le pensioni; il D. Lgs 124/93 del 21 aprile 1993 (quattro mesi dopo!) istituisce i Fondi pensione (si noti: il Tratto di Maastricht firmato a febbraio 1992 entrò in vigore a novembre 1993).
La previdenza privata – o complementare, come pudicamente si preferisce designarla – è diventata una componente molto importante del panorama finanziario attuale: da quando venne lanciata da Reagan e Thatcher negli anni Ottanta è crescita raggiungendo proporzioni ragguardevoli, fino a diventare uno dei settori trainanti della finanza attuale. Stime recenti calcolano le attività finanziarie riconducibili ai fondi pensione pari a 32 trilioni nei paesi OECD (incidendo sul Pil in maniera variabile, ma eloquente : si noti lo sviluppo in Olanda!).

L’importanza di tale settore non è solo data dal peso in termini puramente economici (che è consistente), ma dal fatto che un numero crescente di persone dipende per il benessere del periodo post-lavoro della propria vita dalle prestazioni dei mercati finanziari.
Sul piano dei rapporti politico-valoriali la logica è semplice quanto aberrante: dato che lo Stato diminuisce le sue prestazioni, va affiancata una forma privatistica che integri l’oramai dimagrito reddito dei pensionati, con uno spostamento per la soddisfazione dei bisogni dal terreno collettivo del rapporti Stato-cittadini a quello individuale dei mercati finanziari-cliente.
Ad un diritto di carattere pubblicistico subentra una forma di contratto individuale per cui l’alpha e l’omega è la scelta del singolo, che dovrà cavarsela da solo per capire la convenienza e il livello dei rischi; materia delicata e importante, vista la molteplicità di opzioni con un grado differente di azzardo: totalmente fuori dalla portata dei cittadino comune.
Le misure regolamentative che inoltre tendevano ad assicurare la scelta solo al cliente adeguatamente preparato si sono dimostrate una barzelletta non particolarmente divertente (si pensi agli sfortunati acquirenti delle obbligazioni subordinate di Banca Etruria).
In questo settore specifico l’organo di controllo è la COVIP, la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, che nella sua guida esplicativa sottotitola: « Pianifica il tuo futuro previdenziale », sembrando echeggiare il gergo aziendale del settore…
Tale panorama deve far riflettere sul ruolo di tali processi nella società attuale: non si tratta solo di forme nocive di speculazione, ma di gestione finanziarizzata di bisogni umani fondamentali quali la protezione sociale, che li ingloba e sostituisce i rapporti di cittadinanza come forma di mediazione sociale: la società viene frammentata in una molteplicità di rapporti privatistici – proni all’economia dominante. Il pensionato che al mattino sorveglia ansiosamente l’andamento della borsa per capire quanto gli arriverà in tasca a fine mese pare una distopia da serie televisiva ed invece è una realtà dietro l’angolo. E sul quel terreno il voto non conta più. La forma più pura di spoliticizzazione è servita, riservando l’agone politico allo scontro culturale-identitario che inevitabilmente si avvita su se stesso.
Inquietante è il fatto che su questo specifico campo in Italia vediamo che si realizza una forma di connivenza fra parti sociali: i fondi pensione sono frutto non solo di una legge, ma di contrattazioni collettive fra parti datoriali e sindacali e sono catastrofici su tutti i fronti: la contribuzione da parte datoriale ad essi è senza dubbio un costo, che va sullo stesso piatto degli aumenti salariali, così che eventuali aumenti vengono sacrificati per dare liquidità a enti cui non tutti i lavoratori aderiranno (sempre che non diventi obbligatoria la sottoscrizione); inoltre nell’amministrazione dei fondi vi è una compartecipazione di esponenti datoriali e sindacali.
Una « cogestione » che vede per esempio nel CdA di Cometa − il fondo pensione per i metalmeccanici esponenti di FISMIC, FIM CISL, FIOM CGIL e UILM − personaggi quali il presidente Oreste Gallo, ex BlackRock, il fondo d’investimento privato più potente al mondo, ex Morgan stanley ed ex Credit Suisse. Un atteggiamento ben poco commendevole, che non si limita ad una gestione alla chetichella, ma che arriva ad attiva promozione dell’adesione a fondi pensione presso i propri iscritti, con esempi veramente censurabili.
La Ue non poteva mancare di dare il suo contributo all’accelerazione di queste dinamiche così nocive e vergognose.
Una serie di provvedimenti messi in cantiere da diversi anni – di cui i cittadini ovviamente nulla sanno – sono volti a costruire l’Unione del Mercato dei Capitali, cioè ad incrementare i processi per diversificare le fonti di finanziamento delle aziende europee, suscitando una effervescenza di investimenti finanziari tale da sostituire in parte le banche in tale funzione, prendendo come modello gli USA.
Il progetto, un dedalo quasi inestricabile per i non addetti ai lavori, ha preso le mosse a febbraio 2015 e include un insieme di provvedimenti eterogeneo (non ancora ultimato), fra cui campeggia la promozione di forme di previdenza privatistica.
Il 20 giugno 2019 è stato emesso il Regolamento sul Prodotto pensionistico individuale paneuropeo (approvato dal Parlamento comunitario ad aprile) per costruire una cornice regolativa unitaria per tali tipi di prodotti onde invogliare i consumatori.
La logica di fondo è che più si riuscirà a far confluire in gestori di previdenza complementare il salario differito o il risparmio, più essi potranno pompare soldi nelle aziende.
Giusto a giugno 2020 è arrivato un robusto rapporto dalla Commissione, A new Vision for Europe’s capital markets, che insiste sullo stesso punto, suggerendo (tra l’altro) di trovare i modi per rendere obbligatoria la adesione dei lavoratori a forme pensionistiche aziendali.
Non sia mai che l’idea di affidarsi per il proprio futuro ai circuiti finanzcapitalisti che hanno già dato prova di tanta corretteza, affidabilità e responsabilità possa non sorridere a qualcuno.
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