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Sacro e salute


29 Lug , 2020|
| Sassi nello stagno

L’ossessione attuale della tutela della salute non è solo una giusta difesa del diritto alla salute. C’è qualcosa di più: la disperata ricerca di qualcosa da sacralizzare; in assenza di fedi religiose o politico-ideologiche, l’unica cosa che si può sacralizzare è la mera vita.​ Ne deriva una politica al grado zero. Ciò da un lato conferma la tesi teologico-politica, cioè il bisogno di agganciarsi a qualcosa di sacro, di trascendere un’immanenza costitutivamente difettiva, ma allo stesso tempo rivela l’incapacità di elevarsi oltre la mera vita biologica. L’ossessiva immunizzazione che ne deriva, pronta a pagare il prezzo di una radicale desocializzazione (distanziamento dei rapporti, demonizzazione dei contatti,​ scuole, università, biblioteche, teatri, sale di concerti, cinema chiusi), è il sintomo che la spoliticizzazione si sta dispiegando al sommo grado, al tempo del neoliberismo sanitario. Siamo alla teologia della sicurezza sanitaria. Ma senza vera politica. Cioè senza autotrascendenza, senza fede in un orizzonte progettuale, che ci elevi al di là della sopravvivenza biologica.​
Le reazioni scomposte di fronte a chi mette in questione la narrazione mainstream sulla gestione del virus, sottolineando errori, opacità e la possibilità di strategie diverse, si spiega anche così. Come un riparo disperato in una sacralizzazione senza coraggio, indiscutibile quanto fittizia, l’illusione di esserci procacciati a poco prezzo una superiorità morale, che in realtà nasconde un autoinganno. L’ossessione sanitaria in luogo di una politica emancipativa, umanistica è una copertura di cartapesta del moralismo nichilistico, che costituisce il nucleo effettivo tanto del progressismo neoliberale e del politicamente corretto, quanto dell’emergenzialismo tecnocratico.

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