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Lineamenti del populismo di mercato


10 Set , 2020|
| Visioni

L’epoca della post-modernità reca con sé numerosi effetti. Fra questi emerge con chiarezza la centralità di un nuovo pilastro di legittimazione degli equilibri governanti le nostre società. Il neoliberismo, come fonte di potere che egemonizza ogni forma culturale, oltre che economica e politica, necessita di molteplici forme di supporto ideologico in grado di inserirsi nelle contraddizioni che inevitabilmente interessano i suoi meccanismi.

Per comprendere i mezzi di inserimento nella realtà sociale dei dogmi liberisti è però necessario mettere in luce gli effetti psicosociali che essi stessi generano. Va dunque evidenziato il modo in cui tali teorie facciano ampio utilizzo di tutte quelle modalità talvolta grossolane e approssimative che non concernono la complessità del loro modello economico di riferimento.

Punto di incontro di tale narrazione è l’incontestabilità delle sue teorie. L’impossibilità di mettere in dubbio le sue fondamenta è l’architrave della sua ragion d’essere. La messa in discussione dei principi liberali può a questo punto essere ridicolizzata o non presa in considerazione da parte di coloro che comunicano dall’alto verso il basso (top-down, dunque senza possibilità di risposta) con il grande pubblico.

L’isteria della difesa dei principi neoliberisti viene così delineandosi come un vero e proprio populismo di mercato.

Negli anni ’90 numerosi ricercatori come T. Frank iniziarono a registrare l’emersione di tale nuovo fenomeno sociale. Avente come suo epicentro gli Stati Uniti, tale sfumatura del populismo iniziò poi a diffondersi come retorica dominante in ogni contesto nazionale occidentale.

Secondo il principio cardine di tale inedita dottrina, il mercato, in qualità di entità astratta avente valori politici, incarna a tutti gli effetti i valori della democrazia. Alla luce del declino delle ideologie e della crisi dei partiti, il mercato diviene il nuovo foro della rappresentanza e strumento primario di democrazia diffusa. Tale entità viene individuata come principale depositaria delle libertà individuali, dell’autonomia di scelta e di fonte di soddisfazione delle esigenze dei cittadini (ora consumatori): viene così presentandosi come apice della libertà del cittadino. Secondo il fanatismo di mercato, ogni interferenza da parte dello Stato ed ogni limitazione finalizzata a disciplinare la libertà del mercato è da intendersi come un attacco alla democrazia. Le leggi finalizzate alla regolamentazione del mercato divengono passi in avanti verso la tirannia.

Quale populismo?

Per comprendere meglio la portata del fenomeno, prima di delineare i tratti salienti di tale particolare forma di populismo occorre menzionare un’accezione del termine dotata di propria autonomia. Essendo un’espressione ampiamente utilizzata, spesso a sproposito, il populismo mostra invece proprie caratteristiche e modalità d’azione politica.

“Nei più diversi Paesi e momenti della storia, il populismo ha sempre costituito il rifiuto di ogni istituzione e di ogni sistema rappresentativo, ma anche di ogni sforzo di libero pensiero in nome dell’essenza del popolo”

(A. Touraine, Come liberarsi del liberismo, Parigi, Il saggiatore, 1998, p.52-53).

Populista è quell’area politica che si appella in maniera metafisica a ipotetiche forze popolari. Queste ultime non vengono però individuate come soggetti attivi nella lotta politica di affermazione di valori specifici, bensì come una moltitudine passiva ed automaticamente esecutiva di compiti e obiettivi determinati unicamente dal vertice. Il popolo ha bisogno così di un capo, poco importa se individuale o collettivo, che sottragga la moltitudine dall’incertezza e dalle contraddizioni che essa stessa vive. Il fine ultimo del vertice populista è fare in modo che si generino le condizioni affinché il popolo, inteso come suo esecutore e adepto, rimanga subordinato alla medesima dialettica del leader e dunque non fuoriesca dalla linea politica predeterminata e prenda coscienza della forza che detiene anche in assenza della figura del capo.

È errato ritenere che il populismo sia un’area politica unicamente conservatrice: “il populismo non è né di destra né di sinistra, poiché si colloca al di fuori delle categorie della rappresentanza politica“. Populismo è così sinonimo di sottrazione e talvolta privazione dell’identità della moltitudine che aderisce a determinati valori. Si giunge talvolta ad una vera e propria sostituzione di ideali, i quali riflettono gradualmente le posizioni e gli orientamenti del leader del momento.

Populismo non è quindi potere in mano alle masse, ma una precisa strategia di controllo e distrazione; nonché principale ostacolo per la conquista di coscienza da parte di intere classi sociali. In tal senso, al di là dei valori che esso può incarnare, il populismo agisce congiuntamente con il personalismo politico e la leaderizzazione: fenomeni che riguardano tutte le componenti della società, agendo in maniera trasversale alle classi, e non ristretti segmenti di quest’ultima.

Come già anticipato, in quanto dimensione politica che si sottrae alla classificazione lungo il continuum destra-sinistra, il populismo può interessare vari territori della politica liberale. Al di là dei valori di cui si fa promotore, è importante che la politica populista incarni specifiche caratteristiche (alcune delle quali già menzionate):

  • Indiscussa centralità del leader;
  • necessità di scandire l’azione politica mediante l’utilizzo di parole d’ordine;
  • subordinazione dei membri alla determinazione del vertice;
  • ampio utilizzo di tecniche retoriche legate alla critica e la condanna.

È in tale ottica che va inteso il populismo di mercato, il quale mostra una propria fisionomia.

Il populismo di mercato

“I mercati sono ‘naturalmente’ democratici e per funzionare al meglio non devono essere intralciati da interferenze politiche e da regolamentazioni di provenienza esterna (cioè politica)”

(Bauman, Homo Consumens, Leeds, Erickson, 2006, p.38).

Il populismo di mercato, opponendosi al principio cardine della partecipazione politica secondo cui fattore primario della partecipazione democratica consisterebbe nel pluralismo politico, indica la politica come nemico primario della democrazia, mira al suo svuotamento di poteri e individua il mercato come essenziale destinatario delle istanze democratiche.

È chiaro che le convinzioni dei sostenitori di tali teorie mostrino numerosi contraddizioni. Innanzitutto, va menzionata la cecità che impedisce all’estremismo liberale di osservare le conseguenze che l’attività senza freni e vincoli del mercato può generare. Conseguenze riscontrabili in primis sul piano sociale, essendo il mercato il primo generatore di diseguaglianze sociali. Tale logica può generare da un lato la “negazione dei diritti del consumatore” (e così anche le tanto ostentata libertà di scelta e di iniziativa economica) per coloro che si trovano in condizioni di stagnazione alla base della piramide sociale, dall’altro, può diffondere una prospettiva di incertezza e un modello di vita precaria per tutti gli altri livelli subalterni della piramide sociale. Non a caso, proprio nel tentativo di fare fronte a tali conseguenze negative, venne ideata la democrazia.

Il populismo di mercato si mostra poi anche determinato ad individuare i nemici della libertà di consumo. Nemici che risiedono tutti nella sfera politica, mai in quella del mercato. Si assiste così ad una netta polarizzazione sul terreno di scontro, ove le rivendicazioni dei sostenitori del mercato sono chiare: al nemico politico deve essere inibita qualsiasi margine di intervento in materia economica.

Una tale logica è devastante soprattutto se collocata in ambito sociale. Il cittadino, in quanto membro della società dotato di diritti e doveri, si spoglia della sua individualità e della sua natura giuridica e assume natura inedita. L’impoverimento cui va incontro il singolo membro sociale lo conduce verso una sola direzione: divenire consumatore. Tale mutazione antropologica non elimina la piramide sociale, anzi, la fortifica. Il mercato, propagandato come struttura neo-democratica, può a tutti gli effetti esser visto come metodo di selezione dei consumatori più abili.

In tale contesto è necessario, oltre che doveroso, citare Bauman nell’opera “Homo Consumens”: “Il controllo della qualità è rigido e spietato, gli aspiranti vengono respinti senza ricorso e hanno scarse possibilità di riabilitazione, mentre le schiere dei condannati (i consumatori scadenti o invalidi) si gonfiano con ogni successivo avanzamento del mercato” (Bauman, Homo Consumens, Leeds, Erickson, 2006, p.40).

Ultimo aspetto da prendere in esame è relativo alla qualità dei prodotti in un contesto che vede il pieno dominio del mercato. Quest’ultimo, infatti, agendo con finalità prioritariamente di profitto rema inevitabilmente nella direzione di una perdita qualitativa dell’industria (culturale e non). In Dialettica dell’illuminismo, Adorno e Horkheimer, segnarono i punti lungo i quali il capitalismo maturo avrebbe neutralizzato la coscienza critica dei consumatori; la quale sarebbe poi scomparsa durante la piena realizzazione della fase suprema del capitalismo. Mediante un approccio analogo, anche Marcuse, in L’uomo a una dimensione, afferma che le previsioni dei suoi predecessori francofortesi si sono a tutti gli effetti realizzate. In linea con il suo approccio, si evidenzia come il mercato abbia egemonizzato ampi strati della popolazione mediante meccanismi di depauperamento culturale. In tali meccanismi vanno inclusi l’utilizzo di strumenti unicamente di intrattenimento e l’allontanamento dei cittadini dall’interesse verso le questioni pubbliche e politiche.

Se non rimane più nient’altro da fare, è probabile che i cittadini abbandonino completamente l’idea di collettività e di società democratica per affidarsi al mercato per dirimere le controversie“. (Neal Lawson, Dare More Democracy, London, The Compass, 2006, p.56).

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