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La violenza delle interpretazioni, il femminismo transfobico e il ddl Zan


25 Set , 2020|
| Visioni

“Il femminismo non solo ci ha permesso di riconoscere uno spettro di connessioni tra discorsi, istituzioni, identità e ideologie che spesso saremmo portati a considerare separatamente, ma ci ha anche permesso di sviluppare strategie epistemologiche e organizzative che ci spingono al di là delle categorie di «donne» e «genere»”.

Angela Davis, “La libertà è una lotta costante”.

Il triste femminicidio di Caivano, di certo frutto della più becera violenza patriarcale, ha portato al centro del dibattito pubblico anche l’importanza di riconoscere una tutela penale contro gli atti di omotransfobia e di misoginia.

Il dibattito, invero, è fervente ormai da qualche mese a causa del ddl Zan contro le discriminazioni e le violenze per orientamento sessuale, genere e identità di genere in discussione in Parlamento, dibattito ove perlopiù si sottolinea il carattere strutturale della violenza, che essendo basata sul genere, “si rivolge, oltre che contro le donne, anche contro le soggettività LGBT*QIPA+, colpendole cioè proprio a partire dalla loro identità e/o scelta di genere e sessuale. Pertanto, oltre che di violenza maschile contro le donne, è necessario parlare di violenza di genere[1].

Quanto accaduto a Caivano e il modo in cui la stampa nazionale lo ha narrato, dimostrano come le parole e le interpretazioni veicolano, più o meno consapevolmente, violenza contro la minoranza trans. D’altra parte, il modo in cui alcune femministe hanno tenuto a etichettare ossessivamente “Cira” come “donna” mostra bene tutta la violenza di un sistema eteronormato che questa parte del femminismo, in particolare, legittima e rafforza. Un esempio chiarirà la questione.

Partiamo da una dichiarazione che Ciro Migliore rilascia ai giornali, riportata da La Repubblica: “Stavamo insieme da tre anni, ma la famiglia di Maria Paola non voleva. Dicevano che eravamo due donne. Io però non sono una donna. Per loro invece sì. Addirittura, li ho sentiti dire che avrebbero preferito che la figlia morisse, piuttosto che stare con uno come me. Un masculillo[2].

Questa dichiarazione viene liberamente, ideologicamente e violentemente reinterpretata da Marina Terragni che, sul suo profilo Facebook, commenta soddisfatta: “Lo dice lei stessa. Non un “uomo trans”. Un Masculillo. È tutto un altro mondo”. Tralasciamo per ora la difficoltà della giornalista nella comprensione del testo scritto (su cui si tornerà a breve), e in particolare del discorso indiretto all’interno del discorso diretto di Ciro, e spostiamo l’attenzione sul suo ragionamento che è invero approfondito dalla stessa sul blog personale: le masculille, come i femminielli, appartengono ad una cultura antichissima, precedente alla “subcultura queer”. Che mondo, antropologicamente e socialmente, è quello di questa “tradizione mediterranea millenaria” (sic!)? Nelle parole della Terragni queste persone “vivono, si abbigliano, si comportano come se appartenessero a un genere terzo, né precisamente maschile né precisamente femminile, tradizionalmente accettati nella loro scelta dalla comunità che attribuisce loro un posto e un ruolo preciso[3]. Un mondo idilliaco parrebbe di capire. Poco importa che quel posto e quel ruolo nella comunità siano o possano essere socialmente subalterni e umilianti. Tale interpretazione, allora, non solo nega che Ciro non si sente una donna, ma gli attribuisce l’identità di “masculilla” che viene anche spacciata come socialmente accettata e apprezzata (o astrattamente apprezzabile).

La violenza di questa interpretazione, però, appare alle e ai più palese, almeno sul piano logico e di comprensione del testo scritto: Ciro afferma chiaramente che lui non si sente una donna. In altre interviste Ciro ha affermato esplicitamente che Maria Paola Gaglione lo ha sempre amato come uomo[4]. Ciro riferisce chiaramente che è la famiglia di Maria Paola adapostrofarlo, aggettivarlo, definirlo, etichettarlo in senso spregiativo come “masculillo”. Il contesto specifico di Caivano e delle persone coinvolte ci raffigura chiaramente una realtà in cui un “masculillo” tutto è meno che socialmente “accettato” dalla comunità, come vorrebbe far credere Terragni. Ciro è perseguitato dalla famiglia di Maria Paola proprio perché ritenuto sbagliato, infetto, un masculillo. Assistiamo allo stravolgimento non solo del pensiero (soggettivo) di Ciro, ma anche dell’oggettività della difficile situazione del trans in quest’area urbana del napoletano e della specifica comunità di riferimento!

La logica di questo femminismo, che viene in toto abbracciato da ArciLesbica[5], è dichiaratamente contro le persone trans: la transessualità non si autocertifica, finché la persona interessata non si sottopone all’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso biologico va considerata semplicemente appartenente al sesso di nascita. E da ciò conseguirebbe, a loro dire, che Ciro in realtà è donna e la relazione con Maria Paola era una relazione lesbica.

Poco importa qui sottolineare che almeno giuridicamente, dal 2015, piccoli passi avanti si sono fatti, visto che la Cassazione (con sentenza n. 15138/2015) ha dichiarato la non indispensabilità del trattamento chirurgico di adeguamento degli organi sessuali ai fini della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso ai sensi della legge n. 164/1982[6]. Non è questo il caso né il punto!

Qui invece il punto è un altro. O almeno dovrebbe essere un altro. Qui non è in questione l’autodeterminazione personale di Ciro, il self-id[7] (come direbbe Terragni), ma la prospettiva maschilista e machista dell’assassino, pronto a “dare una lezione” alla sorella e a Ciro, mosso da ragioni di omotransfobia rispetto a Ciro.

Consapevolmente o meno questo femminismo sta legittimando discorsi di subordinazione sociale, esclusione e violenza, e in aggiunta decide di focalizzare l’attenzione mediatica su una delle vittime (Ciro) e non sul carnefice (il fratello di Maria Paola), come nei ben noti processi per stupro degli anni ‘70[8].

Libere di farlo, certo, ma con l’onestà intellettuale e la consapevolezza di abbracciare e condividere una cultura maschilista ed eteronormata, che non subordina solo la donna all’uomo, ma anche i/le trans alle donne (e agli uomini). Gerarchia pienamente patriarcale. D’altronde si tratta della stessa “cultura millenaria” che, di fatto, ha oppresso e opprime le donne; cultura dominante – essa sì davvero mainstream – che non diventa migliore o più giusta solo perché agita direttamente dalle donne contro una minoranza (trans).

Per comprendere il paradosso in cui si cade, immaginiamo adesso, per assurdo, di commentare un fatto analogo a quello di Caivano in cui i protagonisti siano una coppia eterosessuale e dove lui venga ucciso da un suo parente perché lei è ritenuta dalla “famiglia” una “poco di buono”. La ragazza, sopravvissuta al tragico incidente stradale commenta alla stampa “Stavamo insieme da tre anni, ma la famiglia di lui non voleva. Dicevano che ero una prostituta. Io però sono una persona per bene. Per loro invece no. Addirittura, li ho sentiti dire che avrebbero preferito che il figlio morisse, piuttosto che stare con una come me. Una puttana”. Mi aspetterei a questo punto – sul piano di coerenza logico-argomentativa – un commento compiacente della Terragni sulla tradizione millenaria contro le libertà femminili, ben precedente alla (sub)cultura (!?) femminista, del ruolo subalterno della donna, peraltro ancora socialmente accettato e apprezzato in taluni contesti, del posto che la comunità attribuisce loro…

Bene, la politica e il diritto, in un’ottica costituzionalmente orientata al pieno sviluppo della persona umana (ai sensi degli Artt. 2 e 3 della Costituzione), devono però combattere a 360° questi stereotipi socio-culturali e queste gerarchie che, per quanto storicamente assai radicati, contribuiscono allo stesso modo a escludere, stigmatizzare, rendere indegne ed emarginare categorie, più o meno ampie, di persone.

Ciro e Maria Paola sono stati aggrediti per transfobia, dato che il loro amore era considerato sbagliato perché Ciro è una persona, in senso stretto, transgender[9]. Questo dato oggettivo non cambia se si aggettiva, spregiativamente come fa(ceva) la famiglia Gaglione o in maniera quasi elogiativa come fa la Terragni, come masculilla. A causa dell’aggressione vi è l’identità di genere di Ciro, comunque la si voglia definire, il suo sentirsi uomo in corpo di donna.

Come noto, il ddl Zan intende modificare gli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale – che puniscono i reati e i discorsi d’odio fondati su caratteristiche personali quali la nazionalità, l’origine etnica e la confessione religiosa – proprio per ricomprendere fra gli atti discriminatori anche quelli basati sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. Scopo nobilissimo ma non sufficiente.

Evidentemente il ddl Zan è solo un primo passo per diffondere, davvero, una cultura dell’inclusione sociale, contro ogni forma di discriminazione. Sul piano culturale ed educativo, difatti, vi sarà molto da lavorare, partendo magari dai giornali, dalle scuole, dalla comprensione dei testi scritti, da una seria lotta contro l’analfabetismo funzionale e, soprattutto, dalla cultura del rispetto delle e degli altr*.


[1] Così il Collettivo internazionale NonUnaDiMeno, al link https://nonunadimeno.wordpress.com/2020/07/10/10419/?fbclid=IwAR1Pu3xj51tqnPQn0wK6flqQNmxRsYj1Sbnftk-xiNoIufUqunlo1F7aiN0.

[2] Vedi https://napoli.repubblica.it/cronaca/2020/09/14/news/le_lacrime_di_ciro_fidanzato_di_paola_l_amavo_ma_i_suoi_familiari_dicevano_meglio_morta_che_con_uno_cosi_-267243649/.

[3] M. Terragni, Cira-Ciro, Le Masculille, Il Queer, sul blog personale della giornalista al link http://marinaterragni.it/cira-ciro-le-masculille-il-queer/?fbclid=IwAR03SQrl5h0axGn50rYrZ5nbd0RbV1_DZZiQZcB1uP1CQP5krf0qVoznNvA.

[4] Vedi Ciro, il compagno di Maria Paola: “Ci amavamo. La sua famiglia ci ha sempre ostacolati”, al link https://www.huffingtonpost.it/entry/ciro-il-compagno-di-maria-paola-noi-ci-amavamo-la-sua-famiglia-ci-ha-sempre-ostacolati_it_5f5f065cc5b62874bc1f1616.

[5] Vedi “Si chiama Cira”, bufera su ArciLesbica Nazionale, al link https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/09/15/chiama-cira-bufera-arcilesbica-nazionale_OWxxPcDBvOqCHvci4Z4pDM.html.

[6] Cfr. C. Angiolini, La rettificazione del sesso alla luce della recente giurisprudenza dei Giudici di Legittimità, in Familia, n. 1/2-2016, p. 146 ss.

[7] Inteso come la possibilità di definirsi liberamente uomo o donna a prescindere dal sesso biologico di nascita senza alcun atto pubblico che accompagni e sancisca il passaggio.

[8] Questa parte del movimento femminista è conosciuto non a caso come “femminismo essenzialista e trans-escludente” (Trans-exclusionary radical feminism da cui la sigla TERF). Cfr. G. Viggiani, Donne si nasce? Questione transessuale e femminismo della differenza negli Stati Uniti, in “Ragion pratica, Rivista semestrale” 2/2015, Il Mulino, Bologna, 2015 pp. 403 ss.; A. Caruso, Il femminismo non può escludere le donne trans, in Jacobin Italia, 08.03.2020, al link https://jacobinitalia.it/il-femminismo-non-puo-escludere-le-donne-trans/.

[9] Per il corretto uso delle parole cfr. Trans, transessuale, transgender, al link https://www.ilpost.it/2020/09/15/glossario-trans-transessuale-transgender/; nonché la guida MIT reperibile on-line al link http://www.articolo29.it/wp-content/uploads/2013/07/transiti-pdf.pdf.

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