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Sull’ottusità del difendere il referente testuale sbagliato. Ovvero, il bulletto non parlava di Arcilesbica!

Legere et non intelligere est negligere. Mi corre l’obbligo di replicare all’articolo di tale Sara Rossi “In difesa di Arcilesbica” per chiarire dei punti e spiegare dei fraintendimenti. In realtà il compito non è agevole, poiché l’autrice ha voluto in mala fede – nella migliore delle ipotesi – utilizzare il mio articolo per togliersi dei sassolini dalla scarpa, che evidentemente le davano fastidio da tempo e non certo contro la mia persona. Per cui il mio articolo è solo un pretesto per scagliarsi contro chi la pensa diversamente da lei e soprattutto contro chi – di sesso maschile – critica aspramente ArciLesbica, cosa che però personalmente non ho fatto. Ciò emerge chiaramente già dal titolo e dall’incipit del suo articolo, ove si afferma che il mio contributo “si pronunciava contro le affermazioni pubbliche dell’associazione nazionale Arcilesbica in seguito alla tragedia di Caivano”.
Nulla di più falso. Leggere e non capire equivale a non leggere. Nel mio articolo mi pronuncio – nel senso di prendere una posizione – contro le argomentazioni portate avanti da alcune femministe, in primis la più volte nominata Marina Terragni, che con ArciLesbica non hanno nulla a che vedere!
Nell’articolo nomino solo una volta ArciLesbica per dire, prendendone atto e come mero dato di cronaca, che rispetto alla questione di Ciro essa abbraccia la logica del femminismo cosiddetto terf[1], rimandando in nota ad un articolo di Adnkronos. Diversamente da quanto fa credere (o ha compreso) l’autrice, non riconosco ad ArciLesbica alcun primato rispetto al femminismo c.d. terf (anzi F.A.R.T.). Al di là di questo inciso, poi, del femminismo lesbico non dico proprio nulla nel mio articolo, né invero la posizione di ArciLesbica è assimilabile a quella del femminismo lesbico tout court.
Dunque se proprio l’autrice avesse voluto rispondere davvero alle mie considerazioni avrebbe dovuto scrivere qualcosa di intelligente non in difesa di ArciLesbica, ma al limite in difesa di tutto questo filone del femminismo e soprattutto di Terragni (esponente di RadFem Italia), visto che il mio articolo analizza e discute principalmente e quasi esclusivamente le sue argomentazioni.
Per il resto la stessa autrice ammette che ArciLesbica ha commesso, sulla vicenda di Caivano, errori di comunicazione (“trovo le modalità comunicative dell’associazione molto discutibili”…per quanto, verrebbe da dire, discutibili da tutte ma non dai maschietti!!), ed anzi la difesa di ArciLesbica è alquanto timida, dal momento che si mettono di continuo le mani avanti, si prendono più volte le distanze dalla stessa associazione, spesso in modo anche ingeneroso.
Di tali modalità comunicative di ArciLesbica – lo ribadisco affinché il concetto sia chiaro – io prendo atto solamente in un inciso, senza entrare nel dibattito interno all’associazionismo femminista e LGBTIAQ+[2], né esprimendo giudizi così netti come fa la Rossi (“io ho trovato molto scorretto e fuori luogo da parte di Arcilesbica puntualizzare il sesso di Ciro (compagno della vittima) all’indomani della tragedia”… “vorrei qui porre l’attenzione non tanto sulle posizioni di Arcilesbica (che non condivido)”… “Che Arcilesbica stia sbagliando molte cose mi pare evidente”…), proprio perché non era mio interesse controbattere agli argomenti di ArciLesbica in particolare.
D’altra parte va fatto notare che questi errori di comunicazione non sono politicamente neutri, tanto che su di essi Sara Rossi si guarda bene dal trarre delle conclusioni politiche. Queste argomentazioni del femminismo alla Terragni e anche questi errori di comunicazione – per chi è un minimo consapevole del dibattito politico italiano – portano a conseguenze giuridicamente e socialmente gravi. La Rossi si ricordi il pretestuoso scudo della gestazione per altri che questo femminismo (Terragni) alzò contro la step child adoption quando si discuteva della legge 76/2016. Ignora l’autrice che gli esiti di quella battaglia politica mistificatoria di parte del femminismo italiano, portata avanti accanto ad Adinolfi, Pillon e Co., li stanno pagando tutt’oggi – sulla propria pelle – migliaia di coppie lesbiche e i loro figli, che faticano ad essere riconosciute? Evidentemente le conseguenze performative di queste battaglie non interessano l’autrice, preoccupata solo di puntare il dito contro il primo maschio cisgender che si pronuncia o addirittura pontificherebbe su un dibattito che a suo parere dovrebbe riguardare solo le interessate, ma che deve invece riguardare tutte e tutti come ogni discussione democratica in un Paese civile.
Tutto ciò che l’autrice afferma, poi, circa la minoranza lesbica e la posizione specifica di ArciLesbica, per quanto condivisibile, non appartiene al mio discorso. L’autrice arriva finanche a sostenere che “La comunità trans ha ovviamente tutto il diritto di ribattere alle uscite poco felici di Arcilesbica come le pare, ma il fatto che uomini cis mettano il becco in una questione che non li riguarda (pur con tutte le buone intenzioni del mondo) accusando le lesbiche – comunità oppressa e discriminata anch’essa – di ogni bassezza morale e politica è francamente insopportabile. Prendere posizione, parteggiare, va bene a patto di riconoscere la dignità dell’avversario, e di non cadere nel vortice di violenza dell’occhio per occhio”.
Per quel che riguarda il mio pensiero, si tratta non di un monologo dell’autrice bensì di un soliloquio. Mi si fa dire ciò che non dico, mi si attribuiscono più “meriti” del dovuto. Sembra quasi si sia letto un altro articolo! Per farlo, in maniera a dir poco scorretta, si cambiano persino le frasi da me scritte mettendo come soggetto ArciLesbica (Arcilesbica “sta legittimando discorsi di subordinazione sociale, esclusione e violenza, e in aggiunta decide di focalizzare l’attenzione mediatica su una delle vittime (Ciro)…)!!
Il soliloquio dell’autrice sulla condizione delle persone lesbiche, per quanto astrattamente condivisibile, non riguarda il mio piano del discorso. Il mio piano del discorso, e ringrazio l’autrice per permettermi di chiarirlo, è un piano influenzato dalla mia formazione giuridica. Come studioso del diritto io tendo a chiedermi che riflessi hanno determinati argomenti, politici e/o ideologici, sulla normazione che abbiamo o dovremmo avere, tanto più in questa fase di discussione del ddl Zan, che vanta tra i suoi oppositori non solo fascisti e omofobi di ogni area politica, ma anche questa frangia del femminismo[3], che invero poco ha a che vedere col femminismo lesbico, se non per le discutibili prese di posizione di ArciLesbica. Peraltro, diversamente da quanto sostenuto dall’autrice, le posizioni politiche di questo femminismo tutto sono meno che minoritarie, dato che trovano tendenzialmente il pieno consenso del mondo cattolico e delle destre tanto liberali che estreme[4].
In realtà rispetto al mio piano del discorso la replica della Rossi è priva di contenuti: cosa pensa lei del ddl Zan? Come crede che le argomentazioni di Terragni e gli “errori di comunicazioni” di ArciLesbica rispetto ai fatti di Caivano possano contribuire al (o influenzare il) dibattito politico sulla legge? Anche al di là della legge, questi discorsi secondo lei attribuiscono dignità alla minoranza trans? La mia tesi è che il discorso del femminismo F.A.R.T., e non del femminismo lesbico come sostiene l’autrice ossessionata dalle categorie pornografiche ma a digiuno di quelle basilari, tende a negare la dignità delle persone trans, prestando il fianco a discorsi transfobici. Cosa è la transfobia (o anche l’omofobia, o la bifobia, o la lesbofobia) non già in generale ma rispetto al ddl Zan? Qui è vero che ho dato per scontato un passaggio: per chi conosce il disegno di legge è chiaro che “l’omolesbobitransfobia” non è quanto riferisce Terragni o Rossi (spero almeno non sia giurista!), che interpretano queste fobie come potenziale limiti alla libertà di espressione[5]. Il ddl Zan non limita nessuna libertà d’espressione. La ratio del ddl Zan non è introdurre un nuovo reato, bensì è quella di estendere le protezioni già oggi previste dalla legge Mancino del 1993 per gli atti di odio fondati su motivi razziali, etnici o religiosi ai reati motivati dall’odio verso l’altro/a in ragione del sesso, dell’orientamento sessuale, del genere e dell’identità di genere. Il caso di Caivano mostra – secondo me – la necessità di questa legge, a cui si deve aggiungere un buon lavoro culturale per promuovere concretamente la tutela delle differenze e della pari dignità sociale. Perché politicamente ritengo appropriato, e giuridicamente ritengo giusto, stigmatizzare egualmente reati compiuti per motivi d’odio contro persone di colore (vedi il caso di Willy) e reati compiuti per motivi di odio verso persone appartenenti alle comunità LGBTIAQ+.
A mio parere – che mi sento libero di esprimere, nonostante la stizza dell’autrice, pur non essendo nessuno, anzi essendo un qualsiasi cittadino maschio e cisgender – la storia di Ciro e Maria Paola mostra bene come questi discorsi d’odio possano prendere forma più o meno consapevolmente anche all’interno di contesti che dovrebbero essere inclusivi. Anche all’interno della sinistra. Anche all’interno del femminismo. Anche all’interno delle minoranze. E prendono forma proprio nella violenza delle interpretazioni che mirano a spostare il focus di un accadimento dalla gravità di una violenza inferta verso Maria Paola e Ciro all’identità sessuale di quest’ultimo.
A mio parere gli esiti a cui portano le argomentazioni del femminismo alla Terragni rispetto al dibattito sul ddl Zan contribuiscono a rafforzare gerarchie sociali (di stampo patriarcale nella misura in cui creano o rafforzano rapporti di forza fra persone) non conformi al principio di eguaglianza sostanziale, a scapito in questo specifico caso delle persone trans.
Qui in ballo, lo chiarisco rispetto a quanto già detto nel mio articolo precedente preso di mira, non vi sono in astratto i diritti civili delle minoranze (trans, lesbiche, omosessuali…) bensì il rispetto della dignità che si deve a tutt* e a ciascun*, in un sistema giuridico che, come il nostro, pone al centro la persona e la pari dignità sociale. Qui non parliamo di libertà ma di solidarietà!
Qui non stiamo disquisendo di autodeterminazione delle persone trans, ma di tutela della persona umana da atti d’odio che sfociano in violenza agita contro le minoranze, maggiormente vulnerabili[6].
La mia intenzione non era certo fare mansplaining, per quanto ormai l’etichetta di bullo mi costringe a ciò. D’altra parte mi conforta che, dal punto di vista teorico, a prendere le distanze da questo femminismo (transfobico, nell’attuale dibattito internazionale – a cui peraltro la stessa Terragni si aggancia spesso – e non certo per mia definizione) è stata la stessa Judith Butler, filosofa, donna e lesbica[7]. Per questo, almeno agli occhi dell’autrice de “In difesa di Arcilesbica”, più degna del sottoscritto di esprimere un’opinione a tutela di una minoranza, quella delle persone trans, cui non appartengo.
Ma la cui dignità e la cui vita mi ostino a tutelare a priori, anche con fervore. Mettendoci la faccia. Io.
[1] Peraltro condivido quanto affermato dal collettivo QueerRiot, secondo cui non andrebbe utilizzato più l’acronimo terf, ma più corretta è la sigla F.A.R.T. (Transfobiche Reazionarie che si Appropriano del Femminismo) “che è particolarmente appropriato per definire il lavoro ingannevole di sabotaggio e discriminazione che queste persone portano avanti come lotta politica”.
[2] Cosa che ora faccio per farci, davvero, due risate. Qui l’argomento della Rossi è a dir poco grottesco, contraddittorio e non provante: l’associazione non sarebbe transfobica perché da statuto è inclusiva, è aperta alle persone trans, salvo però ammettere che ArciLesbica pretende di imporre quando una persona trans debba considerarsi donna…Perdindirindina, al contrario di quanto intende l’autrice, tale argomento prova dunque che questi “errori di comunicazione” di ArciLesbica solo lesivi del loro stesso statuto!!! Eh già, tanto lesivi che infine si è arrivate ad una scissione interna e si è creata l’associazione lesbica ALFI, che sulla questione di Caivano e le donne trans ha le idee chiare, essendo autenticamente inclusiva e non già solo da statuto: https://www.associazionelesbica.it/comunicati-stampa/tutte-le-identita-contano/! Quando si dice che oltre la forma conta pure la sostanza!
[3] Vedi M. Terragni, Perché la legge sull’omotransobia è una faccenda che riguarda noi donne tutte, al link http://marinaterragni.it/perche-la-legge-lomotransfobia-faccenda-riguarda-donne-tutte/.
[4] Per la posizione della CEI vedi https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/omofobia-non-serve-una-nuova-legge e il sito di ProVitaeFamiglia al link https://www.provitaefamiglia.it/blog/vietato-criticare-il-ddl-zan-femministe-e-lesbiche-censurate. Sulla posizione delle destre si veda S. Alliva, I folli emendamenti della destra alla legge contro l’omofobia, al link https://espresso.repubblica.it/attualita/2020/07/17/news/folli-emendementi-della-destra-alla-legge-zan-1.351169.
[5] Cosa che, per inciso, anche fosse, come ogni libertà ben potrebbe essere limitata per ragioni di solidarietà e di pari dignità. Cfr. al riguardo l’approfondita analisi di G. M. Locati e F. R. Guarnieri, Discriminazione, orientamento sessuale e identità di genere: riflessioni a margine della proposta di legge Zan, in Questione Giustizia, al link https://www.questionegiustizia.it/articolo/discriminazione-orientamento-sessuale-e-identita-di-genere-riflessioni-a-margine-della-proposta-di-legge-zan. Dall’analisi delle due giuriste la Rossi ha da imparare molto, se non altro su come il diritto funziona.
[6] Il Ddl Zan modifica l’art. 90 quater del codice di procedura penale, riconoscendo le persone LGBTIAQ+ come vittime vulnerabili.
[7] Vedi l’intervista al link https://www.newstatesman.com/international/2020/09/judith-butler-culture-wars-jk-rowling-and-living-anti-intellectual-times.
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