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La narrazione distopica della propaganda trumpiana


16 Ott , 2020|
| Visioni

I partiti e le correnti politiche hanno sempre creato narrazioni di comodo per risaltare le proprie capacità e sminuire quelle dell’avversario. Donald Trump e buona parte della destra mondiale sembrano aver oltrepassato le soglie del normale scontro. Le nuove narrazioni additano i leader di centrosinistra non sono solo come antiliberali, ma anche come soffocatori di libertà, guerrafondai asserviti a multinazionali senza scrupoli e alle lobby gay, finanche pedofili. Di conseguenza, i militanti sono apostrofati come libtard, equivalente anglofono dei nostri pidioti, talmente stupidi da non comprendere la pericolosità dei loro rappresentanti.

Se la narrazione massimalista è cavalcata da gruppuscoli cospirazionisti, il mainstream inizia ad avallarla parzialmente, tessendo le lodi del mondo plasmato dall’inquilino della Casa Bianca. Commentatori autorevoli affermano di vivere in un mondo più pacifico e soggetto a una sana crescita economica bloccata solo dalla pandemia. Si ignorano i reali cambiamenti sociali e si rifiuta di analizzare il dramma del progressismo mondiale, dipinto solo come un manipolo di idealisti anti-patriottici. Al contrario, la sinistra liberal è colpevole di non aver compreso l’entità della catastrofe causata dai governi precedenti.

Leader come Barack Obama e il nostro Pier Luigi Bersani ritenevano che fosse possibile riaggiustare lo sviluppo capitalistico inficiato dalle decisioni scellerate di una destra guerrafondaia e selvaggiamente neoliberista. Si sono entusiasmati nel tentativo di affermare la bontà del sistema capitalistico, il quale doveva essere solo aggiustato nelle storture più macroscopiche. I progressisti non si sono accorti che il sistema capitalista necessitava di una riforma complessiva e di un ripensamento globale, non certo di piccoli interventi effettuati alleandosi con le forze centriste. La situazione si è rivelata talmente compromessa che neanche un risultato importante come la riforma sanitaria Obamacare ha rinsaldato la connessione sentimentale con la popolazione.

La narrazione trumpiana che glorifica l’operato del presidente rende impossibile una critica seria all’operato del centrosinistra. Si crea un cortocircuito con la realtà per cui gli errori dei governi progressisti sono insiti nella loro indole scellerata e non il risultato di politiche precise. Ad esempio, possiamo osservare come la destra abbia plasmato la storia della politica estera mediorientale. Barack Obama, ormai dipinto come un guerrafondaio amico dei terroristi e destabilizzatore del Medio Oriente, vinse un contestato premio Nobel sulla fiducia. Nel discorso tenuto al Cairo a giugno 2009, il presidente democratico prospettava un nuovo inizio nelle relazioni tra occidente e un mondo arabo lacerato dalle guerre di George W. Bush. Auspicava inoltre una spinta dal basso capace di democratizzare la regione.

La primavera araba del 2011, malgrado le sue complesse concause, avrebbe potuto dare un seguito a quelle parole. La Casa Bianca ha messo da parte i vecchi alleati, come il presidente egiziano Hosni Mubarak, per cogliere l’occasione di aprire una stagione democratica nei paesi arabi dialogando con la società civile. Il processo avrebbe dovuto essere accompagnato dall’equilibrio di potenza, per cui gli stati avrebbero dovuto imparare a rispettarsi e temersi a vicenda. Contemporaneamente, gli Stati Uniti avrebbero abbandonato gradualmente l’area per sfidare la Cina. 

La strategia ha dato esiti disastrosi perché non è stata accettata né da parte dello stato profondo statunitense né dagli alleati mediorientali storici, in testa Israele e Arabia Saudita. Contemporaneamente, Francia e Regno Unito hanno colto l’occasione di sbarazzarsi di Mu’ammar Gheddafi. Infine, quando si è palesato che la democrazia araba aveva il volto dei Fratelli Musulmani, il processo di transizione ha subìto un processo di delegittimazione. Un movimento non certo filo occidentale ma estremamente complesso e ben radicato nella società è stato rappresentato come un covo di terroristi. La Fratellanza Musulmana si è trovata a governare l’Egitto senza esperienza e divisa tra le sue mille sfaccettature. Il governo è collassato sotto i sospetti, le illazioni e i colpi degli oppositori. 

Diverso è il caso siriano, in cui gli alleati hanno chiesto continuamente agli Stati Uniti di intervenire per eliminare lo scomodo Bashar al-Assad. Obama si è mostrato recalcitrante, ha posto linee rosse che si è rimangiato, ha instaurato un tira e molla che ha innescato quel vuoto di potere da cui è nata l’ISIS. La nascita dell’ISIS ha rappresentato l’apice del fallimento della politica estera del progressismo, che si è rivelato incapace di controllare i propri alleati e troppo indeciso nel gestire i rapporti di potere e le contraddizioni interne. 

Da quel fallimento è nato l’accordo sul nucleare iraniano, fiore all’occhiello di quella stessa diplomazia. Un vecchio nemico, non più interessato a scontrarsi con l’occidente, è stato riportato nella scena internazionale e trattato con rispetto. Punta di diamante del tentativo di garantire la pace tramite l’equilibrio di potenza. Si gettavano le basi per plasmare un Medio Oriente in cui i maggiori paesi avrebbero avuto l’opportunità di convivere grazie a una competizione ad armi pari.

L’accordo iraniano avrebbe rappresentato una svolta storica se non fosse stato stralciato dal presidente successivo. Donald Trump ha interpretato la pacificazione del Medio Oriente come un’area soggiogata alla volontà degli Stati Uniti per mezzo dei suoi alleati più stretti. Una Pax Americana in cui il lavoro sporco è lasciato ai feudatari che hanno carta bianca per risolvere dei problemi legati al terrorismo vero o presunto. Il processo di costituzione di uno stato palestinese è rimandato a data da destinarsi, l’Iran è tornato a essere additato come uno stato canaglia, si vocifera di inserire la Fratellanza Musulmana nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Pur non basandosi su alcuna prova concreta, il gioco di Trump sembra funzionare. Il Medio Oriente appare più pacifico a occhi plasmati dall’islamofobia. I pochi che criticano legittimamente le scelte politiche del governo israeliano, come Jeremy Corbyn, sono tacciati di antisemitismo. Una narrazione funzionale a placare le paure dell’occidente sembra aver preso sopravvento sulla realtà. Quest’estate, gli Stati Uniti si sono avvicinati alla chiusura del cerchio grazie al mutuo riconoscimento tra Emirati Arabi Uniti (insieme al Bahrain) e Israele. 

Tali paesi non sono mai stati in guerra tra loro ed erano già alleati di fatto, ma ciò non ha impedito alla stampa di salutare l’accordo con sperticate lodi. La pace di Trump è un deserto ideale che ribolle, almeno fino al prossimo caos, che inizierà quando i soggiogati di oggi si troveranno in una situazione disperata. Ad aggiungere benzina sul fuoco intervengono i processi diplomatici che non hanno niente a che vedere con il Medio Oriente. Ad esempio, Kosovo e Serbia hanno firmato un primo accordo di pace, di cui un corollario imposto da Washington li impegna a trasferire l’ambasciata in terra israeliana da Tel Aviv a Gerusalemme. 

La politica estera è lampante per noi che viviamo oltre i confini dell’impero, ma la narrazione interna apparire ancora più inquietante. Il COVID-19 e le manifestazioni di Black lives matter hanno esasperato gli animi, tanto che gran parte della destra americana crede di combattere una battaglia campale per salvare la civiltà occidentale dalla sinistra liberal. 

In questo caso, si astrae un problema reale per trarne conseguenze apocalittiche. Il liberismo selvaggio non ha solo contribuito a scardinare valori tradizionali non più attuali, come il patriarcato, ma è andato oltre. Il nuovo sistema di valori ha plasmato un individualismo assoluto in cui dovremmo provare piacere solo a consumare i prodotti che vogliamo, che siano merci o informazioni. Malgrado le numerose sacche di resistenza, si accumula disagio in fasce di popolazione che si sentono sempre più sole e abbandonate da uno stato che comprime il welfare.

La destra conservatrice utilizza tale disagio per descrivere la famiglia tradizionale con toni salvifici, unico motore adatto a ritrovare il senso di comunità perduto. La Bibbia diventa lo strumento per proteggere la civiltà occidentale dalle aggressioni di una società multiculturale, dove le donne sono libere, mentre gli omosessuali, i transgender e tutte le altre minoranze hanno voce nel dibattito pubblico. Il Partito Democratico, incarnazione politica di questo assalto, deve essere combattuto brandendo la croce.

Questo parrebbe essere il punto di vista di alcuni membri dell’amministrazione Trump, come il segretario di Stato Mike Pompeo. Se si scende verso la base, troviamo fenomeni ancora più inquietanti, come Qanon, descritto come una meta-teoria del complotto che ingloba tutte le altre ed esalta le mosse del presidente. Donald Trump, da commander in-chief, starebbe infatti preparando la “tempesta”, operazione in cui saranno arrestati i vertici del Partito Democratico e alcuni altri personaggi famosi come Tom Hanks.

Difatti, Biden, Obama e Clinton sarebbero dei pedofili dediti al traffico di bambini e altre nefandezze. Sempre più persone credono a tali stupidaggini prive di qualsiasi prova. La destra sembra aver compreso l’importanza di questa teoria e ha iniziato a coccolarla. Trump ha prima definito i seguaci di Qanon come dei patrioti. Poi ha ritwittato un video in cui si insinuava che l’avversario Joe Biden mostrasse segni di pedofilia. In realtà, il candidato democratico tranquillizzava una donna sposata con un bacetto sui capelli.

Alcuni siti di destra non cospirazionisti sembrano aver compreso l’importanza del fenomeno e fomentano l’allarme pedofilia. Si fa credere che i fenomeni relativi a quel crimine terribile siano molto più ampi di quanto riportato dalla realtà. La forza di questo allarmismo ingiustificato è testimoniata dalla polemica che ha investito Netflix quando ha rilasciato il film Cuties. Il film, benvoluto dalla critica, mostra la problematica vita in una banlieu parigina, ma è stato tacciato di pedofilia perché nel trailer si vedono delle ragazzine ballare succinte. Una petizione firmata da più di 600.000 persone ha chiesto il ritiro di un’opera che vuole indagare la realtà.

Questo allarmismo è estremamente pericoloso perché, insieme all’ideologia apocalittica e al cospirazionismo, potrebbe generare una narrazione distopica. Si fa strada un futuro in cui ogni gesto potrebbe essere sospettato di pedofilia, mezzo perfetto per screditare gli avversari. Al momento, la narrazione trumpiana indigna chi non approva un mondo dogmatico dove esistono privilegiati (in genere ricchi, etero, bianchi e cristiani) e soggiogati (in genere poveri, omosessuali, neri e islamici). Potrebbe però presto diventare un metodo per eliminare gli avversari politici. Chi potrebbe davvero condurre una campagna elettorale se milioni di tweet lo accusano di un crimine come la pedofilia? 

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