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Carlo Acutis: come si costruisce un santo al tempo dei media sociali
Dopo aver guardato sui nostri display gli sculettamenti di Gianluca Vacchi, gli scherzi scemi di Frank Matano, i video demenziali di Luis Sal, le videovendite di Elisa Maino e finanche la tragedia dei brufoli di Giulia De Lellis, finisce per essere una blanda penitenza l’attuale profluvio di video evocativi, interviste adoranti al prozio o all’amichetta delle elementari, i collegamenti in ginocchio con la volitiva mamma, gli approfondimenti di giornalismo misticheggiante in gloria di Carlo Acutis, lo sfortunato adolescente, oggi beato e prossimo santo, proposto dalla Chiesa cattolica come “influencer di Dio”.
Con un po’ di evangelica pazienza, supereremo anche questa campagna di comunicazione.
Semmai, essa è una buona occasione per chiedersi quali obiettivi si pone e se funziona la strategia di presenza sui media sociali della chiesa cattolica negli anni di Bergoglio.
Perché Carlo Acutis?
La biografia di Carlo Acutis è di per sé alquanto banale: bambino intelligente, sensibile e con le possibilità di avere un’eccellente istruzione, da adolescente stava dimostrando le sue doti quando una leucemia fulminante lo uccide nel 2006. La trasformazione agiografica risulta, sempre, molto più affascinante. Il giovane appassionato di informatica diventa così un genio precoce, da entusiasta credente diventa un esempio di fede miracolosa, l’adolescente chiassoso viene raccontato quasi come un giovane profeta circondato dai suoi seguaci, o followers.
Questo meccanismo di trasfigurazione è alquanto comune post mortem, anche fuori dalla religione. Ma ancora più interessante è che l’agiografia di Carlo Acutis rispecchi in maniera non casuale alcuni aspetti essenziali del papato di Bergoglio: innanzitutto, il culto di Carlo Acutis nasce dalla convergenza (che in termini secolari diremmo alleanza) tra gesuiti e francescani. Acutis, già allievo a Milano dell’Istituto parificato “Leone XIII” gestito dai gesuiti, frequentava Assisi dove la famiglia possiede una villa. Proveniente da una famiglia ricchissima (come San Francesco) e laica (proprio nel senso cui allude l’aggettivo in certi ambienti), il ragazzo volge la sua attenzione ai poveri e nel racconto agiografico converte alla fede con il suo esempio genitori, parenti e domestici.
Una figura vittima di una morte tragica e talmente precoce da non poter avere una biografia divisiva, in cui confluiscono il riguardo per l’elevata estrazione sociale e l’attenzione agli umili, il dialogo tra laici e cattolici, spiritualità e internet, ordinarietà ed eccezionalità, maturità di fede e superstizione. Su questo ultimo punto in molti articoli si lascia filtrare la presunta incorruzione del corpo del novello beato. Sono questi tutti elementi riscontrabili nella teologia del popolo cui tanto deve Papa Bergoglio.
Ma la vera sfida di questo progetto di comunicazione e di pastorale giovanile è riuscire a creare un santino per i media sociali, un riferimento di vita per adolescenti e soprattutto preadolescenti, considerati (a ragione) facile preda dell’ideologia dei media sociali.
La sfida di una chiesa onlife
Mentre le canonizzazioni dei religiosi sono spesso intelligibili solo alla luce degli equilibri di potere tra le varie congregazioni religiose, le canonizzazioni dei laici rappresentano piattaforme programmatiche che definiscono la posizione della Chiesa cattolica verso il potere politico e rispetto alle trasformazioni della società. Insomma, Carlo Acutis è un santo programmatico, un indirizzo sociale, un punto fermo su come la Chiesa cattolica vuole proporsi nella dimensione onlife. Proprio per questo vale la pena confrontare questo percorso con altre esperienze del Novecento. Tratteggiamo allora tre esempi di canonizzazione di persone comuni.
Il caso più celebre resta quello di Maria Goretti, la contadina delle campagne di Latina la quale, appena dodicenne, nel 1902 fu stuprata e uccisa da un altro contadino di poco più grande. Lo storico Giordano Bruno Guerri trasse dalla vicenda il celebre libro “Povera santa, povero assassino” in cui analizzò la costruzione della biografia della bambina vergine e santa, funzionale prima al riavvicinamento tra Chiesa e regime fascista dopo i Patti Lateranensi del 1929, poi, nel dopoguerra, alla campagna di moralizzazione avviata da Papa Pio XII anche come freno alle prime avvisaglie di libertà femminili.
Altri due esempi novecenteschi di santità laica sono indice di specifichi indirizzi di politica pastorale.
La canonizzazione nel 1964, proprio nel corso del Concilio Vaticano II, del paggio di corte Charles Lwanga e dei suoi ventuno compagni, i quali nel 1886 avevano rifiutato di prestarsi ai desideri omosessuali di un re ugandese, esplicitava due linee chiare: l’apertura verso il continente africano e la conferma del magistero in tema di inclinazioni sessuali.
Nel 2004 Giovanni Paolo II ha trovato nella vicenda di Gianna Beretta Molla, morta di tumore pur di non abortire, un esempio emblematico della sua idea di famiglia: rifiuto intransingente dell’aborto anche ai fini terapeutici, donna come moglie sollecita, madre prolifica e casalinga inappuntabile.
La novità novecentesca della santità cattolica proposta come qualcosa di ordinario trova però una nuova sfida nel web, perché si non tratta di un mero media su quale adattare i messaggi, ma di un ambiente sociale e cognitivo che cambia anche in profondità anche la percezione di sè delle persone.
La strategia di comunicazione
Per quanto venga presentato come “influencer di Dio”, Carlo Acutis non può esserlo, per il banale motivo che non può esserlo chi non produce contenuti in quanto, purtroppo, defunto. Certo, Youtube è stato, non per caso, invaso di video che propongono il nuovo beato, diffusi spesso da alcuni canali legati alla fede più popolare come Maria Vision o Medjugorje tutti i giorni, oltre che dagli account istituzionali come TV2000, della diocesi e frati minori di Assisi, di Chiesa di Milano e gli altri “stakeholders” dell’operazione.
Ma si tratta di filmati che devono fare i conti con la inevitabile scarsità di materiale, problema che la famiglia ha affrontato investendo addirittura su dei cartoni animati sulla vita di Carlo. Rimane la onnipresente madre a fare da testimonial, ma finendo poi per ripetere il solito canovaccio e i soliti slogan in ogni intervista o intervento.
Ecco perché, programmaticamente, è stata coinvolta finanche una laicissima firma del Corriere della Sera come Stefano Lorenzetto per proclamare Carlo Acutis “un santo per il web”, ricordando che lo stesso Papa Francesco ha citato il giovane per dire che “questi meccanismi della comunicazione, della pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati”, ma lui ha saputo uscirne “per comunicare valori e bellezza”. Dunque il web, i social media, la immediatezza del digitale dimentica di altre dimensioni come sfide del progetto di canonizzazione Acutis, e, al contempo, i media tradizionali e anche una certa religiosità tradizionalista. Perciò nella stessa intervista, Lorenzetto deve riportare la fola del corpo incorrotto di Acutis (smentita dalla stessa diocesi di Assisi) e citare vari esempi di trasformazione di ostie in muscolo cardiaco, di gruppo sanguigno AB, per la precisione. Riemerge costantemente la contraddizione di questa campagna di comunicazione: il web, un modello di religiosità capace di interfacciarsi con le dinamiche, anche mentali, dell’oggi, e il costante rimando a una devozione popolare, tridentina del culto.
Alla fine, nonostante gli sforzi di chi segue la comunicazione del progetto di rendere attuale, contemporanea, viva, la figura di Carlo Acutis, essa finisce inevitabilmente per rimanere una formula ideale, esemplare, di ispirazione per giovani già vicini alla fede cattolica, ma incapace di attrarre un numero sostanziale di nuovi “followers”. Oggi non basta presentare degli esempi cui i cattolici possono ispirarsi, la sfida pastorale (che Bergoglio ha bene in testa quando gigioneggia alzando i pollici e indossando i cappellini da baseball con orrore dei tradizionalisti) è riguadagnare spazio sui media sociali e tra i giovani sostanzialmente indifferenti.
Quello che tuttavia sfugge del tutto all’approccio cattolico ai fenomeni web (e che quindi comporta una significativa irrilevanza fuori dagli stessi circuiti di comunicazione cattolica) è che gli influencer hanno successo non sulla base della loro eccezionalità, ma al contrario grazie alla loro ordinarietà, se non mediocrità, consentendo così ai loro fan di poter aspirare di diventare come loro.
E per quasi duemila anni, fino al Vaticano II, la santità cattolica è stata invece qualcosa di eccezionale, eroico, inattingibile, frutto di virtù uniche e fuori dal comune. E infatti Carlo Acutis viene presentato come un ragazzino eccezionalmente precoce, genio del computer, regista originale in erba, ideatore (e organizzatore) di mostre dal successo globale.
Ma i Millennials e la Z Generation rifuggono dagli esempi inarrivabili. La generazione degli under 20 sta costantemente abbassando le sue ambizioni per poter sopravvivere a condizioni di vita che si prospettano peggiori di quelle dei loro genitori. Questa generazione non cerca degli eroi o dei miti, e men che meno dei santi, ma solo persone simili a loro che possano rassicurarli che l’inconsistenza e la fragilità delle loro esistenze possano essere redente da un algoritmo che li sollevi alla celebrità. Gli influencer più celebri non sono inarrivabili, ma sono oggetto di identificazione proprio per la loro mediocrità.
Ecco come un’operazione di comunicazione come quella costruita attorno alla parabola di Carlo Acutis rileva tutti i suoi limiti rispetto alle esigenze dei giovanissimi e soprattutto in rapporto alla ideologia dei media sociali, che sono emozionali e non riflessivi, mediocrizzanti e non eroicizzanti, epidermici e non profondi, materialistici e non spirituali.
Si tratta di una sfida pastorale che alcune diocesi storicamente più avvertite stanno comunque affrontando. Il caso di maggior successo è quello di don Alberto Ravagliani, il quale fa catechesi copiando in tutto e per tutto lo stile dei video di Marco Montemagno. La Chiesa di Milano è da decenni molto avanti nel confronto con i mondi ad essa lontani (Carlo Maria Martini istituì la cattedra dei non credenti nel 1987) e, pur non avendo trovato ancora uno stile proprio e originale, dimostra che ha iniziato a studiare i casi di successo sui social.
Il web è uno spazio dove la chiesa si sente se non perdente, di certo sulla difensiva. In quanto potere istituito, la chiesa ha saputo gestire o indirizzare molto bene i media di massa a logica broadcast, uno a molti, ma non riesce a prendere le misure con la reticolarità di un modello che fa emergere facilmente in modalità virale pensieri e tendenze non istituzionali, specialmente sette new age e proposte sincretiche che tanto allarmano i cattolici.
Carlo Acutis sarà dunque un santo programmatico, ovvero un punto di riferimento della strategia di presenza e rilevanza sui media sociali che la chiesa cattolica sta ancora elaborando. Si tratta di un work in progress dai risultati contraddittori che sicuramente registrerà correzioni e aggiornamenti fino alla canonizzazione definitiva. E si tratta di una sfida che non riguarda solo i cattolici ma tutte le organizzazioni che hanno un portato identitario forte e stratificato e sono chiamate ad elaborare ed affermare il loro essere onlife.
Spesso un santo ci dice più cose sulle sfide di un dato momento storico di quanto potremmo credere.
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