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Due isole


10 Nov , 2020|
| Visioni

Ovvero come la Storia si ripete, ma sempre in forme diverse.

Ellis Island ieri e Lampedusa oggi.

Sembra impossibile trovare elementi in comune tra l’emigrazione italiana nelle Americhe e quella dei giovani sub-sahariani in Europa, eppure i punti di contatto e di somiglianza sono spaventosamente numerosi. A partire dal luogo di approdo – un’isola appunto – la bella Lampedusa dei giorni nostri ed Ellis Island, la minuscola isola artificiale accanto alla Statua della libertà, porta di New York e degli stati uniti.

A partire dal 1892 si calcola che per Ellis Island siano transitati diversi milioni di persone e oggi vi sorge uno splendido museo dell’immigrazione; inoltre esiste un database consultabile online che raccoglie 65 milioni di nominativi di individui passati per la piccola isola del fiume Hudson[1]. Difficile che un italiano consulti il database senza vedersi apparire una lista di uomini e donne con il proprio cognome; è possibile anche risalire alla regione di residenza così da riuscire a distinguere i probabili parenti dalle omonimie.

A cavallo tra ‘800 e ‘900 un intero popolo – da tutta Italia e per ragioni diverse – era approdato dall’altra parte dell’Atlantico. Un popolo con alle spalle una storia complicatissima, millenaria, fatta di contaminazioni, conflitti e riconciliazioni. Un popolo contadino, lavoratore, timorato di Dio ma anche permeato dall’anarchismo e dall’ansia di rivoluzione già all’indomani di quel 1861 che lo rese formalmente un popolo unito. Sono note le vicende di questo popolo in America e la grande influenza che ha avuto nel contribuire a forgiare l’identità di New York city e degli americani toutcourt: Filippo Mazzei tra i padri della dichiarazione d’indipendenza, il sindaco di New York Rudolph Giuliani, la speaker della camera dei deputati Nancy Pelosi, in ambito artistico possiamo ricordare Rudy Valentino, Robert De Niro, Don De Lillo, Frank Sinatra, Frank Zappa, Madonna, Lady Gaga etc… Inutile il tentativo di redigere una lista esaustiva di coloro che hanno influito in ambito politico, artistico e culturale negli USA, non basterebbe un libro.

Altri nomi sono invece tristemente noti perché legati alla cronaca nera come la barbara uccisione dei due anarchici innocenti Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti condannati alla sedia elettrica nel 1927. Altri ancora, invece, sono legati a uno dei prodotti tipici italiani esportati negli U.S.A., non si tratta della mitica pizza, ma di Cosa nostra – “our thing” – termine attribuito a Charles “Lucky” Luciano.

La mafia, una dura piaga che anche la Nigeria purtroppo esporta, una temibile organizzazione ultra gerarchica che in Italia ha il proprio quartier generale a Castel Volturno e la cui genesi, all’interno delle università nigeriane, è avvincente quanto terribile. È di questi giorni la notizia di un’operazione condotta dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Torino e Bologna che ha portato all’arresto di 69 persone appartenenti all’organizzazione Vikings, una delle tante differenti “confraternite”. Ormai è crescente l’interesse della stampa, dei ricercatori e degli autori nei confronti di questo preoccupante fenomeno.

Eppure la Nigeria è un laboratorio a cielo aperto, fucina di innovazione e sviluppo in ambito artistico-musicale, cinematografico, culturale e letterario. L’industria del cinema nigeriano sta scalando le classifiche grazie a “Nollywood” sua principale azienda, gli avvincenti libri della scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie stanno spopolando anche tra i giovani, la cultura italiana ed europea gode della forte influenza musicale dei giovani artisti nigeriani – ormai oltre l’afrobeat e l’afropop – approdata a stili nuovi ed eclettici.

Come nel caso dei giovani nigeriani nel mondo, è bene ricordare che la meta degli emigranti italiani non erano, e non sono, unicamente gli U.S.A.; molte mete di emigrazione italiana sono paesi europei come il Belgio (si rammenti la triste vicenda della miniera di Marcinelle) e delle Americhe con in testa l’Argentina e il Brasile. A oggi la comunità di italiani all’estero più numerosa del mondo resta quella argentina dove si contano 869.000 italiani registrati all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero)[2]. L’influsso dell’Italia in Argentina è così forte che ha investito persino la lingua, il dialetto di Buenos Aires si chiama “lunfardo” appunto da “lombardo” (spesso è la lingua del Tango) o il “cocoliche” un linguaggio ibrido italo-spagnolo.

Secondo il rapporto 2020 della Fondazione Migrantes sugli italiani all’esterno, i principali paesi di approdo in ordine decrescente sono l’Argentina, la Germania, la Svizzera e il Brasile[3].

Se si prendono in considerazione i continenti – e non le nazioni – emerge invece un altro quadro e cioè che l’emigrazione italiana si concentra principalmente, anche a oggi, all’interno del continente europeo proprio come accade per gli emigranti dei paesi africani i quali, per la stragrande maggioranza, si spostano all’interno del continente stesso cercando un miglioramento della proprie condizioni di vita con il minimo sforzo e spostamento per molteplici ragioni: l’onere economico del viaggio, la somiglianza delle lingue veicolari o dei dialetti nei paesi limitrofi, la speranza di poter fare rientro nella propria terra di origine, la volontà di restare vicino ai parenti etc…)[4].

Fa ancora discutere la famosa “relazione dell’ispettorato per l’immigrazione del Congresso americano, dell’ottobre 1912” sugli italiani, per intendersi quella sugli “italiani piccoli puzzolenti e ladri”.

Sebbene tuttora non sia certa la veridicità del documento, è purtroppo una certezza il trattamento che veniva riservato agli italiani come testimoniato dalle numerose opere letterarie e autobiografiche di cui disponiamo[5].

La storia, insomma, si ripete, il razzismo sembra vecchio quanto l’uomo eppure è ancora un virus per il quale gli esseri umani non hanno sviluppato anticorpi.

Solo nell’anno 1907 a Ellis Island arrivarono 1 milione di persone, ben diverso – e decisamente più contenuto – è stato il ‘boom’ di Lampedusa del 2011 con 51.753 persone, in quest’ultimo caso si deve considerare il ruolo che ha giocato la variabile “mass media” e la particolare risonanza dovuta ai canali di informazione che – si ricordi il 2014 – praticamente ogni giorno mandavano in onda immagini di sbarchi; forse in malafede o, più auspicabilmente, non capendo le conseguenze di tali scelte ‘editoriali’ che da lì a poco si sarebbero tradotte in uno scontato risultato politico[6].

Che la storia sia “Magistra vitae” è vero fino a un certo punto, come ci ricorda spesso Liliana Segre, poiché, se così fosse, alcuni episodi – perlomeno i momenti più bei dei crimini e gli abomini umani –  non si ripeterebbero. Eppure ciò avviene come sapeva bene Giambattista Vico, il filosofo napoletano che parlava di “corsi e ricorsi storici”. Certo, la storia viene tirata per la giacchetta, se ne fa a volte un utilizzo strumentale, esistono pericolosi revisionismi ed è dunque un tema anche quello di ‘come venga insegnata’ ma il punto è un altro; è più profondo. Sì dirà allora che la Storia insegna ma non abbastanza perché alcuni momenti bui non si ripetano e “l’eterno ritorno” dei momenti oscuri della Storia non è un “eterno ritorno dell’identico” con buona pace di Nietzsche, ma il ritorno del male – o del bene – sotto diverse forme, sotto ‘mentite spoglie’ le quali rappresentano la legittimazione stessa di un tale ritorno.

Nessuno si immagina che il fascismo o il nazismo possano restaurarsi identici a come erano, attraverso gli stessi passaggi, mettendo in atto le medesime azioni o dinamiche ed è proprio questa l’insidia. L’identico non è un’insidia, il simile – “l’identico mutato” – è il vero pericolo.

La stessa idea di “fine della storia” – il fortunato quanto erroneo annuncio di Hegel – è stata più volte riproposta sino ai giorni nostri quando nel 1989 Francis Fukuyama pensò che dovesse essere davvero terminata la Storia con la fine dei due blocchi contrapposti del mondo e la caduta dell’URSS.

Eppure, la Storia elegante, incurante, sempre cangiante e superba prosegue la sua marcia.


[1] https://heritage.statueofliberty.org/

[2] Migrantes. https://www.migrantes.it/wp-content/uploads/sites/50/2020/10/RIM-2020_allegatistatistici.pdf

[3] Ivi.

[4] Per i dati e le ragioni dell’immigrazione intra-continentale degli africani si veda ISPI https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/le-migrazioni-intra-africane-unintroduzione-23497

[5] Tra gli altri Some Aspects of Italian Immigration to the United States, di Antonio Stella (1924), https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=273933.

[6] Sul picco di Lampedusa nel 2011 si veda Libero Dolce in https://ifg.uniurb.it/il-paradosso-lampedusa-isola-simbolo-della-grande-migrazione/

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