La Fionda è anche su Telegram.
Clicca qui per entrare e rimanere aggiornato.
Sono 3 etti di scudetto, che faccio… lascio?
Come quando vai dal salumiere e l’uomo dall’affettatrice roteante ti fa pagare molto più prosciutto di quanto hai chiesto e tu ti chiedi se l’attesa della fila è valsa la candela e quel “cha faccio… lascio?” ti entra nel cervello e ti passano 5 persone davanti; come quando da adolescente ti piace una che prende l’autobus e li perdi tutti apposta fino a quando lei arriva alla fermata e tu, genialmente, accenni pure una corsetta finale per far vedere che sei appena casualmente arrivato; come quando controlli i messaggi whatsapp dalla tendina del cellulare per leggere senza far vedere che hai letto; come quando sei un osservatore europeo realmente di sinistra delle elezioni americane, stai in attesa che l’uomo dal parrucchino e dai muri facili perda perché così deve essere, poi perde, fai il pugnetto, guardi chi ha vinto e togli il pugnetto.
Questi quattro esempi di attese, sospensione e imbarazzo sono quanto di meglio mi venga in mente per descrivere una serie A che, prima della più imbarazzante pausa per partite amichevoli delle nazionali ottime per nuovi contagi, infortuni e quanto può esserci in un momento in cui il Coronavirus a volte viene messo al centro della nostra vita, a volte invece per far giocare (per esempio) Italia Estonia si può mettere da parte, sembra attendere la sua leadership, aspetta tutti, dà occasioni a tutti e dopo 7 giornate che i più bravi opinionisti definiscono “inguardabili, dal livello infimo e dalle difese colabrodo”, io leggo come equlibrata, con molte squadre che ci stanno realmente provando e con la possibilità che a febbraio non stiamo guardando chi arriva ai playout di serie B perché in A è già tutto finiti.
Uno dei miei cugini, lui scrittore e saggista, mi ha scritto con stile narrativo carveriano, che le assonanze tra calcio e musica sono sempre di più, nei ruoli, nelle esecuzioni, nelle partiture più o meno codificate che si avvicinano a questo o quel genere musicale. Allora per iniziare con vena nazional-popolare regaliamoci un po’ di tempo nell’associare le squadre ai loro inni, raccontandone un po’ la storia, ascoltandolo e vedendo se qualcosa c’entra con ciò che in campo si vede.
Iniziamo dal basso in un campionato che prova ad avvicinarsi all’europa calcistica moderna costruendo dal basso; quindi il Crotone prende il suo secondo punto (primo in trasferta) pareggiando al grande Torino contro i granata di Giampaolo che, dopo l’ottima vittoria infrasettimanale di Genova, impatta con un rarissimo zero a zero bruttino che fa tornare due passi indietro Belotti e compagni, ancora in cerca di una reale coscienza di classe (troppo?). Nel tempio del Toro, uno spettacolo del genere, sembra quasi un concerto di latino americana alla Royal Albert Hall, con tanto di ballerini, addominali e testi gioiosi (un altro mio cugino mi faceva notare che non si capisce perché le canzoni in spagnolo devono mettere allegria e priori…). Valerio Liboni, batterista dei Nuovi Angeli, è lo scrittore di “Ancora Toro”, che a parte la drammatica rima nel ritornello “ancora Toro, cantiamo tutti in coro” ha un simpatico ritmo incalzante che ti prende e si associa bene al mondo granata. Bello scippo cantautorale per il Crotone che si prende il pezzo più noto del suo conterraneo Rino Gaetano “Ma il cielo è sempre più blu” e lo spara allo stadio come inno calcistico; che piaccia o meno il cantautore calabrese, comunque una scelta ad alto impatto emotivo.
Altro giro, altro zero a zero; Parma – Fiorentina. Iachini mentre scriviamo sembra essere in procinto di salutare la viola (con arrivo di Prandelli?), mentre il Parma non riesce a diventare quella squadra offensiva che vorrebbe Liverani, ma che quanto meno mentre si interroga sull’essenza dei suoi principi incamera qualche punto. Una partita bloccata con Biraghi che ha la palla gol più importante, e che alle mie orecchie è suonata come uno di quei pezzi che partono quando accendi la radio e che senti solo mentre fai la manovra perché hai le mani impegnate, poi metti la prima storci la bocca e cambi. Gigi Stok, grande fisarmonicista parmense e leader del liscio emiliano, ha scritto “Il grido di battaglia”, inno del Parma in cui il tema del “GOL” è ripetuto una trentina di volte e che ha ritmo da balera che associato a Veron, Crespo e Thuram mi risulta un filo irritante, forse meglio con il Parma meno pretenzioso di oggi.
“Canzone Viola/O Fiorentina” è conosciutissima, ce l’abbiamo nelle orecchie ed ha anche una bella storia. Il giornalista Marcello Manni compra i diritti e la proprietà del testo del 1931 di Marcacci su musica di Vinicio e diffonde la canzone che ancora oggi risuona allo stadio Franchi. “Nell’ora di sconforto e di vittoria, ricorda che del calcio hai tu la storia” ricorda come orgogliosamente Firenze rivendichi la sua priorità sulla nascita del football.
Altro giro, altro zero a zero; Sassuolo – Udinese. Quello che non ti aspetti, gambe che tremano ai neroverdi che giocando venerdì sera con una vittoria sarebbero potuti passare in testa e invece si bloccano in casa contro la migliore Udinese della stagione, addirittura più vicina alla vittoria del Sassuolo in alcuni momenti della partita. Crescono i carneadi friulani, che ogni anno devono rinascere a nuova vita cambiando moltissimo, mentre le note di “Vinci per noi”, brano sanremese cantata da Nicole Pellicani risuonano come inno da anni nella città friulana. La pacatezza calcistica della gente del nordest esce nel passaggio “ritorneremo a casa, vada come vada saremo con te”.
Rockeggiante l’inno del Sassuolo scritto e cantato da Filippo Neviani in arte Nek, tifoso del Sasòl; cambi di ritmo, batteria spinta e testo che gioca sui colori della squadra “neroverdi, i colori di chi non si arrende mai…”, cosa nota no?
Il Cagliari di Di Francesco continua la sua risalita in classifica battendo la Samp di Ranieri che non perdeva dalla prima contro la Juve; gli undici sardi sfruttano la superiorità numerica causata da un errore dell’ottimo Augello mettendo in cascina la partita nel secondo tempo con un rigore di Joao Pedro (il brasiliano più profilico dei 5 top campionati europei) e di Nandez che, ripeto, giocherebbe titolare in tutte le squadre del nostro campionato. Appaiate a 10 punti le 2 squadre, dopo la sosta proveranno a definire megli che tipo di campionato andranno a svolgere.
Drammatica la storia dell’inno del Cagliari, cambiato 5 volte dal 1970 e sempre sospeso per le deludenti prestazioni della squadra; anche oggi con Giulini presidente si è provato con 2 progetti musicali, per ora falliti. (Ma i Tazenda no???); dei fratelli De Scalzi (uno componente dei New Trolls) l’inno Doria olè che ripete il concetto del titolo per tutta la durata della composizione con una certa costanza. Diciamo che da uno ha aperto i concerti dei Rolling Stones e fatto jam sessions con Stevie Wonder ci si poteva aspettare qualcosa in più.
Continua la serie di sconfitte del Benevento che perde al Vigorito contro uno Spezia che continua a stupire in positivo per idee, coraggio e voglia di essere l’emblema dei Davide contro i Golia. Doppietta dell’ex Carpi Nzola e gol di Pobega (che mi piace), ma soprattutto una partita giocata su ritmi alti, con continua ricerca di verticalità e pressing sui portatori avversari. Inzaghi sembra aver perso le redini della squadra, che dopo aver perso giocando bene, stavolta perde meritatamente.
Trovare autore e storia dell’inno del Benevento è stato difficile quasi quanto trovare un posizionamento corretto della sua linea difensiva, ma quel “Forza Benevento” molto campano, ma solido, cambio di tonalità centrale e dal coro facile mi ha convinto. Di più, non saprei cosa dire; tracce lontane a sbiadite. E poi… “Non siete soli” di Riccardo Borghetti, importante cantautore spezzino anche collaboratore di Pierangelo Bertoli, con un attacco aggressivo stile sigla dei cartoni anni ‘80, ma di quelle belle, e un testo sul tema delle aquile che spiccano il volo e sulla realizzabilità dei sogni, è la sorpresa della giornata. Ormai ce l’ho in testa che “non siete soli, stiamo aspettando nel cielo, che l’aquila voli”.
Lazio e Juventus a pranzo di domenica ci hanno regalato una partita interessante, tecnicamente non tra le più belle nella storia di questo gioco, ma che ha fatto vedere come la Lazio ormai ha la tattica di far entrare Caicedo e riprendere la partita (ovviamente estremizzo perché è talmente incredibile questa cosa che non si può non mettere al centro) e che la Juve segna con Ronaldo e sa difendersi e ripartire in contropiede come una provinciale, ma con qualità estreme davanti. Pareggio in fondo giusto, la Lazio con assenti noti per questioni Covid ci ha provato sempre senza creare occasioni incredibili, e la Juve, più ordinata ma ancora lenta nella riconquista palla, sta trovando solidità (chiudendo un occhio su Bonucci che si gira sul gol di Caicedo).
L’attore e compositore (amicissimo di Rino Gaetano) Toni Malco ad inizio anni ‘80 scrive “Vola Lazio vola”; inno vero e proprio che associa l’aquila alla squadra che vola, col finalone che ti strappa il coro a pieni polmoni; va detto che mettere in metrica la parola “firmamento” è opera da segnalare. Tanti gli inni ufficiali nella storia della Juventus, forse il più famoso quello di Bertoli per il centenario “Juvecentus”, mentre da anni si sente cantare allo stadium “Juve. Unico grande amore”, pezzo riassettato dal carpigiano Paolo Belli, che non per fede calcistica ma che idealmente sapere che ha scritto 2 inni per 2 squadre (Juve e Carpi) non me lo rendono troppo simpatico… sono inni mica hit, per diana!
Un’ottima Roma continua a vincere sotto traccia con Fonseca sempre in bilico (AHAHAHAH….) sbancando la Genova rossoblu con una prestazione molto buona e una tripletta di un giocatore di un altro livello; Mkhitaryan gioca, pensa e segna dando la sensazione che ancora non è finita qui. Molto bene l’impostazione tattica di Fonseca che consegna a Veretout le chiavi d’impostazione, a Pellegrini la possibilità d’inserirsi e collaborare con i 2 fantasisti i quali, anche senza Dzeko, risultano micidiali. Per il Genoa pochissimo da fare e pochissimo da dire, le variabili tecniche e tattiche mi risultano poco compatibili con la serie A.
Gian Piero Reverberi, direttore d’orchestre e compositore gigantesco anche nelle sue collaborazioni (Dalla, New Trolls…) ha scritto “Un Cantico per il mio grifone”, marcetta allegra che oggi c’entra poco con la situazione della squadra ma che inneggia a un nuovo scudetto che il Genoa vincerà ed un ritornello a cui “anche Garibaldi si unirà”. Scoperte illuminanti. “Roma, Roma, Roma” è tra gli inni più famosi esistenti, l’Olimpico pieno che lo canta fa un effetto importante mentre il testo di Antonello Venditti (che ha scritto anche Grazie Roma, che però non è l’inno ufficiale) recita che “da sta voce nasce un coro, so 100.000 voci, c’hai fatto ‘nnammorà”. Credo che possa bastare, anche pensando a quante volte Gigi Proietti, scomparso in settimana anche lui, lo ha cantato tifando per la sua Roma. (Grazie Mandrà… ma pure grazie a diecimila personaggi che ci ha regalato).
Il derby lombardo e neroazzurro tra Atalanta e Inter finisce in parità che scontenta un po’ tutti, ma fa tornare l’Atalanta su ritmi e prestazioni da “alta classifica”; stupenda la torsione di Lautaro Martineza per il primo gol, e poi arriva la firma di Miranchuk, attesissimo da molti come Lammerts, talento non giovanissimo russo che sigla con una giocata alla Ilicic il gol del pareggio. Rivedibile Handanovic che sembra aver perso un po’ dello smalto che lo ha portato in cima di portieri mondiali.
Magica Dea, nella settimana della triste scomparsa di Stefano d’Orazio, è l’inno dell’Atalanta scritto da Roby Facchinetti, un pezzo…come dire… di Roby Facchinetti. Difficile aggiungere altro, sentitelo e ditemi se sbaglio. Il coro Ohohoho… che Facchinetti rigorosamente canta con la “A” (non sarebbe lui) è davvero di Poohiana memoria. Il mio mito dichiarato Stefano Belisari – in arte Elio – ha scritto il testo di “C’è solo l’Inter” , cantata da Graziano Romani e, ovviamente, ha spunti musicali e arrangiamento da fuoriclasse, in un pezzo che è l’inno ufficiale, mentre Pazza Inter è il pezzo reso famoso per essere stata cantata dai calciatori neroazzurri.
Chiudiamo questa carrellata di partite e di inni con il posticipo che ha tenuto il Milan primo in classifica, pur dopo il pareggio strappato all’ultimo in casa contro il Verona (e che Verona); sempre Ibra straripante in area di rigore che la riagguanta, dopo l’uno-due di Barak e di Calabria nella propria porta.
Il Milan, dopo la strapazzata europea, sembrava tornata una squadra caratterialmente debole, ma il gol di Kessie (giocatore unico per quantità e qualità di prestazioni in questo momento) e il pareggio dello svedese più famoso del mondo dopo Thor, ha tenuto a galla una squadra che vuole ancora stare lissù.
Il nuovo inno del Milan è di Emis Killa; ora, io ho problemi con i rapper quindi vi dico che quello prima lo scrisse Tony Renis (il famoso Milan, Milan) con aggiunte nel testo del ex Presidente Berlusconi e quello prima ancora addirittura dal grande Enzo Jannacci. La scelta dell’inno scaligero viene direttamente dal suo gruppo comico più famoso, i Gatti del Vicolo Miracoli che scrissero per il loro film “Arrivano i Gatti” questa canzone “Verona Beat” cantata principalmente da Smaila con i cori degli altri Gatti. Il beat, la cosa meno associabile al calcio di stampo veronese in generale.
La Fionda è una rivista di battaglia politico-culturale che non ha alle spalle finanziatori di alcun tipo. I pensieri espressi nelle pagine del cartaceo, sul blog online e sui nostri social sono il frutto di un dibattito interno aperto, libero e autonomo. Aprendo il sito de La Fionda non sarai mai tempestato di pubblicità e pop up invasivi, a tutto beneficio dei nostri lettori. Se apprezzi il nostro lavoro e vuoi aiutarci a crescere e migliorare, sia a livello di contenuti che di iniziative, hai la possibilità di cliccare qui di seguito e offrirci un contributo. Un grazie enorme da tutta la redazione!