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Formatore, istruttore, tecnico, allenatore… ma prima?


9 Dic , 2020|
| Sport

Cosa eravamo prima di essere? Cosa volevamo essere? Cosa siamo, e come lo siamo?

Quello che sembrerebbe (e probabilmente lo è) un piccolissimo e velocissimo delirio letterario, vuole aprire un tema a me molto caro. L’eterno dibattito sul ruolo dell’allenatore, così cambiato negli anni, sempre più gestore e comunicatore e sempre meno uomo di campo, spesso con un passato da calciatore non sempre di successo. Bisogna essere stati grandi calciatori per essere grandi allenatori? No. La storia racconta di tanti grandi allenatori, anche rivoluzionari, senza grandi passati da calciatori. Può essere utile essere stati grandi calciatori? Si. Conoscere la vita quotidiana del professionista del pallone, nei suoi luoghi comuni più classici fino ai lati più oscuri può dare al futuro allenatore alcuni strumenti di analisi utili per la propria carriera. Ma non generalizziamo.

Il mondo degli allenatori è un mondo solitario, dalla corazza spessa e dall’ipocrisia facile, con la paura di sbagliare, a volte la presunzione di avere ragione, spesso il timore di non perseguire fino in fondo le proprie idee modificandosi senza ottenere (la storia lo racconta) quasi mai i risultati sperati. Oggi si vogliono raccontare i percorsi che i 20 allenatori di serie A hanno fatto prima di arrivare dove sono, con le curiosità al centro del nostro racconto, e la serie A con i risultati della decima giornata a fare da sfondo colorato, un una giornata monca di una partita, per il terribile maltempo che, a sorpresa ma fino a un certo punto, sta mettendo in drammatiche crisi alcune zone del nostro paese. Prevenire non è mai stato il nostro forte, ormai è una realtà.

E oggi, a 40 anni esatti dalla morte dell’immortale John Lennon, che chiedeva che i “popoli vivessero la vita in pace” e che diceva in tv che “il mondo è guidato da gente folle con folli obiettivi”, partiamo da Udine, dove il maltempo ha impedito lo svolgimento di Udinese – Atalanta, partita che poteva essere interessante per lo stato di forma delle 2 squadre, ma anche per vedere l’Atalanta senza il suo leader Gomez escluso dai convocati per un litigio con Gasperini, una situazione che non si esaurirà così, ne sono abbastanza sicuro.

Luca Gotti parla pochissimo, ha uno sguardo profondo tipico di quei veneti severi, quando i giornalisti lo intervistano preferirebbe mettersi sdraiato sui binari prima del passaggio di un Frecciarossa piuttosto che farsi inquadrare da una telecamere; una carriera da calciatore nei dilettanti (un solo anno da professionista con il San Donà ad inizio anni ‘90) ed una vita insieme a Roberto Donadoni come secondo; interessante il suo esonero nel 2008 a Treviso, sostituito e poi richiamato dopo un mese drammatico di Abel Balbo sulla panchina trevigiana; poi, dopo un anno con Sarri al Chelsea a consigliare dietro le quinte, l’occasione a Udine dopo l’esonero di Tudor, e la rinconferma. Un uomo serio Luca Gotti, che fa di necessità virtù, cosa che in quel del nordest italiano, è sempre apprezzata.

Gianpiero Gasperini da Grugliasco, prima di diventare il guru che ha portato l’Atalanta al centro del dibattito calcistico mondiale (dopo l’ottima parentesi con il Genoa e il drammatico passaggio al’Inter) è stato un ottimo centrocampista, tatticamente perfetto (racconta Galeone) e con caratteristiche di inserimento e di aggressività innata; Palermo e Pescara le due realtà dove ha potuto esprimersi al meglio (5 anni in Sicilia e 5 in Abruzzo) e dove ha collezionato complessivamente quasi 300 presenze e una trentina di gol. Prima di iniziare ad allenare le giovanili della Juventus chiuse la sua carriera di corridore (associamolo al suo Freuler) alla Vis Pesaro in C.

Lo Spezia perde immeritatamente in casa contro una Lazio bruttina e sorretta dai suoi giocatori più forti; una partita fatta quasi interamente dei liguri che subiscono un gol di Immobile lanciato da Milinkovic Savic dopo una riconquista palla a centrocampo e poi raddoppiano su punizione del serbo che sfrutta un posizionamento non indimenticabile di Provedel. Lo Spezia prende 2 pali, tiene un possesso interessante per tutta la partita, ma riesce solo ad accorciare con un sinistro a giro di Nzola, sempre più a suo agio nella categoria.

Di Vincenzo Italiano raccontiamo che  nasce in Germania (meraviglioso paradosso onomastico), è stato un buonissimo regista (alla Ricci, mettendolo in campo nel suo Spezia), amante della verticalizzazione lunga alla Albertini (non scomodo Pirlo) con un passo non veloce ma una testa pelata ma rapida tatticamente, lo ricordiamo tanti anni (anche da capitano) con la maglia del Verona – 11 complessivi – poi un tradimento di 2 anni con la maglia del Chievo e molto Padova, insomma carriera principalmente veneta. Rigorista senza rincorsa, esordì a 19 anni appena compiuti in serie A.

Un bravo allenatore Simone Inzaghi, intelligente, furbo e preparato. Praticamente, le caratteristiche che aveva quando giocava. Sfortunata e costellata dagli infortuni, Simone Inzaghi (a dirla tutta) ha giocato pochissimo. Una stagione nella natìa Piacenza con 15 gol in A, poi passa alla Lazio e in Serie A in pratica lo si vede pochissimo, tanti spezzoni al posto dei campioni della Lazio di quegli anni, qualche gol e il ruolo di bomber di coppa (famosa la sua quatripletta a Marsiglia in Champions 1999-2000) che lo portano ad essere l’attaccante biancoazzurro più prolifico fuori dai nostri confini. Forte di testa, ottimo rigorista e veloce in area di rigore, più che al fratello Pippo lo mettiamo sulla falsa riga del suo Immobile con qualcosa di più tecnicamente, ma molto meno devastante in contropiede.

La rimonta della Juventus nel derby più scontato d’Italia si compie in una finale in cui il Torino (ormai abbonato) si dimentica come si marca in area di rigore sui cross lasciando prima lo statunitense Mackennie (26 anni dopo il gol di Lalas al Milan) e poi capitan simpatia Bonucci soli nel colpire, battere Sirigu e prendersi 3 punti importanti per la vecchia, grigietta, signora del calcio italiano.

Andrea Pirlo allenatore ancora non lo valuto, sarebbe ingiusto e gratuito, ma è velocissimo da commentarlo da calciatore. Tutto quello che l’anticipazione di pensiero in ambito calcistico ha garantito nella storia del calcio italiano. Un uomo normale, spalle strette, non veloce, non potente, e un genio. Spostato da Mazzone nel ruolo di regista durante gli anni di Brescia, ha vinto tutto con il Milan, tantissimo con la Juve ed ha impressionato il mondo intero per la sua capacità di muovere una squadra intera con i tempi che dettava lui, con i suoi gol su punizione e i suoi tagli da destra a sinistra e viceversa

Marco Gianpaolo nato in Svizzera e vissuto a Giulianova, il suo top da calciatore ce lo racconta con la Fidelis Andria nel 1995 in serie B; onesto centrocampista, ha smesso a soli 30 anni per un infortunio, con il suo cognome noto nel calcio giocato più per il grandissimo talento del fratello Federico (tecnicamente giocatore di livello altissimo). E’ uno dei tantissimi ex centrocampisti diventati allenatori, messi in mezzo al campo a giocare nella mischia dal ritmo più alto, si ritrovano spesso in panchina a organizzare, gestire ed allenare nei livelli più disparati.

Risale la Milano neroazzurra che sembra aver trovato nei suoi interpreti più forti un equilibrio potenzialmente imbattibile, che solo gli umori dentro il campo e l’eccesso di protagonismo in panchina potrebbero scalfire. 3 a 1 al Bologna con una doppietta di Hakimi (si era detto…) e l’ennesimo sfondamento di Lukaku mettono alle corde un Bologna discreto che ci prova, ma dimostra in maniera implacabile la differenza di livello delle 2 squadre. Sulla gestione di Eriksen sorvolo per non scrivere 35 pagine di articolo, dico solo “salvate il soldato Christian”.

Quanto Antonio Conte correva, si inseriva, segnava con colpi di testa, in mischia e vinceva tanto con un numero infinitamente inferiore di capelli in testa erano gli anni novanta. 6 anni a Lecce (dove prometteva anche come ala destra) e poi 13 alla Juve in una carriera con 20 presenze e 2 gol in Nazionale, Conte ha poi allenato il Bari e l’Inter spiegando molto del suo carattere piuttosto sbruffone e poco incline alla memoria storica. Centrocampista comunque di grande utilità, sia mezzala che esterno, ha saputo contribuire alle vittorie (quelle ancora nelle bacheche e quelle meno….) della Juventus con una personalità importante e capacità di trascinatore in campo e fuori.

Il calciatore jugoslavo Sinisa Mihajlovic era un esterno sinistro della Stella Rossa e della Roma con una grande capacità di cross e di esecuzione sui calci piazzati; il calciatore serbo Mihajlovic è stato anche un ottimo difensore centrale, molto vincente di Sampdoria, Lazio ed Inter. Una carriera con una costante; le micidiali punizioni che lo hanno portato alla ribalta (26 gol totali in Italia di specialità), uscito dalla meravigliosa Stella Rossa che nel 1991 vinse la Coppa dei Campioni con Savicevic, Jugovic, Prosinecki, Stojkovic ecc fece piuttosto male alla Roma e poi, lentamente, crebbe nelle prestazioni soprattutto dopo il cambio di ruolo voluto da Eriksson.

Verona e Cagliari sono 2 squadre in salute; si dividono una posta corretta, con il primo gol di Marin e il pareggio del solito Zaccagni in una partita giocata a viso aperto, tra due squadre di centro classifica che, anni fa, si sarebbero risparmiate al 70’ e che invece, per fortuna, se la giocano aggressive per 94 minuti e oltre.

Ivan Juric ha vissuto una carriera da gregario “di prima fila”, un mediano aggressivo, cattivo a volte, di quelli che con difficoltà un allenatore mette in panchina ed infatti Gasperini, prima a Crotone, poi a Genova, poi Palermo, poi di nuovo a Genova come vice allenatore, se l’è portato ovunque. Pochissime presenze in nazionale croata (i mediani tutto cuore nell’ex Jugoslavia hanno sempre fatto un po’ fatica), Juric probabilmente sta dando il meglio di sé con la tuta e gli occhiali indosso, modalità strana per una faccia così “operaia”. Prima di arrivare in Italia con il Crotone, Hajduk in patria e Siviglia per una figura silenziosa, irruenta ma stranamente simpatica.

Il nome del calciatore Eusebio Di Francesco è indissolubilmente legato a quello del nostro beneamato Zdenek. Voluto alla Roma nel 1997 dopo l’ottima stagione a Piacenza, divenne la mezzala sinistra di quel Di Biagio – Tommasi – Di Francesco tutto italiano e poi, lentamente (e incredibilmente), tutto in nazionale. Corsa e mille polmoni per l’abruzzese allenatore del Cagliari che poi vinse, da riserva fissa, lo scudetto di Capello ma che visse le due stagioni con il boemo il suo apice da calciatore, probabilmente su livelli superiori a quelli delle sue effettiva qualità.

Parma e Benevento non si fanno male; uno dei rarissimi 0 a 0 della nostra serie A tra un Parma che “ritorna al modus giocandi “d’aversiano” mentre il Benevento, già visto nelle ultime giornate, sta trovando una continuità fondamentale per chi vuole rimanere in una serie A così equilibrata. Non tantissime le occasioni, con un predominio territoriale mai davvero espresso dai ducali.

Fabio Liverani, romano e dichiaratamente romanista, mai toccò i colori giallorossi ed anzi colleghò gran parte della sua carriera di regista mancino di grande qualità ai colori laziali; 5 anni fino al 2006 dopo 5 anni a Viterbo e uno con il Perugia di Cosmi; proseguì con 3 anni a Firenze, 3 a Palermo e 4 presenze in nazionale italiana. Interessante il momento in cui il mister del Parma ricevette la richiesta della federazione somala di scegliere di giocare con la loro nazionale (la mamma di Liverani è, appunto, di Mogadiscio), ma l’allora giocatore della Lazio scelse l’Italia.

Discorso simile a Pirlo va fatto per Filippo Pippo Inzaghi; il piacentino bomber, forse miglior rapinatore d’area degli anni 1997 – 2009, è stato un’icona del nostro calcio, quindi raccontarlo risulta ridondante; campione del mondo 2006, campione d’europa con il Milan, miglior realizzatore italiano in Champions, ma anche capace di segnare una doppietta nel 1993 con la maglia del Leffe, non ancora diciannovenne facendo gli stessi goal che poi lo hanno reso una star mondiale; tiro al volo in mischia e partenza sul filo del fuorigioco con il portiere (del Carpi) saltato e palla depositata in rete; il cronista parla di “ragazzo interessante, forse un po’ grezzo”. Credo che a Inzaghi di essere grezzo sia sempre interessato il giusto, tanto faceva gol.

Ed entrando nel mondo di Roma – Sassuolo parliamo di un altro 0 a 0; previsione di scintille realizzative non mantenute, con un primo tempo di stampo neroverde, una Roma in dieci per l’espulsione di Pedro per tutto il secondo tempo che tira fuori ottimi 45 minuti con tante occasioni e qualche recriminazione verso l’arbitraggio di Maresca, mai benissimo con i giallorossi. De Zerbi ha ammesso la superiorità della Roma globale nonostante l’inferiorità numerica, mentre il suo Sassuolo sta passando una fase di stanca, il giro palla più lento, i rischi più bassi, la proposta globalmente peggiore.

Paulo Fonseca, nato nel 1973 in Mozambico quando era una una colonia portoghese, frase che potremmo ritenere leggera se non fosse fino al 1975 quel territorio fu un giocattolo di sangue nelle mani lusitane, con commercio di schiavi, svendite di territori e indipendenza ottenuta al prezzo di una recessione che ancora oggi mette il Mozambico tra i popoli più poveri del mondo; li abbiamo già “aiutati” abbastanza a casa loro, e in questo modo assassino. Tornando all’elegante Paulo, la sua carriera da allenatore non brillerà nel firmamento del calcio portoghese; difensore centrale duro e non troppo veloce, ha giocato 5 anni per la squadra che tifa, il Barreirense per poi girovagare e chiudere, sempre nei professionisti, nell’Estrela di Amadora. Insomma, l’allenatore qui ha decisamente superato il giocatore.

Roberto De Zerbi è un talento e Roberto De Zerbi era un talento; ora la cosa fondamentale per l’allenatore del Sassuolo è quella di ottimizzare gli errori fatti da giocatore (perché la qualità non gli mancava neanche un po’) e trasformarli per continuare a far parlare di sé per i suoi modi, concetti, principi di allenatore sulla cresta dell’onda e soprattutto trovare quella casa (e Sassuolo sembra esserlo) che da calciatore non è mai riuscito a trovare. 12 squadre cambiate con 3 “ritorni” (Padova, Avellino, Napoli) e un massimo di 50 presenze fatte a Foggia nel triennio 2002 – 2004 per un trequartista mancino tutta tecnica e giocate illuminanti, con poca, pochissima continuità.

Il Napoli ne fa 4 anche al povero Crotone dopo la quaterna contro la Roma e comincia a macinare punti, gol e una classifica sempre più interessante; apre Insigne a giro alla sua maniera, poi Lozano, Demme e Petagna  schiacciano i calabresi che, davvero, mi chiedo come riusciranno, con i giocatori che hanno, ha vincere anche una sola partita. Spero, per simpatia, di essere smentito.

Anche Giovanni Stroppa lo dobbiamo associare al nostro amico cecoslovacco di nome Zdenek; richiesto alla Lazio nel 1993, lo porta a Foggia per fargli fare la mezzala sinistra di altissima qualità e lo trasforma in giocatore completo (e lo porta in nazionale); poi ripassa per il Milan (vincendo da riserva), e comincia a girare tutta Italia mettendo sempre un grande talento, mai esploso completamente anche per una forma fisica mai tornata eccellente. Rincontra Zeman nel disastro della stagione di Avellino e torna a Foggia un anno prima di chiudere la carriera a Chiari, vicino la casa natale.

Lesson 1, chapter 3. Dopo Pirlo e Inzaghi dobbiamo inserire anche il campione del mondo, pescatore, mediano, calabrese DOC Gennaro Gattuso che ha corso il triplo dei primi 2 da gregario di altissima qualità; insostituibile nel centrocampo Ancelottiano, di Gattuso sappiamo tutto; gli inizi al Perugia, l’anno ai Rangers  (incredibile quanto nonostante sia un campionato semiridicolo andare a giocare in Scozia fa sempre Curriculum), poi la consacrazione a Salerno con Delio Rossi e Oddo padre (poi vincerà il mondiale con il figlio), i 12 anni di Milan che tutti conosciamo e la chiusura della carriera, meno nota, a Sion.

Sembra incredibile, non ci credeva nessuno, ma adesso andate a dire in giro che il Milan non ha chance di vincere lo scudetto più strano della Serie A? La banda di Pioli, solidissima nel mood generale, nella semplicità delle idee e nella realizzazione delle stesse, continua (senza Ibra) a vincere, espugnando la Genova sampdoriana con il rigore (devo dire, ennesimo) di Kessie e addirittura il gol di Castillejo, che non verrà ricordato dai posteri per la media realizzativa. Ranieri ci ha provato, a costruito con i suoi diverse palle gol, ma il Milan segna e Donnarumma fa la differenza, quella vera.

Ed il veterano tra i tecnici della serie A, il romano Claudio Ranieri da Testaccio, è stato un terzino (poi libero) che ha legato la sua carriera da calciatore (sufficiente) ad altri colori giallorossi, quelli calabresi del Catanzaro. 225 presenze e record in serie A (126) con le aquile calabresi prima di scendere in sicilia, prima sponda Catania poi sponda Palermo. Spesso capitano delle squadre in cui ha giocato, l’allenatore romano lega i suoi inizi al mitico allenatore della Primavera Antonio Trebiciani, il più “vincente” tecnico delle giovanili italiane in assoluto.

Quando attaccavo la figurina di Stefano Pioli sull’album pensavo sempre a che faccia da bravo ragazzo avesse l’ex stopper parmense. Il mister del Milan più sorprendente degli ultimi anni, difensore talentuoso falcidiato da una serie enorme di infortuni, ha legato principalmente la sua carriera alla maglia della Fiorentina (6 anni, più di 150 presenze); alla viola arriva dopo 3 anni di Juventus in cui vince (da riserva) la coppa dei campioni 1985 e la coppa intercontinentale (subentrando a Scirea) successiva e 2 di Verona. Dopo la Fiorentina 4 fratture del metatarso e una carriera discendente tra Padova, Pistoiese e serie minori.

Dispiace scrivere, ogni volta che ci sta il Genoa di mezzo, che la partita non sarà tra le prime 5 per spettacolo e divertimento, ma purtroppo sia la Fiorentina che il Genoa navigano in una situazione in cui galleggiare e affondare hanno una strana percezione di sinonimia. Un 1 a 1 che i viola si prendono all’ultimo minuto, in mischia e con un difensore; quanto di più rude ci possa essere no? Sempre Pjaca in gol per i grifoni.

Ha vinto di tutto con la Juventus il Prandelli calciatore, scudetti coppe dei campioni, coppa delle coppe in 6 anni da riserva di lusso; il classico primo cambio difensivo, date le caratteristiche da mediano incontrista che sapeva svolgere anche ruoli da incursore. Oltre la maglia bianconera, sempre righe addosso al mister di Orzinuovi, quelle grigiorosse della Cremonese per 4 anni e quella neroazzurre dell’Atalanta per altri 5 anni, dove chiude la vita con il pallone al piede e inizia quella con il fischietto e la tuta.

Il buon Rolando Maran, trentino DOC, ha indossato ben 280 volte la maglia del Chievo Verona per 11 stagioni, contribuendo – anche da capitano – alla prima grande risalita dei clivensi dalla C2 alla B. Difensore rude, solido ma dal grande carisma, Maran chiude con il Chievo nel 1994-1995 in B e poi riscende in categorie a lui più consone, con la Carrarese in C1 ed il Fano, dove chiude la carriera in C2.

20 squadre, 20 allenatori con le loro storie tanto diverse da portarli, nel nuovo mestiere, a metterli a confronto con realtà eterogenee; Inzaghi al Benevento, Pioli al Milan. Essere stati grandi calciatori, essere grandi allenatori; il nesso non esiste in maniera oggettiva. Essere un fornaio e vendere il pane ha solo il nostro alimento per eccellenza in comune, non altro.

Di:

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