Il caso della Pizzeria di Francoforte sul Meno intestata a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino induce innanzitutto a riflettere sui rapporti fra le mafie e il comparto agroalimentare. Gli investimenti della mafia negli esercizi pubblici tipo bar, gelaterie, pizzerie e ristoranti sono ben noti. Da sempre, ma soprattutto oggi per gli effetti devastanti della pandemia, il mafioso approfitta delle difficoltà degli imprenditori per costringerli a cedere il passo. E investe secondo il suo dna di sciacallo-avvoltoio. Ormai si va oltre il riciclaggio, perché nascono catene di franchising, dove i camerieri lavorano senza conoscere il loro vero padrone, la clientela è contenta – spesso mangia bene – ignara di quale business sta alimentando. E la mafia ingrassa.
È comunque assai diffusa la perversa tendenza allo sfruttamento osceno di un brand infame come la mafia. In giro per l’Europa e nel mondo è un diluvio di “caffè mafiozzo”, fernet mafiosi, “chilli mafia”, “maffia saus”, “mafia store” e via vampirizzando la morale e il buon gusto. C’è anche un “Palermo mafia Shooting” la cui etichetta strilla “stile italiano”, imponendo l’equazione idiota mafia uguale Italia. Massimo dell’aberrazione – caso demenziale di barbarie e volgarità inaccettabili: la pubblicizzazione – in Austria – di un “panino Falcone, che purtroppo sarà grigliato come un salsicciotto”.
Qualche buona lettura non guasterebbe a tutti questi signori che della mafia fanno un laido business per vendere e riempirsi le tasche sempre di più. Leggendo qualcosa potrebbero anche imbattersi nella storia di Peppino Impastato (vittima della ferocia mafiosa) che, in faccia a don Tano Badalamenti, boss di Cinisi, ogni giorno urlava – attraverso la sua piccola radio libera – che “ la mafia è una montagna di merda”. E con la merda non si fanno di certo manicaretti. Lo ricordino, certi gourmet e i loro ignari clienti.
Di mafia e ristorazione si è occupato anche l’Ufficio della proprietà intellettuale dell’Unione europea (EUIPO). Su segnalazione di uno studente italiano in Erasmus, ha annullato – nel 2016 – il marchio di una catena di quasi 50 ristoranti in Spagna: “La mafia se sienta a la mesa”, la mafia si siede a tavola. Il sito Internet dell’azienda declama locali «arredati con cura in stile mafioso. Alle pareti sono appese gigantografie e foto della trilogia de “Il padrino” di Francis Ford Coppola. Il menù mischia ricette spagnole ai tradizionali piatti italiani, cucinati con materie prime importate dall’Italia. Esistono anche “Club La Mafia Lounge”, dove farsi un drink. Sottinteso: provate l’ebbrezza (o il brivido) di sentirvi come un mafioso a casa propria. Ammazzare come lui non potete, ma almeno divertitevi a mangiare come fa lui.
L’EUIPO ha stabilito che nell’esercizio della propria attività economica non è consentito avvantaggiarsi usando un marchio che viola i principi fondamentali di una convivenza civile e democratica, contrario alla moralità e all’ordine pubblico; un marchio percepito dal pubblico come chiaramente evocativo di organizzazioni criminali che ovunque – non solo in Italia – disseminano terrore attraverso atteggiamenti di intimidazione, violenza fisica e psicologica per raggiungere i propri obiettivi. La decisione dell’EUIPO è stata confermate nel 2018 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGEU) che siede a Lussemburgo.
Per altro, i titolari della catena spagnola sembra che non abbiano fatto una piega, tant’è che Rita dalla Chiesa qualche tempo fa è intervenuta per denunziare che in spregio di ogni divieto l’insegna “la mafia se sienta a la mesa” non era affatto sparita. Ancora di recente Petra Resky (intervenuta sulla Frankfurter Allgemeine dell’8 dicembre 2020) ha scritto che l’azienda spagnola “La mafia franchises” continua ad usare il marchio incriminato e si fa pubblicità con slogan tipo ”coesione familiare come a Corleone”, oppure “separé con tutto ciò che è utile per veri incontri di mafia”. Addirittura offre assunzioni con la formula “vuoi lavorare nella famiglia? Unisciti alla mafia”. Da non credere!
Frattanto è scoppiato il caso della pizzeria di Francoforte che ha adottato come insegna i nomi di Falcone e Borsellino. All’interno campeggia la notissima foto dei due magistrati sorridenti che parlano fra loro, affiancata da un’immagine di don Vito Corleone tratta dal film “Il padrino”. Sui muri alcuni fori ad evocare spari. Nel menù “Patrone&ich” (costruito su un gioco di parole, poiché la parola ‘patrone’ in tedesco significa proiettile), insieme alle pizze margherita, salame, funghi ecc., c’è l’offerta “1xpizza Falcone + 1xpizza Borsellino + una bottiglia di vino rosso”.
Un reclamo di Maria Falcone è stato respinto dalla magistratura tedesca con vari argomenti, principalmente questi: la protezione dei diritti della persona diminuisce con l’aumentare della distanza dalla morte e termina quando la memoria del defunto è svanita, di modo che l’interesse per tali diritti passa in secondo piano rispetto agli interessi contrastanti (commerciali); Falcone è stato ucciso quasi 30 anni fa; inoltre ha operato principalmente in Italia ed è noto solo ad una ristretta cerchia di addetti ai lavori, procuratori e criminologi, mentre il pubblico di riferimento è la gente comune, cioè tutte le persone che visitano i ristoranti.
La motivazione è allucinante. Va bene che si parla di cibo, ma che anche i diritti della persona abbiano una…scadenza come i vasetti di yogurt è piuttosto singolare. Ma soprattutto é fuori di ogni logica fondare una sentenza su una assurdità clamorosa: cioè la totale idiozia di qualunque pizzaiolo che per richiamare la gente usi – con tecnica commerciale suicida – nomi e immagini di persone sconosciute. Un pizzaiolo così (condannato al fallimento in pochissimo tempo !) non esiste al mondo, oppure è la prova provata che quei nomi sono conosciuti anche dalla “gente comune”, e proprio per questo il pizzaiolo ne sfrutta la memoria, sia pure sfregiandola.
Ma la decisione è anche ingiusta. Perché nega i principi di civiltà, patrimonio dell’umanità tutta, che sono scolpiti nella sentenza della Corte europea che abbiamo citato (e i giudici nazionali dovrebbero tener conto della giustizia europea).
Resta da spiegare come diavolo abbiano fatto i giudici tedeschi a (s)ragionare in questo modo. Si potrebbe ipotizzare che si siano ispirati alla canzone di De Gregori “Legalizzare la mafia sarà la regola del Duemila”. Ma è un ‘ipotesi dell’assurdo… Frattanto, per altro, il proprietario della pizzeria (Costantin Hubrich, che non è comparso davanti al tribunale di Francoforte) e chi la gestisce (un anonimo Salvatore, il cui nome compare sul “contattaci”) hanno mostrato più buon senso dei giudici e li hanno scavalcati rinunziando a qualcosa: chi dice all’insegna e chi invece (P. Resky) soltanto alla foto.
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