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Patrimoniale: come sbagliare mira con una pistola ad acqua
Nel dibattito pubblico di questi ultimi giorni ha tenuto banco la proposta di emendamento alla legge di bilancio di introduzione di un’imposta patrimoniale che andrebbe ad incidere su quella platea di contribuenti che detengano un patrimonio immobiliare e mobiliare netto superiore complessivamente ai 500.000 €. La proposta, a firma di alcuni deputati di PD e LeU, prevede 4 diverse aliquote: 0,2% tra i 500.000€ e un milione di €; 0,5% da un milione a 5 milione di €; 1% tra 5 e 50 milioni di €; 2% sopra i 50 milioni di €. A queste aliquote, solo per l’anno 2021, se ne aggiunge un’altra: il 3% sui patrimoni superiori al miliardo di €. La stessa proposta di emendamento all’art. 194 della legge di bilancio disporrebbe la contestuale esenzione per le persone fisiche dall’Imposta Municipale Propria, dall’imposta di bollo sui conti correnti e sui conti di deposito titoli.
L’imposta patrimoniale è da sempre proposta capace di scaldare i cuori della sinistra e gli animi a destra. In linea di principio, è, infatti, misura idonea a perseguire finalità di giustizia sociale in vista di una più equa distribuzione della ricchezza e, in ultima istanza, di una maggiore uguaglianza sostanziale.
La misura viene presentata, se non come una vera e propria panacea, almeno come una misura giusta e necessaria. Giusta, perché ritenuta in grado di operare un’effettiva redistribuzione delle ricchezze e di rimediare alla drammatica crescita delle disuguaglianze socio-economiche. Necessaria, perché ritenuta in grado di reperire preziose risorse per l’Italia al fine di superare la crisi pandemica, nei suoi aspetti sanitari e/o economici.
Purtroppo, tali aspettative risulteranno in buona parte deluse. In effetti, data l’inconsistenza di una patrimoniale in assenza di controllo sui movimenti di capitali, si potrebbe anche fare a meno di discuterne, ma è utile farlo perché offre una prospettiva privilegiata per osservare tutto il disagio della sinistra contemporanea nel muoversi in campo economico nell’intoccabile cornice della UE e della globalizzazione. Soprassedendo sulla difficoltà della proposta di emendamento nel trovare in parlamento i numeri necessari all’approvazione, ad opinione di chi scrive, un’eventuale introduzione di tale imposta nell’attuale contesto risulterebbe inefficace tanto in termini di redistribuzione della ricchezza, quanto al gettito effettivamente recuperato dalle “tasche dei ricchi”. In realtà, nel momento (crisi economica e sanitaria) e nell’attuale cornice UE (libera circolazione dei capitali) si rivela del tutto inconsistente, insufficiente e, a tratti, anche controproducente. Si addurranno quattro ordini di ragioni.
1) Insufficienza del gettito netto raccolto: semplicemente non è una misura in grado di far pagare ai ricchi il conto della crisi. Se da un lato, la proposta introdurrebbe una nuova imposta patrimoniale, dall’altro si eliminano altre imposte già vigenti. Pertanto, ciò che andrà calcolato, in termini di reperimento di nuove risorse per l’erario, sarà il saldo netto. I firmatari della proposta asseriscono di averlo stimato in 18 miliardi di Euro annui.
Questa stima potrebbe anche essere ottimistica, considerato che la commissione bilancio della Camera aveva dapprima bocciato la proposta di emendamento per “per carenza o inidoneità della compensazione”, ovvero per mancanza di copertura, per poi riammatterlo alle discussioni parlamentari alla luce alla luce della «difficoltà di effettuare una puntuale quantificazione riguardo alla stima degli effetti di gettito derivanti, fermo restando che più puntuali informazioni potranno essere acquisite in proposito dal Governo nel corso dell’esame»[i].
Si può, almeno per ipotesi, assumere comunque che la proposta porti con sé un saldo netto positivo di alcuni (pochi) miliardi di Euro per le casse dello Stato, soprattutto se la proiezione dei proponenti non avesse tenuto in debito conto l’elusione fiscale massiccia che si verificherà sulla parte mobiliare della base imponibile a causa della libera circolazione dei capitali[ii]. Per avere idea dell’ordine di grandezza, si consideri che per il 2020 il debito pubblico italiano è aumentato di oltre 100 miliardi e rispetto al 2019 l’economia italiana registrerà una frenata del 9% (-143 miliardi di euro, in termini assoluti) a seguito dell’emergenza legata al coronavirus. Si tratta del calo più marcato da quelli registrati dalla fine della seconda guerra mondiale.
2) Non è il momento. Qualora si verificasse effettivamente un saldo netto positivo per le casse dello stato, dal punto di vista economico, si tratterebbe di una misura prociclica recessiva, sul modello della cura austeritaria praticata in risposta alla crisi finanziara mai realmente superata che portò al governo il “compagno” Mario Monti, degno predecessore in fatto di patrimoniale. Si tratterebbe, perciò, di una nuova imposta introdotta in un momento di estrema crisi economica e di pesante recessione economica, una misura che drena risorse dall’economia, in un momento in cui servirebbe invece allargare i cordoni della borsa per stimolare la ripresa economica. Basta avere una minima infarinatura di economica per sapere, infatti, che le leve della politica economica andrebbero usate in funzione anti-ciclica e non pro-clicica, come nel caso dell’attuale proposta di patrimoniale. Potrebbe considerarsi, da questo punto di vista, come una misura perfettibile da implementare nel momento successivo in cui l’economia sarà tornata a crescere. Per il momento basterebbe rimodulare secondo progressività dell’IMU, che resta, ad oggi, un raro e vergognoso esempio di patrimoniale economicamente regressiva.
Inoltre, la seconda ondata della pandemia ha già provocato un calo del mercato immobiliare e del valore degli immobili. Com’è noto, l’imposizione patrimoniale sugli immobili se da un lato ha il vantaggio della minore volatilità della base imponibile, ha anche lo svantaggio di essere un’imposta che grava su una parte del patrimonio illiquida che può indurre alla vendita del bene e, unita all’attuale flessione degli affitti, allo scoppio di una bolla immobiliare. In altri termini, una patrimoniale immobiliare induce il soggetto inciso dall’imposta a modificare la composizione dei propri asset spostandosi verso cespiti più mobili e più facili da mettere al riparo nell’off-shore Questa eventualità si risolverebbe in un’ottima occasione per banche e super-ricchi per acquistare immobili a prezzi di saldo, acuendo paradossalmente le disuguaglianze sociali al termine del processo recessivo.
3) L’elefante nella stanza: la libera circolazione dei capitali. Una patrimoniale sulla ricchezza mobiliare in regime di libera circolazione dei capitali sbaglia mira: colpisce solo chi non è abbastanza ricco da pagare un buon commercialista. Attenzione, si potrebbe come sempre brandire il motto della lotta all’evasione, ma il punto è che non si tratta di evasione, ma di semplice elusione fiscale, in neolingua è tax planning aggressivo che corre lungo il crinale della legalità per arrivare dritta ai paradisi fiscali, tra cui quelli interni alla UE che, come Olanda e Lussemburgo, sono meno esotici ma certo non meno ambiti e frequentati. In questo senso, una patrimoniale così congegnata finisce per colpire il ceto medio alto e parte dei ricchi, lasciando che si crei un ulteriore divario tra i super-ricchi e tutto il resto della popolazione. Un ulteriore passo in direzione di nuovo feudalesimo in cui il latifondo è in mano a pochi signori e i lavoratori ridotti a nuovi servi della gleba. L’errore in questo senso è anche e soprattutto politico: si elude il problema che sta a monte dell’impossibilità di effettuare una più efficace politica di redistribuzione della ricchezza proprio a cominciare dai “Signori” del latifondo finanziario. Nella cornice attuale della UE, che veda nella libera circolazione dei capitali una sua pietra angolare, una patrimoniale è come una pistola acqua ed enfatizzarne la “potenza di fuoco” è semplicemente mistificatorio. Il richiamo al suo carattere simbolico e fortemente evocativo non fa che confermare il disagio della sinistra europeista a fare i conti con le proprie frustrazioni. Un continuo vorrei ma non posso, che alla fine della fiera abbassa solo l’asticella delle aspettative di poter efficacemente incidere su disoccupazione, disuguaglianze, povertà. Per una volta si dovrebbe avere il coraggio del massimalismo e almeno mettere con forza in risalto il cuore del problema.
4) Prendere sul serio la progressività fiscale. Allora è tutto perduto? Si dovrebbe forse rinunciare a qualsiasi misura di immediata attuazione per la perequazione delle disuguaglianze economiche? Assolutamente no.
Ci sono almeno due misure fiscali, oltre alla rimodulazione dell’attuale disciplina regressiva dell’IMU, che potrebbero sortire migliori effetti redistributivi.
La prima sarebbe una riforma dell’IRPEF in senso di una maggiore progressività da attuarsi attraverso l’allargamento della forbice tra aliquota minima e massima e la contestuale introduzione di un alto numero di scaglioni intermedi. Si pensi, ad esempio, che alla sua introduzione e fino ad inizio anni ‘80 l’IRPEF prevedeva ben 32 scaglioni e diverse aliquote che andavano dal 10% al 72%. Per contro, l’IRPEF attuale prevede solo 5 scaglioni con aliquota che vanno dal 23% al 43%. I vantaggi sarebbero molteplici e incomparabili rispetto ai vantaggi netto che porterebbe con sé un’approvazione della patrimoniale targata Orfini e Fratoianni. Si possono qui enunciare i principali.
- Si tratterebbe di una riforma di ben altra magnitudo e platea: il gettito IRPEF raccolto annualmente dallo stato si quantifica in 252 miliardi di Euro[iii], ossia poco meno di 20 volte quanto nelle più rosee previsioni si stima di ricavare con la nuova patrimoniale;
- La base imponibile reddituale è soggetta a minore volatilità rispetto al patrimonio mobiliare;
- La base imponibile reddituale è immediatamente liquida e non innescherebbe in modo diretta una corsa alla (s)vendita della parte immobiliare del patrimonio, che potrebbe poi ripercuotersi negativamente a cascata sui piccoli proprietari del ceto medio e sugli affittuari;
- Pur reperendo un gettito extra per le casse statali, con l’aumento delle aliquote per i redditi alti e altissimi, si potrebbe operare una contestuale riduzione delle aliquote IRPEF per i redditi più bassi, liberando in tal modo quote di reddito da lavoro più propense al consumo e favorendo così la domanda interna, durevolmente mortificata dalle recenti politiche austeritarie;
- stante il fatto che la maggior parte dei redditi da lavoro si colloca nei primi scaglioni IRPEF, che sarebbero in ipotesi soggetti a riduzione delle aliquote, si produrrebbe una riduzione del cuneo fiscale che andrebbe a favorire un aumento dell’occupazione e un impulso generalizzato alla crescita economica;
- in termini di perequazione sociale, una rimodulazione dell’IRPEF in senso maggiormente progressivo andrebbe a sortire effetti più diretti e facilmente percepibili dal ceto basso e da quello medio, in quanto gli effetti redistributivi non si verificherebbero a valle della spesa pubblica (come nel caso della patrimoniale), bensì a monte, come maggior reddito immediatamente disponibile (vero ossigeno dell’economia, in un momento di crisi come l’attuale).
La seconda misura, preferibile in termini di progressività fiscale alla nuova patrimoniale, sarebbe la riduzione dell’IVA (in vista di un suo graduale accantonamento). Com’è noto, infatti, l’IVA, come tutte le imposte indirette è economicamente regressiva, pesando sui consumi dei contribuenti incisi dall’imposta a prescindere dalle loro condizioni reddituali e patrimoniali. In altri termini, l’IVA è uno strumento fiscale che, acuendo le disuguaglianze sociali, si pone in contrasto con l’applicazione di criteri di progressività cui dovrebbe essere informato il sistema tributario secondo l’art. 53 Cost. Impossibile ridurre o eliminare l’IVA? Falso. Il gettito IVA riscosso dall’Italia nel 2019 è stato di 136 miliardi di Euro. Immaginando il caso estremo di una sua totale soppressione, buona parte (circa 70-80 miliardi) del gettito sarebbe recuperato tramite imposte dirette dalla semplice applicazione del moltiplicatore Keynesiano generato dalla crescita diretta dei consumi. In altra parte, si otterrebbe la riemersione di una buona quota di sommerso che in Italia si quantifica in 211 miliardi di Euro[iv] e, solo in termini di VAT Gap, ammonta a 35 miliardi di Euro l’anno[v]. L’evidente vantaggio di una riduzione/abolizione dell’IVA sarebbe la forte spinta di cui si avvantaggerebbero i consumi e la domanda interna con contestuale aumento indiretto del potere di acquisto per le classi lavoratrici pur a parità di salario.
In conclusione, la nuova proposta di patrimoniale si rivela una misura giusta in un altro contesto e in un altro momento. Le altre misure più adeguate al periodo e più efficaci nell’obiettivo di riduzione delle disuguaglianze non vengono neanche realmente prese in considerazione, tanto da far sorgere il dubbio che si possa trattare di una proposta ammantata di giustizia sociale per nascondere la pura e semplice logica austeritaria del rientro sul debito pubblico. Il lato negativo della vicenda è, infatti, che essa contribuisca a deviare l’attenzione da ciò che dovrebbe essere chiesto a gran voce nell’interesse dei lavoratori: la monetizzazione di tutto il deficit che serve (dunque, maggiore a quello che si sta facendo). Una sorta di “whatever it takes” ma stavolta non per salvare banche o monete, bensì per restituire dignità al lavoro e l’economia reale.
Ma la patrimoniale fa più radical (e forse anche più chic, visto che con la liberazione circolazione di capitali per i super-ricchi si tratterebbe in pratica di filantropia volontaria).
[i] www.pagellapolitica.it/blog/show/864/la-proposta-sulla-patrimoniale-non-%C3%A8-ancora-morta
[ii] Per farsi un’idea della dimensione del deflusso di capitali che già si ebbe dall’Italia nel corso del 2012, si veda, ad esempio: https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-10-09/italia-fuga-capitali-anno-235219.shtml?uuid=Ab3qs9qG
[iii] https://www.finanze.it/opencms/it
[iv] https://www.agi.it/economia/news/2020-10-14/istat-quanto-vale-economia-sommersa-italia-9948088/
[v] https://ec.europa.eu/taxation_customs/business/tax-cooperation-control/vat-gap_en
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