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Il mito italiano del signor Rossi


16 Dic , 2020|
| Sport

Per protestare contro l’esclusione dal “Gran Premio Bergamo Internazionale del Film d’Arte e sull’Arte” nel 1960 il fumettista Bruno Bozzetto crea il primo corto con il personaggio del Signor Rossi che “vince un Oscar”. Sarà il primo di una sequenza di grande successo. Baffetti, pochi capelli coperti da un cappello rosso, abito rosso, papillon nero camicia bianca e stivali neri, il signor Rossi di Bozzetto ha raccontato l’italiano medio dell’Italia del boom economico con tutta la voglia, ironica, di narrare un paese pieno di sprint, di progresso e delle contraddizioni che lo stesso, di solito, porta con sé.  Saranno più di 30 episodi tra cortometraggi, lungometraggi e episodi singoli i momenti in cui questo nanetto frustrato, di buon animo e pieno zeppo di luoghi comuni apparirà in circa una quindicina d’anni di produzioni. Il signor Rossi, il cognome più presente in Italia, ognuno di noi ne ha conosciuto personalmente uno, pensando magari che “era il classico Signor Rossi della situazione”.

Nel 1960, in una frazione vicino Prato (Santa Lucia), cominciava a calcare i campetti dell’oratorio un signor Rossi non qualsiasi. Aveva 4 anni, si chiamava Paolo e pare facesse sempre gol. Ventidue anni dopo alzava la coppa del mondo insieme ai suoi compagni unendo un paese intero ed aprendo, perché in Italia iniziano lì, gli anni ottanta nella nostra penisola con una gioia ed un’unità nazionale nell’anno in cui (tra le altre cose) arrivano i Compact Disc, esce Thriller di Michael Jackson, viene ucciso Pio La Torre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e muore Breznev.

La morte del Pablito nazionale ha fatto effetto, pochi giorni dopo quella di Maradona un altro pezzo di quel decennio – sportivamente parlando e non – così unico (nel bene e nel male) se ne va, lasciando ricordi, istanti vissuti con gioia umana e calcistica, e alcune riflessioni. La prima la faccio così me la tolgo perché è talmente impopolare che, una volta letta, magari interromperete subito e non vi faccio arrivare in fondo.

Cosa sarebbe stato il calcio senza il risveglio del dormiente Paolo Rossi nella partita dell’82 contro lo sfavillante Brasile di Zico, Socrates, Falcao e co.? Cosa sarebbe accaduto negli anni a venire se avesse vinto la tecnica, la fantasia, il futbòl bailado, le idee di Socrates che alzano la coppa del mondo invece che l’ottimo, ma di certo non impegnato politicamente, Dinone Zoff? Se il catenaccio (di quel Mondiale, perché nel ‘78 non fu cosiì) Bearzottiano non l’avesse sfangata e il Brasile con Junior terzino sinistro (perché a centrocampo con Falcao Socrates Cerezo e Zico un po’ più avanti, non c’era posto) avesse dato un senso diverso al futuro calcio internazionale forse, e dico forse, avremmo vissuto anni meno bui, meno tatticamente esasperanti, meno “prima non prenderle” come filosofia vincente. La colpa è di Rossi? Poveraccio, certo che no. Però siamo “La Fionda” e se certe domande non ce la facessimo, saremmo il “vincere è l’unica cosa che conta”, una delle tante rubriche che racconta realtà ovvie (l’Italia ha vinto e siamo contenti) senza pensare all’utopia.

Ora se da italiani “tutti d’un pezzo” non vi siete arrabbiati, andiamo avanti.

Quanti Signori Rossi nelle nostre vite? E quanti nel nostro calcio, passati senza infamia e senza lode, magari con alcuni scandali scommesse di troppo, alcuni addirittura candidati alle elezioni europee con Alleanza Nazionale, con qualche goal fatto per la nostra squadra, qualcuno subito ed altri annullati? Insomma, viaggiamo un po’ avanti e indietro nel mondo del nostro calcio mettendo un po’ di Signori Rossi nella nostra Serie A, quelli che ci sono stati, e cosa hanno fatto per uscire dall’anonimato di un cognome pesante, che per merito del Pablito nazionale calcistico, del Vasco nazionale per la musica, e del Valentino nazionale per i motori hanno dato un senso unico (che ci piacciano o meno) al cognome più classico che c’è.

Accorciano dietro il Milan tutte le grandi, vincendo tutte ad esclusione della Lazio stanca e non pronta alla doppia competizione; ma andiamo per ordine.

Il Sassuolo torna alla vittoria con un dubbio rigore di Berardi, non prendendo gol neanche stavolta e battendo un Benevento in forma che, obiettivamente, non meritava la sconfitta. La maturità sparagnina dei neroverdi denota una certa capacità anche di soffrire e vincere senza brillare; per rimanere lissù, serve anche questo.

Il bello è che iniziamo con 2 delle 3 sole squadre della nostra serie A a non aver avuto mai “signori Rossi” nelle loro prime squadre. Il Sassuolo vanta l’ex Roma Aleandro Rosi lo svizzero Jonathan Rossini, ma niente di più. E nulla di nulla (e non vedo l’ora che qualcuno mi scriva per dirmi che sbaglio per arricchire i miei dati) neanche per le streghe campane.

Gol polacco – brasilani per la prima, fondamentale, vittoria del Crotone di Stroppa contro uno Spezia sconfitto con un risultato troppo largo per la partita fatta, ma che difensivamente ne ha commesse di ogni nella trasferta calabrese. Un 4 a 1 di puro ossigeno per gli squali che con la doppietta di Messias, il gol di Eduardo e il sigillo di Reca garantiscono 3 punti e rendono vano il pareggio di Farias degli spezzini. Il Crotone sale a 5 punti, Spezia ancora saldo a 10.

E vinse un campionato di C1 con la maglia dei pitagorici Generoso Rossi, ex portiere anche di Padova e Lecce, un signor Rossi tra i pali che fu famoso per la squalifica per calcioscommesse forse più che per le mirabolanti prodezze in porta. Per lui 33 presenze in Calabria alla fine dei ‘90. La storia di Bruno Rossi, invece, risale agli anni trenta e quaranta. Attaccante presente nella vittoria del campionato dell’Alta Italia dello Spezia (anzi dei Vigili del Fuoco Spezia Calcio) nel 1944, durante la Repubblica di Salò. Lo Spezia sfoggia sulla maglia la vittoria di questa gran pagliacciata di campionato fantoccio, come fantoccio era quello stato governato dai nazi-fascisti, ma tant’è, e il nostro signor Bruno Rossi, nato nel 1915, realizzava gol in quel momento e in quel contesto.

Il Torino, con Gianpaolo confermatissimo, continua la sua decadenza perdendo in casa contro l’Udinese, squadra tra le più in forma del campionato; una partita che i friulani hanno capito, trovando i ritmi giusti nei momenti giusti e riuscendo a stoccare con Nestorowski il gol del 3 a 2 definitivo. Il toro, altalenante nella proposta della partita, denota grandi carenze tecniche in mezzo al campo che non possono essere coperte sempre e solo da Belotti.

Un torinese e torinista DOC Ezio Rossi, stopper per 7 anni con la maglia granata negli anni ‘80, con quasi 150 presenze e qualche gol compresa la retrocessione in B dell’89, momenti tristi di un grande club, momenti così simili a quelli odierni. Federico Rossi, dal canto suo, si è fatto l’inizio degli anni ‘80 con l’Udinese di Zico; per un poco appariscente difensore tutto muscoli non era poco, bisogna dirla tutta. Un’ottantina di presenze e 3 gol in bianconero.

Un Inter dalle due facce con Eriksen in campo dal primo minuto e in svantaggio con il Cagliari (Sottil al volo con Handanovic obiettivamente sempre più fermo) recupera e ne fa tre con Barella nel più classico gol dell’ex, D’Ambrosio che toglie le castagne dal fuoco come il più classico dei caldarrostari e Lukaku solo solo in contropiede senza Cragno, spintosi in attacco dopo miracoli a profusione. Punti fondamentali per accorciare sulla vetta, soprattutto dopo l’ennesimo disastro europeo di Conte.

Bomber di categorie minori, piacentino girovago, Guerrino Rossi negli anni ‘60 faceva gol in serie C, ed un anno, proprio all’inizio di quel decennio, lo passò facendo 13 gol con il Cagliari arrivato poi secondo in classifica. Un classico numero 9 acquistato dalle squadre di C per centrare la promozione in B, per poi ritornare a lottare e sudare in terza serie. Sia per l’Inter che per la Lazio, che poi non riprenderemo, possiamo accomunare il mito del signor Rossi con la palla tra i piedi con una faccia, non a caso soprannominata “Truci”. Renzo Rossi nasce agli inizi degli anni ‘50 e pur non risultando un bomber memorabile, si gioca le sue carte con la faccia da pistolero sia all’Inter (con poche presenze ed un gol nel ‘75) che due anni dopo con 15 presenze e 4 gol alla Lazio, e sempre in serie A. Perfetto per uno spaghetti western, non ha mai giocato per più di 2 anni nella stessa squadra… mi viene da pensare per lo spavento dei compagni nel risvegliarsi in ritiro con quell’espressione accanto…

L’Atalanta, pur continuando a vivere con Gasperini e Gomez separati in casa, schianta una Fiorentina impresentabile che, se non cambia qualcosa nell’atteggiamento, rischia grosso anche proprio per la disabitudine dei suoi giocatori a lottare per salvarsi. Gosens, un gioiello su punizione di Malinowskyi e Toloi danno 3 punti agli orobici che raggiungono la Lazio componendo la coppia delle belle in coppa, indietro in campionato.

Ci sarebbe Gianpaolo Rossi, difensore che è stato tesserato per tutte e 2 le squadre tra gli anni ‘70 (Fiorentina) e gli anni ‘80 (Atalanta), ma che con i viola non ha giocato mai. Sette stagioni e più di 170 presenze invece in maglia neroazzurra, negli anni di Stromberg, Donadoni e Francis. Un pezzo di storia che lo ha visto anche vice allenatore della Dea negli anni ‘90. Ben più importante il nome e la qualità di Pepito Giuseppe Rossi, che associamo ai viola e al Parma; forse il più simile proprio a Pablito Rossi come giocatore, per la sua rapidità in area di rigore di cui ha dato sfoggio proprio nei 3 di Firenze, in quella di Parma (dove giocò anche 4 anni nel settore giovanile), più che altrove. Oggi ancora negli USA, Pepito Rossi è stato un vero talento inespresso per la raffica di infortuni e un momento storico non troppo propenso ai mini attaccanti d’area di rigore.

La migliore Roma dell’era Fonseca (insieme al peggior Bologna dell’era Mihajlovic) confezionano 45 minuti in cui la squadra di Fonseca avrebbe potuto segnare 8 gol, facendo sentire la pericolosità potenziale in ogni azione offensiva; i suoi mattatori, Spinazzola, Pellegrini, Dzeko e un alieno armeno di nome Enrico, hanno fatto a fettine un Bologna troppo brutto per essere vero.

Un altro portiere, un altro squalificato (stavolta per ben 5 anni) per calcioscommesse – quello dell’86 -, un’altra storia da raccontare nel mondo dei Rossi calciatori; Maurizio, classe ‘59, titolare nelle serie minori e sempre secondo o terzo in serie A è stato il secondo di un giovane Zinetti nel Bologna del 1980, con solo 2 presenze all’attivo. Faccia da pugile, dopo la squalifica si ritirò dal calcio giocato da calciatore del Pescara, sua ultima squadra in carriera. Visto che il signor Rossi della Roma è un calciatore minore (Dario, classe ‘74 9 presenze in tutto agli inizi degli anni ‘90), ci consentirete aggiungere una parentesi su un De… Rossi un filo più importante con qualche presenza e qualità in più. Daniele, fresco allenatore patentato, ha qualcosa nel cognome che per il nostro articolo non va bene al 100%, ma per la Roma è un’associazione impossibile da non proporre.

La Sampdoria continua a perdere, pur stando in partita praticamente sempre contro un Napoli che, a parte la prestazione contro la Roma, sembra balbettare un po’ sopratutto nella proposta offensiva. Va sotto per un contropiede ranieriano concretizzato da Jankto, poi recupera con due testatone, una da chi non te l’aspetti (Lozano), una da chi è stato preso proprio per quello (Petagna). Tre punti che portano il Napoli a crederci, a fa bene, il campionato di quest’anno padroni non ne ha.

Vale Rossitto? No, però volevo citare questo mediano incomprensibilmente amato da Sacchi e davvero con piedi di cobalto e gran cuore; cito lui perché a Napoli, di Rossi non ne risulta neanche uno. Per gli amanti dell’onomastica, in Campania il cognome Rossi di solito diventa Russo, ma questo è un esame mio dell’università che non interessa veramente a nessuno. Un terzino sinistro lungo lungo e un po’ goffo, con un piede educato ma non educatissimo, veloce ma non velocissimo, ha giocato nella Sampdoria di Eriksson, Gullit, Chiesa e tanti altri a metà anni ‘90. Marco il suo nome, ovviamente Rossi il cognome. Oggi che fa? E’ appena arrivato nono nella classifica dei migliori allenatori delle nazionali mondiali; ed ha portato agli europei la nazionale ungherese dopo aver vinto con il Videoton il campionato nazionale. Insomma, un signor SIGNOR Rossi.

La Juventus espugna Marassi con 2 rigori di Ronaldo e un gol alla Dybala di Dybala; il Genoa si è difeso con ordine senza neanche soffrire troppo, trovando il classico gol dell’ex su cross dell’ex frutto della coppia Pellegrini  – Sturaro.

Abbiamo già citato la Lazio stanca dopo gli impegni e i rischi di coppa che perde male in casa contro un Verona stellare per ritmo, idee e aggressività. Dopo l’autogol di Lazzari, il pareggio del solito Caicedo ed il gol di Tameze che, messo in attacco, sposta gli equilibri tattici della gara e la risolve pure.

Ed infine il terzino goleador Theo Hernandez recupera da solo una gara quasi segnata, quella del Milan contro un Parma in crescita ed andato addirittura sopra di 2 gol, con i gol di Hernani e Kurtic, centrocampisti entrambi capaci di offendere e realizzare.

Prima di chiudere con le tre squadre della nostra serie A in cui Paolo Rossi ha giocato, ci manca un altro Marco Rossi, quello amatissimo dalla curva genoana; 10 stagioni in rossoblù, capitano del Genoa di Gasperini, gran corridore di fascia e più di 200 presenze con il Grifone, oggi General Manager della società di Preziosi, bandiera importante dell’ultimo ventennio ligure sponda Grifo.

E poi c’è il nostro Paolo, scomparso veramente troppo giovane, che senza avere muscoli, senza essere troppo alto, senza avere una tecnica da fuoriclasse (ma molto buona eh), senza essere un gran colpitore di testa è stato il centravanti più amato da un’intera generazione, amato poi da praticamente tutti gli italiani nonostante la sua carriera di club sia associata ad una squadra non proprio amata da tutti; un sorriso sbilenco, una cadenza toscana ma non troppo, la capacità di non affascinarmi mai durante il suo periodo di opinionista TV, ma senza essere banale né ridondante. Un pallone d’oro “collettivo” vinto per quel Mondiale e le vittorie della Juventus degli inizi degli anni ‘80, molti ma non moltissimi gol. Un vero e proprio signor Rossi, normale e speciale allo stesso tempo.

Oltre alla Juventus (138 partite e 44 gol in tutte le competizioni, 2 scudetti vinti, 1 coppa Italia, 1 coppa dei Campioni, 1 Coppa delle Coppe, 1 Supercoppa Europea), ricordiamo per concludere la rassegna con il meritato protagonista, 26 presenze e 3 gol con il Milan di Liedholm e del neo presidente Berlusconi con pochi guizzi e la chiusura della carriera a Verona con l’Hellas nel 1987 con 27 presenze globali e 7 gol, in coppia d’attacco con Elkjaer, tandem da quarto posto finale.

Ma per salutare il bomber di Spagna 1982 non possiamo non ricordare anche gli inizi sfavillanti di Vicenza in cui segnava a raffica (epico e forse irripetibile il secondo posto in A nel 1978 con i suoi 24 gol) e la stagione da settimo posto con il Perugia nel 1980 con altre 13 realizzazioni.

Poi i momenti bui della squalifica, il ritorno di fiamma in nazionale, la realizzazione del 45 giri come cantante con la canzone “Domenica, alle tre”, la candidatura alle europee con la parte sbagliata nel 1999, quella alla presidenza della Lega Pallavolo senza successo; insomma, di Rossi ce ne sono stati, ce ne sono e ce ne saranno, ma di Paolo “Pablito” Rossi sicuramente no.

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