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Per il ritorno degli eroi pro re publica


18 Dic , 2020|
| Visioni

Ha senso ai giorni nostri invocare il ritorno degli eroi, degli eroi autentici, di quegli exempla virtutis che la teoria del repubblicanesimo classico postula come indispensabili per l’implementazione del civismo, di cui certo oggi abbiamo assoluto bisogno? È un interrogativo che ha di recente proposto Giorgio Zanchini a “Radio anch’io”: l’occasione è stata offerta dal centenario della nascita di Salvo D’Acquisto. Si è così provato ad individuare il significato dell’eroismo nella nostra contemporaneità concludendo che l’eroe autentico oggi dovrebbe essere piuttosto un testimone e un artefice della solidarietà data agli altri, a cominciare da quelli che ci sono più vicini. Appunto come Salvo D’Acquisto, che si è sacrificato per la sua gente il 23 settembre 1943, assumendo una colpa che non aveva e offrendosi come martire alla rappresaglia nazista.

In effetti è su questa dedizione, talora assoluta, su questa disposizione d’animo, che si fonda una repubblica. Non ne può fare a meno perché in essa non vi sono sudditi, ma cittadini eguali e in posizione di reciproca mutualità: se questa dimensione comunitaria si intiepidisce e declina, la repubblica si corrompe e il prevalere dell’egoismo, dell’interesse particolare la trasforma in una oligarchia. Così, sottolineava Marc Augé, in una repubblica “siamo tutti condannati all’eroismo o, più esattamente, possiamo scegliere soltanto tra eroismo e inesistenza”.

In questa forma politica ontologicamente altruistica, dove dovrebbero aver campo la virtù civile e la primazia dell’interesse comune, l’eroe popolare è una figura “costituzionale” e la sua azione è necessaria, specie in situazioni drammatiche, per far insorgere lo spirito di emulazione in altri altrimenti passivi. Aveva forse torto Rousseau quando ammoniva, per generare consapevolezza nei repubblicani, che la repubblica è più adatta ad un popolo di dèi che ad un popolo di uomini? Ma esiste ancora ai giorni nostri l’eroismo autentico? Alla Salvo D’Acquisto?

Nel corso del Novecento si è assistito ad un progressivo impoverimento di figure eroiche, che ha portato alla perdita di significato del concetto stesso di eroe. Ora tendiamo a celebrare uomini e donne che solo all’apparenza possono sembrare eroici, ma il cui sacrificio è piuttosto il risultato di un atto di barbarie o la conseguenza di sfortunate circostanze, non però di un agere deliberatamente oblativo. Vero che riteniamo la dignità appartenere ad ogni uomo proprio in quanto uomo, in quanto essere umano, indipendentemente quindi dalla sua condotta. Ma dovrebbe anche riconoscersi che l’uomo degno, in una repubblica, è prima di ogni altro il cittadino ottemperante, virtuoso, altruista, che sia in grado, attraverso l’impegno quotidiano, di apportare del bene agli altri.

La linea è, a ben vedere, additata anche dall’art. 59 della Costituzione, dove si prevede la nomina, da parte del Presidente della Repubblica, di cinque senatori a vita, scelti tra quei cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

Vi è però da domandarsi se questo criterio sia stato sempre seguito da parte dei Presidenti, perché l’impressione è che negli ultimi anni lo spessore sia diminuito. Il che non è poi tanto indifferente perché scelte inadeguate possono creare confusione nei cittadini, che si attenderebbero il riconoscimento della dedizione verso la Repubblica e i suoi cittadini più che alla testimonianza di vicende in cui è difficile riscontrare condotte direttamente funzionali al bene della comunità generale.

Oggi, però, siamo pronti ad attribuire, se non la patente di eroe, il riconoscimento di valore a uomini e donne che veramente non hanno fatto nulla per la comunità; oppure ad esaltare i campioni dello sport, i protagonisti dello spettacolo, gli influencers alla moda. Spunta, piuttosto, almeno in certi apprezzamenti, il desiderio di una certa massa di evadere dai doveri pubblici, pronta ad atomizzarsi e a scindersi in tanti individui che, manovrati dagli interessi economici, sono disposti solo a godere e consumare, mai o quasi a dare veramente.

Per uscire da questa situazione, ormai radicata, sarebbe necessario un cambio di prospettiva e tornare a distinguere tra buoni e cattivi cittadini, tra cittadini adempienti ai loro doveri e gli eroi che vanno oltre, per l’interesse comune. Il Presidente della Repubblica Napolitano non aveva torto quando, riferendosi alle interviste richieste da giornali e televisioni ad ex terroristi rei di omicidio, protestava che “no, non ci dovrebbero essere tribune per simili figuri”.  Occorre, invece, dare più spazio agli esempi di virtù se si vuol promuovere il civismo diffuso. Nei Discorsi sopra la prima deca Machiavelli evidenzia come Roma sia stata resa grande grazie alle azioni di uomini insigni. Dovremmo far così anche noi perché, come suggeriva Hermann Hesse, “la vita di un uomo puro e generoso è sempre una cosa sacra e miracolosa, da cui si sprigionano forze inaudite che operano anche in lontananza”. E sarebbe bene cominciare a riproporre l’iconografia pubblica delle virtù civili. Nel Cinquecento a Padova si affrescava l’odierna Sala dei Giganti o degli eroi per rendere a tutti evidente l’importanza del valore, del coraggio, della giustizia e del buon governo. Domandiamoci allora perché agli inizi degli anni 2000 i cittadini di Cincinnati, in Ohio, abbiano voluto collocare, nel parco pubblico, la statua di Cincinnato mentre abbandona i fasci con le scuri per tornare umilmente all’aratro. Riflettiamo sulle ragioni per le quali Jean-Michel Blanquer, il Ministro francese dell’istruzione, intenda recuperare lo studio della tradizione classica nelle scuole e insistere sull’insegnamento dell’etica pubblica repubblicana. In un paese come la Francia, ossessionato dalla crisi del sistema scolastico, Blanquer è riuscito nel miracolo politico di ottenere un largo consenso tra gli insegnanti e le famiglie. La sua riforma, denominata “La scuola della fiducia”, ha introdotto una serie di novità. Il Ministro ha scelto di celebrare sia l’identità nazionale che l’appartenenza della Francia all’Unione Europea: ogni aula infatti esporrà non solo la bandiera francese ma anche quella europea, oltre al motto della Repubblica Francese e al testo dell’inno nazionale. Con l’ufficializzazione dell’istruzione obbligatoria a partire dai tre anni Blanquer ha voluto sottolineare che la Scuola dell’Infanzia non è un semplice asilo ma una vera e propria istituzione scolastica, il cui ruolo è fondamentale per lo sviluppo relazionale e cognitivo dei più piccoli, oltre che la prima vera esperienza di convivenza democratica. Il Ministro ha raccolto un grande consenso con la proposta dello sdoppiamento delle classi CP (la nostra primina) e CE1 (la prima vera e propria) in modo da ottenere classi con non più di 12 alunni, a vantaggio dei quartieri periferici e delle banlieu parigine. Questo consentirà di seguire meglio gli alunni nelle zone dove il livello sociale è più basso e gli immigrati sono più numerosi. Blanquer ha poi promosso l’insegnamento dell’arabo nelle scuole con l’obiettivo di metterlo al riparo da forze oscurantiste e da derive fondamentaliste. È diventato famoso per il bando dei cellulari nelle strutture scolastiche, da lui definito una “regola giusta che crea libertà”, un messaggio per la società intera. D’altra parte, a cosa serve l’educazione se non a renderci autonomi e dunque liberi? Blanquer non crede in un apprendimento esclusivamente in divenire: “più entriamo in un mondo in cui bisogna saper programmare un computer, più è interessante conoscere la storia latina o greca”. Egli sostiene che l’istruzione, l’arte e i saperi possano essere strumenti utili per costruire un’Europa della cultura. Con il suo patrocinio, oltre che con il contributo di prestigiose istituzioni dei due paesi, Gilles Pécout, rettore dell’Académie de Paris, ha dato vita a un gruppo di lavoro per programmare una stagione franco-italiana. “Non bisogna dimenticare che il latino è la base delle nostre due lingue e delle altre lingue romanze. Sarebbe un crimine far vacillare le nostre relazioni culturali” ha affermato il Ministro. Insomma, Blanquer è un fautore degli studi classici, convinto che soprattutto per i giovani esista una modernità delle lingue antiche: imparare latino e greco serve innanzitutto a costruire una cultura etica in funzione di educazione civica nazionale ed europea. La convinzione di fondo è che ci siano priorità nella nostra condotta da recuperare partendo dalla tradizione classica: perché la conoscenza, la dedizione, la solidarietà valgono più del successo mediatico, del protagonismo, delle cose, del denaro. Il recupero delle categorie etiche classiche è una tappa imprescindibile per la costruzione dell’ethos contemporaneo. Se vogliamo davvero diffondere il civismo autentico è necessario partire proprio dalla rivalutazione della classicità, che è poi il vero fondamento dell’etica repubblicana. La scuola pubblica deve impegnarsi in questa attività di orientamento: solo così potremmo sperare di avere cittadini migliori e meno corruzione, meno slealtà, meno aggressività e più autentico rispetto degli altri come dell’ambiente che ci circonda. Ricordiamoci che una politica manchevole eticamente non favorisce il benessere dell’umanità; al contrario un’esistenza priva di slancio verso la comunità non è nemmeno degna di essere considerata autenticamente civile.

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