IL 2020 è prossimo alla fine, ma non prossimi alla fine sono i problemi che lo hanno visto assurgere al primato di un anno funesto e che ha sconvolto tutti i paesi del mondo sul piano sanitario, economico e sociale.
Così, arriviamo al Natale in un fluttuare ondivago e in uno stato di prostrazione psicologica dove a smarrimento e rassegnazione si mescolano incredulità e perplessità. C’è chi ha insistito nel negare la gravità stessa del virus invocando improbabili e incomprensibili complotti e chi si è da mesi autorecluso quasi come un eremita (un lusso evidentemente per pochi o legato a capacità organizzative cui pochi possono assurgere), chi invece è costretto a correre quotidianamente pericoli per sè e per i propri cari nel tentare di sbarcare il lunario e chi ormai ha addirittura anestetizzato la paura del contagio (come fanno i malati terminali che rimuovono l’idea stessa della gravità della loro malattia) .
Ovvio perciò che la pandemia domini prepotentemente le pagine dei giornali italiani e in sostanza tutti i talk show. Tuttavia ci sono molte questioni internazionali aperte che vanno ad incidere negli equilibri geopolitici delle regioni più delicate del mondo e che ci coinvolgono. Questioni che se messe in relazione una con le altre mettono in evidenza scenari di grande fermento. Vediamone alcune che riguardano direttamente o indirettamente il bacino del Mediterraneo.
Diceva Fenand Braudel che “il Mediterraneo è mille cose insieme. Non un passaggio, ma innumerevoli passaggi. Non un mare ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà ma un susseguirsi di civiltà accatastate le une sulle altre”. Un bacino strategico, una scacchiera dove si sono sovrapposte nella storia e continuano a sovrapporsi le vicende delle più grandi potenze.
Tra queste, proprio per vicinanza al nostro paese e al nostro continente, delicato è il dossier relativo ai rapporti travagliati tra Unione Europea e Turchia. Erdogan – lo spiega bene Elia Valori nel suo articolo uscito il 17 dicembre scorso su IsraelDefence- si è mosso con un aggressivo attivismo senza scrupoli dal bacino del Mediterraneo alla Libia e dalla Siria al Nagorno-Karaback. Il “califfo” non sembra preoccupato di farsi nemici importanti né di sembrar allontanarsi dalla Nato. Lo afferma con forza il quotidiano tedesco Handelsblatt che definisce la Turchia un ostacolo chiave al raggiungimento degli obbiettivi della Nato per il prossimo decennio.
Gli Usa minacciano sanzioni alla Turchia avendo mal digerito il fatto che abbiano comprato dalla Russia sistemi di difesa antiaerea.
Erdogan si muove con una grande disinvoltura specie dopo lo “strano” colpo di stato fallito nel 2016 e la conseguente dura repressione con condanne all’ergastolo di avvocati, giornalisti, militari, giudici, uomini d’affari.Si espande con prepotenza nel Mare Nostrum ( è la sua “nuova” visione imperialista di “Mari Vatan” – cioè Patria Blu).
La Turchia di Erdogan ha sistematicamente violato i diritti umani , le forze armate turche hanno pattugliato sostanzialmente indisturbate le acque al largo di Cipro , hanno sorvolato con i propri velivoli militari lo spazio aereo greco nel Mar Egeo orientale. Erdogan è chiaro che da un lato vuole il gas e dall’altro vuol vedersi riconoscere maggior spazio di manovra nelle acque avendo la Turchia 1.700 km di costa e praticamente un accesso al mare bloccato. Tiepide sono state le reazioni della diplomazia Ue, da una parte comprensibilmente distratta dalla pandemia e dal dossier Brexit e dall’altra perché la Turchia è un importante partner commerciale della Germania ed è pure un partner di rilievo del nostro paese. Ne consegue che Germania, Italia, Spagna , Malta e Ungheria propendono per un atteggiamento sanzionatorio “soft” rispetto all’intransigenza propugnata da Francia, Cipro, Grecia, Slovacchia, Slovenia ed Austria.
Di questi giorni degno di nota è un altro segnale sulla visione strategica turca : la ripresa delle relazioni con Israele che si erano drasticamente interrotte nel 2010 all’indomani dell’invio da parte turca di armi e cibo alla enclave palestinese al largo della costa di Gaza . La Turchia era stata per molti anni l’unico paese mussulmano che aveva riconosciuto Israele sin dal 1949.
Questo mutato atteggiamento probabilmente si può ascrivere alla incidenza della Presidenza Trump nei nuovi equilibri in medio oriente. Vedremo cosa farà Biden.
Tutti i media hanno invece dato grande risalto alla buona notizia della liberazione dei nostri 13 pescatori di Mazzara del Vallo che erano stati incarcerati dalle milizie di Haftar. Siamo ovviamente tutti contenti della loro scarcerazione e partecipiamo alla gioia dei famigliari che hanno potuto riabbracciare i propri cari dopo tanti mesi di angoscia. Non conosciamo gli accordi intercorsi per la loro liberazione. Certo è che Conte e Di Maio sono corsi entrambi a Bengasi il che potrebbe suonare anche come una legittimazione del ruolo di Haftar e i simboli, si sa in terre come la Libia, hanno il loro peso. Ci sono voluti più di tre mesi per riavere i nostri concittadini liberi mentre i turchi sono riusciti a far rilasciare in soli 6 giorni una loro nave catturata dalle motovedette dello stesso Haftar.
Un altro dossier cui i media hanno accennato di sfuggita è quanto accade nel Corno d’Africa e precisamente nel Tigray dove è in atto una sorta di pulizia etnica, una vera catastrofe umanitaria con migliaia di profughi che si sono riversati verso il Sudan. L’Etiopia parla di questioni interne, ma ad una analisi attenta le cose sono molto più delicate e serie posto che riguardano l’Africa ed il mondo intero. Quello che sta accadendo mette in risalto alcuni ritardi dell’Europa che in Africa sembra più preoccupata e concentrata sul problema della regolamentazione dei flussi migratori. La questione a taluni potrebbe sembrare lontana, ma tale non è come ha osservato il Vice ministro Mario Giro nella sua intervista rilasciata a Francesco De Palo su Formiche.net. Infatti al di là della grave questione umanitaria in terre che conosciamo bene e a cui siamo legati, il conflitto potrebbe avere indirette ripercussioni sull’area mediterranea attraverso il Mar Rosso dato che il Tigray vi dista solo 100 km e si trova lungo la direttrice della via della seta. Se una volta era un mare che ci interessava solo per via del Canale di Suez, adesso, dopo l’ingresso dei Russi si assiste ad una sorta di complicatissimo scacchiere che alla fine arriva sino al Mediterraneo orientale, e allora ci riguarda molto più da vicino. E del resto la posta in gioco la si capisce guardando la mappa e puntando lo sguardo su quel piccolo stato il Gibuti che controlla lo stretto di Bab Al-Mandab, porta meridionale del Mar Rosso a due passi dal Tigray. Ed è a Gibuti che la Cina ha stabilito la sua unica base militare fuori dal suo territorio. Un avamposto strategico dove già francesi e americani sono presenti.
Infine un altro dossier cui si accenna poco è quello degli Uiguri. Il nostro paese ha importanti rapporti commerciali con la Cina. Il Mediterraneo è strategico punto di partenza e di arrivo della Via della Seta.
“l’Italia, dovrebbe battere un colpo!”, questo è l’appello di Anna Maria Cossiga. La minoranza etnica di lingua turcomanna e di religione musulmana che vive nella parte nord –occidentale della Cina sta subendo un vero e proprio tentativo di “sostituzione etnica” sin dagli anni ’50. Pechino sta provvedendo al loro internamento, in palese violazione dei diritti umani, “giustificando” il proprio contegno contestando agli Uiguri di essere dei separatisti e dei terroristi. Ci sono forti sospetti sul ruolo del più importante colosso cinese delle telecomunicazione che avrebbe addirittura creato un sistema di sorveglianza digitale e quindi persecuzione di questa minoranza. Vi è che più di mezzo milione di Uiguri sono comunque costretti a lavorare nelle piantagioni di cotone dello Xinjiang, snodo fondamentale della Via della Seta. La regione dello Xinjiang produce più del 20% del cotone mondiale e l’84% di quello cinese. La Corte penale internazionale ha affermato di non avere giurisdizione per indagare sulle accuse di crimini contro l’umanità e genocidio non avendo la Cina mai ammesso nella regione osservatori internazionali. Per adesso soltanto gli Usa hanno dato con forza risalto alla questione. Anche questo dossier è molto delicato perché in gioco ci sono valori come la vita e la dignità umana che si scontrano con gli interessi di almeno 80 grandi marchi internazionali, secondo quanto afferma un rapporto del think tank ASPI (Australian Strategic Policy Institute) dal titolo che suona come un grido d’allarme: “Uiguri in vendita”!
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