Dirò cose spiacevoli e me ne dolgo. Non è mia intenzione manifestare un’opinione, la mia, in sé irrilevante. Voglio prender posizione come cittadino per i miei concittadini sui quali si abbattono le conseguenze nefaste di una somma di errori commessi dai nostri dirigenti politici in questo tempo pandemico. Ad oggi (17 dicembre) l’Italia ha patito quasi 68.000 decessi per infezione da Covid-19. Qui, però, ragionerò specialmente sulla seconda metà dell’anno, quella che ci ha immesso nel dramma della cosiddetta seconda ondata: vediamo allora qualche dato.
Il 14 dicembre, alle ore 23, inopinatamente la televisione di Stato (RaiNews24) prendeva coraggio e squarciava il velo: agli italiani (credo pochi a quell’ora e in quel canale) veniva somministrata una tabella che il conduttore commentava insieme a Luca Ricolfi. Tra i paesi europei l’Italia registra il tasso di letalità più elevato. Inoltre annovera in assoluto il più alto numero di sanitari deceduti per Covid-19 (262, contro i 70 della Spagna, i 50 della Francia, i 36 dell’Inghilterra, i 22 della Germania). In quella tabella vi era un altro dato significativo: non pochi Paesi sono riusciti a fronteggiare in maniera soddisfacente la seconda ondata – notoriamente attesa e per questo adeguatamente affrontata – e taluni l’hanno anche contenuta alquanto. Ma l’Italia non è, purtroppo, tra questi, anche perché si è consentito che circolassero narrazioni fuorvianti (il virus depotenziato o quasi scomparso) che hanno liberato l’immaginario collettivo dall’angoscia regalando l’illusione del ritorno alla normalità.
Ancora la televisione di Stato (ancora RaiNews24), alle 23 del 16 dicembre, proponeva una rapida intervista a Mario Tozzi chiedendogli, tra l’altro, quali cause potessero essere alla base di questi tristi primati. La risposta, secca e sintetica, è che i dirigenti italiani, nazionali e regionali, hanno ignorato o, almeno, sottovalutato i dati scientifici, tra cui quelli che indicano come luoghi di elezione dei contagi i bar, i ristoranti e gli alberghi. I dati scientifici sono quelli pubblicati su Nature ed elaborati dai ricercatori dell’Università di Stanford: li avevo portati all’attenzione dei lettori de La Fionda in un precedente articolo (Il bel Paese ecc. del 5 dicembre). La conseguenza è l’inadeguatezza della zona gialla, nella quale praticamente tutto resta aperto: il Veneto, con i contagi e i decessi che in queste settimane registra, ne è la conferma, specie se si raffrontano i dati veneti con quelli delle Regioni passate per la zona rossa. Ma era facile prevedere che sarebbe andata così e ciò non potrà non essere considerato e valutato: ci torneremo tra un attimo.
In questi giorni i nostri dirigenti manifestano preoccupazione e, magari, negli interna corporis, qualcuno è anche angosciato: problemi di coscienza o, anche, timore per quel che potrebbe succedere. Mai, però, il coraggio di dire che si è sbagliato; e, con il virus che si fa fatica a controllare o che è fuori controllo (in Veneto), i dirigenti, parecchi, se la prendono con i cittadini, incautissimi, che vanno a bar, ristoranti, negozi, per consumare e comprare. Ma chi ha autorizzato, anzi incoraggiato, questi movimenti pre-natalizi? Chi aveva giustificato l’arlecchinata delle fasce colorate promettendo che così avremmo avuto un dicembre “con predisposizione d’animo serena”? Toh, il Presidente del Consiglio. Chi si era lagnato che a Natale “se spegniamo lo sci spegniamo la montagna”? Toh, il Presidente della Regione Veneto. Chi aveva rassicurato che “la scuola non è un pericolo”? Toh, il Coordinatore del Comitato tecnico scientifico. E l’opposizione? Tutta aperturista, contro il coprifuoco e le limitazioni delle libertà personali. Però, occorre ricordare a qualche giornalista confuso, che l’opposizione non decide. Potremmo anche dire e, anzi, dico: per fortuna! Ma la responsabilità resta di coloro che hanno il potere di prendere i provvedimenti adeguati (o che omettono di prenderli); non di chi non è ora sul ponte di comando.
In questi mesi i dirigenti sono stati in continua oscillazione: secondo un modulo che qualcuno ha denominato stop and go. Ma più che altro essi si sono astenuti dall’assumere le misure restrittive adeguate perché sono politicamente deboli o condizionati da certe associazioni di categoria. Qualcuno ben orientato, per la verità, vi è; e però non è riuscito a prevalere sugli altri, che guardavano ai sondaggi e ne erano determinati nell’azione. Agli interessi particolari, talora particolarissimi, dei ceti imprenditoriali si sono dimostrate abbastanza prone quasi tutte le Regioni: una scelta opportunistica, si capisce, perché questi ceti sono visibili e se ne può aver bisogno, mentre i cittadini sono percepiti, da chi ha il potere, come singuli, invisibili o quasi, incapaci comunque di far pressioni efficaci. I cittadini: nella loro maggioranza, impauriti, alienati, stravolti, esposti al virus, alle malattie (non solo l’infezione da Covid), alla sofferenza, alla morte. Dei cittadini, della massa, i governanti a tutti livelli non si sono tanto presi cura. Di fronte avevano le proteste dei gestori dei bar, dei ristoranti, dei negozi: proteste, intendiamo, comprensibilissime, ma che si sarebbero dovute contestualizzare, valutare in relazione all’emergenza pandemica che non tocca singole categorie ma l’universitas civium, considerando seriamente i dati scientifici che avrebbero dovuto orientare. Ma lo stesso è da dire per la scuola rispetto alla quale il Governo ha assunto, dopo che essa era stata dimenticata da decenni, un atteggiamento inopinatamente fideistico, facendone il totem della volontà di resistenza, di riscatto, di ripresa di tutto il Paese, dunque strumentalizzandola. E il Ministro, il Ministro che ha troppo spesso parlato un linguaggio irreale e disposto strategie inconsistenti e/o inefficaci, senza ricercare alcuna ragionevole mediazione tra il diritto allo studio e un’organizzazione e una logistica molto carenti e di cui non si poteva non tener conto.
Così siamo in piena seconda ondata ed è altamente probabile una terza: con i nostri ospedali in sovraccarico, e di più, il cui personale sanitario si è visto accollare il compito di dare una risposta, l’ultima, da parte di uno Stato e delle sue tante Regioni che hanno operato, di massima, improvvidamente. Forse, Stato e Regioni, se si preferisce pezzi di Stato e parecchie Regioni, hanno preferito correre il rischio che, poi, nei fatti lo han corso i cittadini che troppo spesso hanno perso la partita.
Però molti errori, talora le bugie o, almeno, i tatticismi di copertura, sono documentati: dichiarazioni o notifiche pubbliche di decisioni, prese chissà come o dove, ci vengono restituite nella loro effettività, tutte datate, attraverso i filmati accessibili dal web. Sono, certamente saranno, da rivedere e da meditare: metterli in sequenza introdurrà alla valutazione di molti di coloro che ora sono sul ponte di comando. La difficoltà dei dirigenti emerge qua e là: magari attraverso l’invocazione di provvedimenti riparatori (la zona rossa …) osteggiati fino a qualche giorno fa.
Varie ragioni hanno condotto, nel nostro Paese, a un’impunità diffusa e allo stesso giustificazionismo avvertito come una disposizione comunemente dovuta in conseguenza della complessità della società contemporanea. C’è una convenzione non scritta tra gli organi dell’informazione pubblica: non coltivare, se non in casi particolari (e selezionati per partigianeria politica), inchieste che non lasciano scampo, tanto più che costano impegno ed esigono coraggio nella promozione (e che così è opportuno non coltivare). Ma i fatti pandemici evocano ineludibilmente la responsabilità di parecchi fra i nostri dirigenti politici. Chi, poi, dalle Regioni invocava l’autonomia proprio per fondare la responsabilità avrà ora un’occasione perfetta per affrontare il tema della propria responsabilità.
Usciti da questa pandemia o, meglio, già ora, le Procure della Repubblica dovrebbero srotolare il lungo rotolo di questa tragica vicenda; e, se fossero accertate delle colpe, che seguano le condanne. Sissignori, il diritto è anche sanzione: cerchiamo di non scordarlo.
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