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Il “momento Commodo” dell’impero americano
“Per fare un paragone, potremmo dire che l’Impero Americano è entrato nel momento Commodo/Massimino il Trace”: nel convulso tourbillon di messaggi, opinioni e analisi che sono circolati di fronte alle immagini dell’assalto al Campidoglio di Washington chi scrive è rimasto particolarmente colpito da questa considerazione espressagli del preparato analista, e amico personale, Amedeo Maddaluno. L’America, “Quarta Roma” e potenza imperiale più autentica dell’età contemporanea, è entrata nella fase di convulsione dell’anarchia interna e dalla conflittualità tra le sue anime? L’Armata Brancaleone di fanatici di QAnon, Proud Boys e esagitati che ha provato ad espugnare il Campidoglio di Washington in una confusa azione al termine della quale quattro persone sono rimaste uccise hanno, parafrasando Marx, unito farsa e tragedia.
Un epilogo inevitabile, come non poteva essere altrimenti in questa fase esagitata. A trent’anni dai baldanzosi proclami sulla “fine della storia”, sulla vittoria del suo modello e sul tronfio e baldanzoso avanzamento dell’American Way of Life i dolori di una fragile superpotenza si fanno sentire più che mai. L’incedere della globalizzazione di matrice americana ha imposto a buona parte del Paese il faustiano baratto tra progresso politico e incertezza economica (sotto forma di deindustrializzazione di vaste parti del Paese, recesso produttivo, disuguaglianze). L’Undici settembre e le sue conseguenze, le guerre infinite del Medio Oriente, la grande crisi e una dialettica politica che ha portato, dal 2008 al 2016, al potere i presidenti più divisivi della storia recente del Paese (Barack Obama e Donald Trump) hanno aggiunto caos a caos. Alimentando nel ventre della società americana quel disagio profondo e quell’ansia sul futuro che la pandemia e la sua scriteriata gestione non hanno fatto altro che accelerare.
Le statistiche sulle vittime del virus e sulle fasce di popolazione più colpite dalla crisi indicano come “perdenti” più svantaggiati le categorie già ai margini dell’American Dream: i disoccupati cronici, gli esclusi del sistema, gli abitanti delle periferie, in molti casi membri della popolazione afroamericana, costituiscono una massa letteralmente confinata al di fuori del modello celebrato dall’American Dream, con le sue scintillanti promesse di realizzazione individuale, ascesa sociale, stabilità economica, progresso continuo. Un mito che, anno dopo, anno, vede gli esclusi crescere in numero in tutti gli Stati Uniti: in Stati progressisti come il Minnesota e l’Illinois così come nelle roccaforti conservatrici quali il Texas, nelle metropoli e nella periferia.
John Steinbeck, nel suo romanzo Furore, ha narrato la disperazione e lo spaesamento degli sconfitti della Grande Depressione. I fatti di Minneapolis, le proteste massicce seguite alla morte di George Floyd, il caos urbano strisciante sono stati, a metà 2020, gli inneschi di una nuova divaricazione sociale, una nuova spaccatura profonda che nel contestato voto del 3 novembre scorso è diventata un vero e proprio abisso.
L’assalto al Campidoglio è l’inevitabile epilogo di un appuntamento elettorale che, comunque fosse andato a finire, preparava uno showdown del genere: con l’America politica in armi contro sé stessa e una spaccatura tutto sommato simmetrica tra i sostenitori di Trump, che tra il 2016 e oggi ha aumentato i suoi consensi di milioni di unità, e quelli dello sfidante Joe Biden alimentata da continui sospetti di brogli e inganni è chiaro che le frange oltranziste della parte sconfitta alle urne avrebbero tentato il tutto per tutto. E qui veniamo all’azzeccata definizione di Maddaluno: cosa furono l’era di instabilità dell’Impero romano e quella dell’anarchia militare se non la fase in cui più che nel passato le regole della convivenza civile, politica e umana della Res Publica vennero meno, in cui la giustizia sommaria fu elevata a elemento decisivo nell’agone istituzionale, in cui più che mai lo Stato sembrava sfaldarsi in tribù in guerra tra di loro? I corsi e i ricorsi storici non mancano di interessare le grandi potenze imperiali. E per gli Usa, come per Roma, l’apertura di una fase incendiaria sul fronte interno non coinciderebbe con l’inizio del declino, ma con la sua inesorabile accelerazione.
Lo stesso Maddaluno, su Osservatorio Globalizzazione, non ha mancato di sottolineare come le faglie interne potessero essere il fattore decisivo nel garantire un ridimensionamento delle prospettive globali di una nazione capace a lungo di ergersi come egemone globale in ambito economico, tecnologico, militare:
“Tendiamo a definire le sfide all’egemonia americana nel XXI secolo come completamente esterne all’area geopolitica statunitense, immaginando la prima potenza mondiale come un blocco geopolitico e sociale omogeneo: esse sono sempre considerate di natura economica o finanziaria (sfida al Dollaro, sfida al controllo delle materie prime delle quali pure l’America è immensa riserva), di natura militare (sfida cinese) o sì di natura geopolitica ma prettamente esterna all’area americana (sfida dell’Eurasia unita, sfida dell’Africa cinese). Apprezzarne le contraddizioni sociali e persino le faglie geopolitiche interne ci porta meglio a comprendere come le istanze che gli Stati Uniti d’America dovranno e già devono affrontare siano di natura estremamente più sfaccettata”.
Tribù politiche, sociali ed etniche in perenne conflitto tra loro; istanze sociali incomunicabili tra città metropolitane e periferia profonda; aumento delle problematiche sociali più tossichecome l’impennata delle “morti per disperazione” (overdose, alcolismo, suicidio) fino a un livello quasi epidemico negli anni più recenti; diffusione serpeggiante di millenarismi, complotti ogni giorno più strampalati (la ciliegina sulla torta è quella del complotto tra Matteo Renzi, Leonardo-Finmeccanica e il generale Claudio Graziano per influenzare a favore dei democratici i ballottaggi in Georgia) e sette religiose estremiste; assenza di prospettive, povertà endemica e corsa del Covid. Il lungo e doloroso elenco delle sofferenze degli Stati Uniti non accenna ad esaurirsi, e l’era Biden si apre con la necessità di capire che difficilmente la politica potrà, data la tensione presente, sanarle in tempo breve. Democratici e Repubblicani saranno chiamati a un grande sforzo di concordia nazionale: la tragica farsa del 6 gennaio deve segnare un non plus ultra, altrimenti il destino inevitabile per gli Usa è la diffusione di un clima da latente guerra civile. Dai Boogaloo Boys ai teppisti di strada, in America c’è chi non attende altro che appiccare le fiamme di un conflitto senza precedenti per la società americana. I cui leader devono, come ha detto a giugno il conduttore Tucker Carlson, identificare quanto prima i piromanie frenarne l’istinto distruttore.
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