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Il modello cinese contro la pandemia
La pandemia di Covid-19 ha causato non solo vittime ma anche un disastro economico paragonabile a quello di un conflitto mondiale. Per ironia degli eventi proprio il paese da cui è originata la crisi, la Cina, sarà l’unica delle grandi economie a non andare in recessione, come mostrano i dati economici del terzo trimestre del 2019 con un +4,9% e un +0,7% su base annua. Grazie alla crisi la Cina ha ridotto la distanza dalla prima economia del mondo, gli USA, e infatti si prevede un sorpasso in tempi più brevi del previsto. La differenza di gestione della crisi ha giocato e soprattutto giocherà un ruolo fondamentale nel futuro e l’aumento dell’export cinese mostra che nonostante tutto la fabbrica del mondo resterà ancora a lungo la Cina.
La ripresa veloce dell’economia è stata possibile perché in Cina la pandemia è stata controllata in tempi relativamente brevi e salvo focolai sporadici e casi importati dall’esterno non si ha più una significativa circolazione del virus. Nonostante questo comunque il virus è sempre in agguato e Pechino non ha mai abbassato la guardia reagendo con grande determinazione e velocità all’apparire di ogni potenziale focolaio epidemico.
Cosa è successo e cosa ha creato questa disparità di condizioni tra il paese da cui è originata la pandemia e quelli che l’hanno subita? Tralasciando le polemiche e recriminazioni sui ritardi e le reticenze con le quali la Cina ha inizialmente affrontato la crisi, è importante capire quali sono le misure prese, se ve ne sono state, che hanno fatto la differenza. Al diffondersi dell’epidemia l’Italia ha scelto di seguire il modello Wuhan e mettere in quarantena prima le zone più colpite dal virus e poi l’intero paese. È stata una misura senza precedenti che ha rivelato però la sua efficacia. Non è stata una quarantena così rigida come quella messa in atto a Wuhan, ma ha permesso comunque di riportare la diffusione della pandemia sotto controllo. A questo punto però il modello cinese non è stato più seguito.
La Cina dopo essere riuscita a tenere sotto controllo l’epidemia al suo interno, contenendo il focolaio principale, ha sigillato ermeticamente le frontiere. Non è stato più possibile entrare o uscire senza un rigidissimo controllo che imponesse tampone e quarantena. La chiusura delle frontiere è stata applicata con estremo rigore e mai mitigata.
La seconda misura presa è stata quella di perseguire una politica di zero contagi. Mentre in Italia il numero di contagi non si è mai veramente azzerato anche se era stato ridotto notevolmente, in Cina è stata data la caccia a ogni possibile singolo caso. A Wuhan è stata tracciata tutta la popolazione con uno screening di massa per individuare tutti le persone che potessero essere ancora contagiate. Il tracciamento di massa è diventata una delle tecniche utilizzate per individuare e spegnere rapidamente i focolai d’infezione. Questa tecnica è stata ripetuta a Qingdao per soli 12 casi di infezioni “importate” da coronavirus. L’intera popolazione di circa 12 milioni di persone è stata tracciata in 5 giorni. Il metodo è indubbiamente efficace ma pensare di poterlo replicare anche nei paesi più avanzati è poco realistico. La Cina infatti gode di un enorme vantaggio dovuto alla capacità di mettere in campo enormi risorse, sia finanziarie che umane, in tempi molto rapidi. Non si può applicare lo stesso metodo se non si dispone dei materiali per i tamponi o del personale per testare in pochi giorni milioni di persone.
Altra misura immediatamente adottata è stata quella del tracciamento dei contagi. In questo la Cina è stata favorita dall’elevato livello di diffusione delle tecnologie e di applicazioni popolari come Wechat e Alipay, utilizzate praticamente da tutti. L’utilizzo dell’app Healthy Code e dei dati degli spostamenti raccolti dalle compagnie telefoniche hanno permesso di identificare la potenziale contagiosità di ogni persona attraverso un QR code. Il codice a tre colori, verde, rosso e giallo determina il profilo di rischio del singolo individuo. Il codice deve essere scansionato prima di utilizzare i trasporti pubblici o entrare in un ristorante. L’app ha funzionato piuttosto bene, e unito all’elevato grado di controllo sociale è stato uno strumento efficace per il contenimento della diffusione della pandemia.
Un altro fattore molto importante è stato quello di essere riusciti sin dall’inizio a mantenere il contagio all’interno di un’area ben definita anche se relativamente estesa come è quella di una provincia cinese. Questo ha permesso di poter spostare nella zona dell’emergenza medici, infermieri e risorse dalle altre regioni, come truppe di riserva che possono essere messe in campo dove e quando servono. La stessa cosa è accaduta in Italia anche nella prima ondata, sostanzialmente confinata nel nord Italia. Nella seconda ondata epidemica, diffusasi in modo praticamente omogeneo in tutto il paese non è stato più possibile utilizzare le zone franche come seconda linea di difesa e il sistema sanitario è entrato in crisi.
Le misure prese da Pechino ci suggeriscono che la misura da prendere a fine giugno era probabilmente quella di chiudere ermeticamente le frontiere, e non permettere ingressi e partenze se non attraverso un sistema rigido di tracciamento e quarantena. Allo stesso tempo, se il metodo cinese fosse stato utilizzato come modello, avremmo dovuto eseguire tamponi di massa nelle aree in cui erano ancora presenti dei focolai e quindi portare a zero l’epidemia.
Un altro fattore importante è stato l’utilizzo sin dall’inizio dei sistemi di protezione individuale su larga scala e senza eccezioni. La popolazione ha risposto in modo ordinato e senza che vi fossero le obiezioni dei singoli sull’opportunità o utilità del loro uso. Non è stata una differenza da poco rispetto ad altri paesi, soprattutto rispetto a quelli dove i governi hanno tenuto un ambiguo atteggiamento tra negazionismo e populismo.
Il vantaggio di un governo autoritario nel prendere decisioni e farle rispettare dalla maggioranza assoluta della popolazione in questo caso è stato evidente. La quarantena è stata applicata in modo rigidissimo con metodi che per gli standard europei non esiteremmo a definire brutali.
Pechino non ha esitato a mostrare al mondo il suo successo nella lotta alla pandemia, paragonandolo ad altri paesi come gli Stati Uniti, dove al contrario il fallimento è evidente. Il sillogismo cinese è lotta alla pandemia efficiente – sistema politico o sociale migliore. È tuttavia un gioco pericoloso rivendicare una supposta superiorità del proprio sistema in funzione della lotta alla pandemia. Ricordiamo ancora il video che mostrava al mondo la bravura dell’Italia nella prima ondata o le affermazioni sul senso civico degli svedesi. Una pandemia di questa portata è un evento raro e incontrollabile, essere stato il centro da cui è partita la crisi per poi impartire lezioni al resto del mondo non è una buona forma di intelligenza relazionale e di diplomazia. La Cina grazie alle politiche di contenimento del virus può quindi uscire da questa emergenza mondiale con un potenziale vantaggio competitivo. Riuscire tuttavia a recuperare il capitale reputazionale che ha dissipato non sarà facile.
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