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Lettera aperta a Bagnai e Borghi
Carissimi,
ho votato per voi alle scorse elezioni politiche. Dovrei dire che ho votato per la Lega, e così è in effetti, ma non ho votato in cuor mio per Fontana o Zaia, tantomeno per Giorgetti e Salvini. Ho votato Lega perché voi due avete deciso di candidarvi con questo partito; come me, credo, hanno fatto tanti altri, difficile dire con precisione quanti. Non mi sono pentito della mia decisione, tutt’altro. Col passare del tempo, soprattutto dopo la nascita del Conte-bis, ho potuto constatare che amici di sinistra che non se l’erano sentita di compiere il passo e – nauseati dai funambolismi del Partito Democratico – avevano scelto di votare 5 Stelle, se ne sono poi amaramente pentiti.
Negli anni, ho imparato parecchio da uno di voi (Bagnai) e ho condiviso spesso il buon senso dell’altro (Borghi). Se esiste uno straccio di dibattito in Italia sul destino della democrazia in Italia e in Europa lo si deve a voi, non ai cialtroni che sproloquiano di continuo alla televisione, quando non dai banchi del governo. Ora mi rivolgo a voi, che ho scelto come miei rappresentanti in parlamento, per confessarvi la mia preoccupazione circa un possibile coinvolgimento della Lega, e dunque anche vostro, nel governo Draghi. L’operazione politica che è stata condotta fin qui mi sembra che abbia due obiettivi immediati: uno è sparigliare le carte a sinistra, facendo fuori in un colpo solo Conte e Zingaretti, che non avrebbero d’altronde né l’autorevolezza né abbastanza fegato per dare il via alla carneficina sociale che si prospetta all’orizzonte; l’altro, non meno importante, è screditare voi due, dimostrando more geometrico che non ci sono alternative a Massimo Giannini e che non si può più nutrire speranza nelle ultime scintille di democrazia che brillano in questo paese (democrazia che, ricordo agli amici che saranno scandalizzati dal mio coming out sul voto alla Lega, è fondata sul libero confronto di idee e argomenti, non sulla squalifica preconcetta di chi non la pensa alla stessa maniera). Sono preoccupato, dicevo, e lo sono ancor di più dopo aver ascoltato questo intervento in cui Borghi sostiene, tra le altre cose, che:
- Mattarella avrebbe convocato Draghi al Quirinale senza informare preventivamente nessun attore politico; se ne deduce, a parere di Borghi, che la situazione è più fluida, o potrebbe essere più fluida, di quanto molti ritengono. Draghi avrebbe infatti accettato con riserva, e forse con un certo imbarazzo, l’incarico senza la certezza di poter formare un governo, senza sapere con chi formarlo, e senza un progetto politico prestabilito.
- Draghi, da uomo di potere consumato qual è, uomo che ha occupato posizioni apicali ben più importanti della presidenza del consiglio italiana, potrebbe anche cedere alla tentazione di voler entrare in gloria nei libri di storia, guidando il suo paese fuori dalla palude e liberandolo dalla gabbia del vincolo esterno in nome dell’interesse nazionale; non è detto che lo faccia, dice Borghi, ma non si può nemmeno escluderlo a priori.
In questi tentennamenti, che tali appaiono –– direte voi – solo a chi ha scarsa dimestichezza con gli affari a palazzo, io – lo stordito – scorgo un pericolo non solo per voi, cari Borghi e Bagnai, ma anche per tutti coloro che, come me, si sono sin qui sentiti rappresentati da voi. Che Draghi sia tentato dalla gloria e che la vanità muova gli esseri umani è cosa su cui non si discute (salto la citazione colta). Il problema è capire a quale gloria aspiri Draghi. Qui, duole dirlo, la risposta è pressoché ovvia: dopo aver salvato l’euro una volta, Draghi è venuto a salvarlo una seconda, per passare alla storia come l’uomo della provvidenza europea. Perché mettiamo pure, per ipotesi, che adesso Draghi, in nome dell’interesse patrio, ponga in secondo piano la costruzione europea con tutto ciò che essa comporta (e quale Draghi stesso ha contributo a consolidare): in questo caso passerebbe alla storia come una delle figure più bislacche dell’ultimo secolo – non dico uno schizofrenico, ma quasi.
E veniamo all’altro capo del problema: Draghi avrebbe davvero accettato l’incarico senza essere sicuro in partenza di formare un governo? Avrebbe corso il pericolo di fare la fine di un Cottarelli qualsiasi? Pensarlo sarebbe far torto all’intelligenza, indubitabile, e all’esperienza, altrettanto indubitabile, dell’uomo. Ma allora, visto che il suo arrivo era destinato ineluttabilmente a mettere in crisi tanto Zingaretti quanto i 5 Stelle (come i diretti interessati ben sanno, avendo tentato in tutti i modi di frenarlo), da chi Draghi ha avuto rassicurazioni che ne sarebbe uscito vincente? Limitandoci agli attori italiani e premesso che non è più da loro che vengono assunte decisioni di questa portata, la risposta non va cercata per forza nei due uomini alla guida del PD e della Lega (lasciando da parte i 5 Stelle, senza guida politica alcuna), ma – più probabilmente – in larghi e influenti segmenti dell’establishment di questi partiti, che vedono nell’ascesa di Draghi l’occasione di prendere (o riprendere) saldamente in mano le redini del carro (o del carroccio).
Dato che non credo nella favola habermasiana dell’agire comunicativo, che non mi pare convincere nessuno neppure nelle segreterie di partito, mi viene spontaneo sospettare, per esempio, che Giorgetti sapesse e, cosa ben più importante, che Giorgetti sappia sin d’ora che la Lega perderà valanghe di consensi qualora rimanga impigliata nel governo Draghi. Ma a Giorgetti e ad altri esponenti del bosco e sottobosco padano tutto questo potrebbe non interessare granché; conta piuttosto accrescere il proprio potere, dentro e fuori il partito. In questo partito, voi siete invece condannati ad essere sacrificati sull’ara della ritrovata “affidabilità”. E verrete linciati (traduco: dileggiati e derisi fino alla totale delegittimazione) sulla pubblica piazza. Vorrei sbagliarmi, sinceramente, ma dal momento che avevo previsto con un certo anticipo il tramonto di altri protagonisti della vita politica nostrana e annusato già un anno fa l’entrata in scena di Draghi, mi sento quasi in dovere di lanciare, sommessamente, l’allarme. Punirne uno, in questo caso due, per punirli tutti. Tutti chi? Tutto noi che riteniamo, al pari di voi, che ci siano alternative – ci mancherebbe altro – a Massimo Franco (o era Giannini?… non ricordo).
Di qui il mio auspicio: che possiate e vogliate essere keynesiani fino in fondo. Non è scritto da nessuna parte che dobbiate farvi massacrare nei mesi a venire, disperdendo il patrimonio di credibilità accumulato negli anni; potete ancora evitarlo e alzarvi dal tavolo, esprimendo un netto dissenso e dedicandovi alla scrittura del libro che voi, più di chiunque altro, meritereste di consegnare ai posteri: Le conseguenze economiche di Mario Draghi.
Nel congedarmi da voi, vi invito a tenere bene a mente che in democrazia non importa solo ciò che voi vedete (o credete di vedere) dal didentro ma anche, e forse ancor di più, ciò che si vede dal difuori, da dove mi trovo io, insieme a tanti altri. Se è lo spirito democratico che vi ispira e guida, sarà un brutto, bruttissimo segnale sentirvi insinuare il contrario.
Con amicizia
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