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Terzo polo o campo progressista?


17 Feb , 2021|
| 2021 | Visioni

Con la globalizzazione delle culture, anche il pensiero politico ha subito un processo di acculturazione, e siccome il centro rimangono gli Stati Uniti tale trasformazione è stata necessariamente influenzata dal loro sistema ideologico. La politica, non solo italiana, così occidentalizzata, ha preso a conformarsi secondo la classica divisione tra conservatori e progressisti (liberals), rappresentati in America dai due partiti repubblicano e democratico.

Si tratta di un processo resosi visibile con la fine della Prima Repubblica, ma non è perfetto. La recente specificazione in due campi, progressista e sovranista, è solo un’ulteriore precisazione di questo processo, essendosi dovuto il vecchio sistema ideologico continentale adattare a quello d’Oltreoceano. Tutt’al più si può ammettere, tra i due, la presenza di uno sfumato centro post-liberale.

Alle tre grandi narrazioni di massa – cattolica socialista e liberale – cui faceva da quartum datur lo sconfitto nazionalismo, si sono aggiunte nuove idee: l’ecologismo dei verdi, più consistenti in altri Paesi che non in Italia, collocatisi perlopiù a sinistra; i movimenti autonomisti e indipendentisti (in Italia il più importante, la Lega, riassorbito come nazionale) collocatisi un po’ di qua un po’ di là; i movimenti eurocritici ed euroscettici (Ukip) sorti ai due estremi in veste post-nazionalista (Fratelli d’Italia), post-fascista (Alba Dorata o AFD) o radicale (France Insoumise); infine, forse ultimi in ordine cronologico, i movimenti post-ideologici come Podemos e il Movimento 5 Stelle, riassorbiti perlopiù nel progressismo.

A volte una classificazione è più difficile perché idee vecchie e nuove si mescolano negli stessi soggetti, ma nella maggior parte dei casi tutte queste nuove proposte sono state riassorbite in uno dei due campi suddetti, ferme restando la presenza di sfumature al centro e alle estremità. Tuttavia, in generale non hanno avuto la forza di diventare poli autonomi aggreganti; non a caso si è parlato di fine del momento populista.

Per ora quindi il posizionamento strategico sembra un aut-aut obbligato: progressisti o sovranisti, tutt’al più progressisti o conservatori. In effetti la formazione del Governo Draghi potrebbe suggerire uno smembramento, anche se temporaneo, del campo di destra in Italia, tra una parte conservatrice (rappresentata dalla Lega) e una sovranista (Fratelli d’Italia) destinata in quanto tale a essere esclusa dal governo come lo fu il PCI.

Questo recente sviluppo ci insegna qualcosa di strategia. La (almeno temporanea) divaricazione tra Lega e Fratelli d’Italia suggerisce che quando una forza consistente, all’interno di una compagine più grande, diventa autonoma perché fa una scelta chiaramente diversa, può rappresentare in nuce un’alternativa concreta. Se questa alternativa non è un mero espediente tattico, ma si definisce in autonomia, nulla vieta pensare che possa diventare un nuovo polo di attrazione. Ciò vale in generale e a prescindere dal futuro della destra italiana, che probabilmente si troverà a essere di nuovo fittiziamente insieme dopo il Governo Draghi, come adesso è fittiziamente separata.

Non è difficile pensare che sia possibile fare qualcosa di simile anche all’interno della sinistra istituzionale. La ritrosia di molti compagni a voler lavorare da dentro lo schieramento progressista è comprensibile, dati i partiti e le forze sociali che lo abitano, ma questo è solo segno che c’è parecchio da lavorare.

Creare ex nihilo un terzo polo di sinistra che sia credibile e aggregante (a due cifre percentuali, se no non ha senso) al momento è illusorio: non esiste da nessun’altra parte in Europa, se assumiamo che anche i partiti del GUE/NGL sono perlopiù ascrivibili al campo progressista pur se ai suoi margini. In molti casi infatti tali partiti governano nei centro-sinistra nazionali, o li appoggiano, e dove questo non succede infatti non hanno alcuna possibilità di entrare nella compagine di governo.

L’unico caso in cui un terzo polo potrebbe sussistere con qualche risultato sarebbe quello di una catastrofe. La Grecia insegna dato che nel 2015 Syriza stravinse le elezioni elevandosi direttamente dall’insignificanza al Governo; ma solo dopo cinque anni di crisi nera e due piani di salvataggio della troika. In effetti questa era bene o male un secolo fa la strategia dei socialisti rivoluzionari. Ma non sembra essere ancora tale la condizione oggettiva dell’Italia, né si può sperare che vi si arrivi.

Bene allora ha fatto chi ha insistito sulla costruzione della maggioranza che ha espresso per un anno e mezzo circa il Conte bis: non era scontato e l’arrivo di Draghi è la prova di come quello fosse purtroppo il Governo più a sinistra possibile.

La strategia, in quanto prassi, andrebbe distinta dalla teoria politica e vista separatamente. Il momento propizio per la sinistra arriverà quando una forza politica autonoma per elaborazione teorica, capace di radicamento sociale di classe, consistente, potrà esprimere un’alternativa strategica differenziandosi dall’interno del fronte progressista – o comunque di sinistra variamente inteso – come Fratelli d’Italia sta facendo esattamente ora a destra.

Di fronte a un tale obiettivo di medio periodo, quello a breve scadenza dovrebbe essere premere affinché le forze politiche, che hanno sostenuto il Conte bis, continuino a lavorare insieme a livello locale e nazionale e con le parti sociali. Nel frattempo, da qualunque angolazione si lavori, occorre continuare a lavorare sulla teoria e sul suo radicamento nella società. Se questa è la strada, il governo tecnico diventa un mero incidente di percorso.

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