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È la Costituzione, bellezza!
Prendiamola alla lontana, anche se è vero che la storia non è sempre magistra vitae. Però, qualche volta lo potrebbe anche essere; e comunque è difficile non convenire con Adriano Prosperi quando ci ammonisce, in un suo libro appena uscito (Un tempo senza storia. La distruzione del passato), a non obliare la nostra memoria collettiva perché ne patiremmo grave danno e, anzi, già abbiamo cominciato a patirlo, specie in Italia dove da almeno trent’anni scuola, insegnanti e programmi si sono rivelati sempre più inadeguati. Incidentalmente osservo che non si può non giudicare ridicolo il salvataggio (di che?) tentato dal nuovo governo che lo vorrebbe consegnato a una ventina di giorni di prolungamento del calendario scolastico.
Ma torniamo alla storia, alla nostra storia. Tra la caduta dell’impero romano e il Risorgimento vi fu veramente un solo Stato italiano – una repubblica – che provò ad estendersi autonomamente, sognando di unificare, più o meno completamente, la nostra penisola. Quello stato era la Repubblica di Venezia. Ma il progetto veneziano fu immediatamente osteggiato da un potere a vocazione universale che sarà sempre ostile all’indipendenza (anche ideologica) dell’Italia. Mi riferisco al papato di Roma che, per arrestare la potenza e le ambizioni della Serenissima, si fece artefice della Lega di Cambrai (1508) a cui aderirono subito, e con convinzione, Luigi XII di Francia, Massimiliano I d’Asburgo e Ferdinando il cattolico, re d’Aragona. Spagnoli a parte, si registra che francesi e tedeschi si trovarono inaspettatamente d’accordo (in quanto non lo furono mai o quasi) nell’impedire la nascita di uno stato italiano indipendente; e Venezia, sconfitta ad Agnadello, rinunciò per sempre al suo progetto.
Ci rivela qualcosa questa lontanissima vicenda? Forse, forse semina due indizi: che ai nostri vicini europei non dovrebbe tanto piacere, nemmeno oggi, che in Italia esista uno stato potente e indipendente; e che a quest’idea, però, sembrerebbero essersi assuefatti gli stessi italiani, dopo secoli di umiliante, talora pesante, dominazione straniera. Qualcuno sorriderà per quanto ora azzardato e concluderà che questa visione, diciamo geo-politica, sia nulla più che un rottame o un anelito d’altri tempi, roba ottocentesca, irredentista senza ragione. Ma possiamo oggi – oggi più che mai – affermare, al di là del mantra Siamo un grande Paese, che l’Italia sia uno stato potente e indipendente alla pari dei nostri cari partners, Francia e Germania? E ancora: possiamo oggi sostenere – a un ventennio dall’entrata in vigore dell’euro – che l’Italia sia progressivamente diventata più potente o, se si preferisce, economicamente più forte, e più indipendente? Ognuno potrà dare a queste domande (non proprio irrilevanti per noi italiani) le risposte che crede; e argomentare come crede.
Non ho invece dubbi su come risponderebbe Mario Draghi. Anzi, probabilmente non risponderebbe nemmeno; oppure si limiterebbe a dire che si tratta di interrogativi grotteschi perché inattuali, fuori dal tempo e, dunque, irricevibili. Non potrebbe essere diversamente data la biografia dell’attuale Presidente del Consiglio. Forse la risposta ce l’abbiamo perché egli ci ha chiaramente avvertito che il suo è un governo europeista e che l’euro è irreversibile. Di quest’ultima, e decisa, dichiarazione si potrebbe però dire che parrebbe, essa, un poco antistorica. Se c’è una cosa che la storia insegna è che tutto scorre: un movimento continuo e tale che veramente poco rimane sempre eguale a sé stesso. Forse tra questo poco sempre eguale vi è l’abitudine degli italiani al dominio o, se si preferisce, alle direttive, al vincolo imposti ab externo? E, se così fosse, ci si dovrebbe interrogare se l’UE – a trazione tedesca, con la Francia socia di minoranza – sia una struttura diciamo neo-coloniale (con noi di nuovo colonizzati, per quanto inconsapevolmente felici).
Vi è, o vi sarebbe, da riflettere. Se, come divertissement, si provasse ad offrire una risposta affermativa agli ultimi quesiti, non potremmo non porci un ulteriore, e conseguente, interrogativo: come ciò è potuto avvenire? Ovvero: qual è il dispositivo che avrebbe condotto i cittadini a perdere – senza nemmeno alcuna possibilità di reagire per via referendaria – una parte significativa della sovranità innanzi tutto su loro stessi con il possibile esito di trovarsi più deboli e gravati da un futuro incerto?
Uno come Sabino Cassese risponderebbe come ha risposto dal Corsera il 18 febbraio intorno ai dubbi sulla democraticità della procedura che ha condotto l’ex Presidente della BCE alla Presidenza del Consiglio senza essere stato né eletto né candidato al Parlamento nazionale (esattamente come Conte e Renzi): sono le nostre regole costituzionali. Già, le regole sono state rispettate. E sono state rispettate anche quando abbiamo visto la nostra sovranità dimidiata in grazia dei trattati UE e dell’introduzione dell’euro. Se non ci avessero pensato i cittadini di Francia e Olanda (che non la vollero), i cittadini italiani si troverebbero una costituzione europea approvata secondo quelle regole; ma senza il loro consenso, without representation. Sono, però, possibili altre regole: per esempio, come quelle che in Inghilterra hanno consentito ai cittadini inglesi di decidere – loro – Brexit.
Cassese, forse pensando anche alla nostra, scrive che nelle costituzioni vi sarebbero “addirittura norme definite eterne, non emendabili, destinate a durare per sempre”. È la stessa cifra di pensiero che ha espresso Draghi a proposito dell’irreversibilità dell’euro. Ma allora per questi illustri la storia non è movimento? Uno potrebbe dire: non sempre giacché, se un dispositivo è perfetto, non vi sarebbe oggettivamente ragione per cambiarlo. Ma, così opinando, non vi sarebbe forse il rischio di cristallizzare una comunità politica? Certamente l’immobilismo avvantaggia sempre qualcuno o qualche ceto che si adoperano contro il cambiamento: chi è privilegiato non rinuncia facilmente ai propri privilegi e argomenta appellandosi alla giustizia o attraverso finzioni volte a camuffare la realtà.
Se ciò fosse vero, come sembrerebbero pensare illustri competenti tipo Cassese o Draghi, se cioè fosse vero che le regole costituzionali del ’48 fossero perfette, allora non dovremmo lamentarci più né se continuassimo ad avere nunc et semper governi non eletti, né se ci trovassimo subiecti (com’è prevedibile) a vincoli esterni sempre più intensi. È la Costituzione più bella del mondo, bellezza!
Ma esistono ancora parecchi cittadini animati dalla charitas rei publicae, dall’amore verso il modello repubblicano e la loro repubblica: è allora probabile che questi si domanderanno che fine abbia fatto quella sovranità appartenente al popolo di cui pur dice l’art. 1 della Costituzione. Forse si è smarrita – l’hanno smarrita i costituenti – nei disposti ad esso successivi che ci hanno restituito un’altra repubblica: quella delle élites, una repubblica oligarchica, a cui è facile, attraverso il gioco delle rappresentatività di secondo o terzo grado, togliere potere al popolo per consegnarlo a soggetti istituzionali i cui fini restano spesso oscuri, al di là della retorica d’occasione. Sì, sto proprio pensando all’Europa…
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