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La giustizia penale italiana: ipotesi di riforma
Vincenzo Musacchio giurista e docente di diritto penale in varie Università italiane ed estere è stato intervistato dagli studenti della “School of Public Affairs and Administration (SPAA) della Rutgers University di Newark (USA)”. Riportiamo di seguito l’intervista completa.
Professore, qui negli Stati Uniti sembra che la magistratura italiana abbia perso di credibilità, è vero?
Assolutamente no. Non possiamo parlare di questo argomento se non specifichiamo che si tratti solo di una parte della magistratura che in questo caso però non ha perso soltanto credibilità ma, per alcuni versi, anche indipendenza, terzietà, imparzialità, oltre ad aver commesso fatti penalmente rilevanti che mi auguro saranno perseguiti. Per quello che vi ho detto in premessa, ripeto che occorre fare molta attenzione a non screditare tutta la magistratura! Si tratta solo di un gruppo di potere che opera ad alti livelli. La maggioranza dei magistrati non ha affatto perso la credibilità ed è composta di persone ligie al dovere, corrette e imparziali. I pericoli provengono dalle correnti, dalle commistioni con la politica, dalle incompatibilità, da quella parte schierata ideologicamente. Nella magistratura italiana c’è un gruppo di potere interno che condiziona carriere, incarichi e sentenze, utilizzando spesso metodi che configurerebbero delitti contro la personalità dello Stato. Va anche detto che la maggioranza dei magistrati non potrà restare indifferente per cui alcuni dogmi dovranno essere superati.
Qui da noi i magistrati sono valutati dai cittadini che li votano e li rieleggono solo in base ai loro risultati, in Italia la valutazione professionale dei magistrati come avviene e soprattutto funziona?
Su questo credo occorra un dibattito serio e approfondito. Negli Stati Uniti se un magistrato ottiene risultati, è confermato altrimenti l’elettorato non lo rielegge. In Italia il magistrato ha una valutazione che parte da una sua autovalutazione e poi da una valutazione di suoi colleghi. Per quanto si voglia essere indulgenti, è un sistema troppo appiattito su se stesso e spesso autoreferenziale. Per spiegarvi ciò che a mio giudizio non funziona mi servirò di un esempio. Se si concorre per un posto da primario chirurgo e vi sono due concorrenti, il primo, su cento interventi ne ha portato a termine novantacinque con esisto favorevole e risolutorio; il secondo, invece, ne ha portato a termine con esisto favorevole soltanto cinquanta, voi quale dei due vorreste diventasse primario e soprattutto da quale vorreste essere operati? Se la stessa situazione si prospettasse per due magistrati, per diventare, ad esempio, procuratore della repubblica o presidente di tribunale con le medesime statistiche in termini di condanne e assoluzioni, voi quale dei due vorreste a svolgere le funzioni anzidette e da chi vorreste essere perseguiti o giudicati? Vi ricordo che Giovanni Falcone, di cui vi ho parlato tante volte, non divenne Procuratore nazionale antimafia nonostante fosse il magistrato più competente al mondo nella lotta alle mafie e avesse inventato la Direzione Nazionale Antimafia. L’approccio meritocratico unito all’esperienza favorirebbe certamente i magistrati più competenti, più equilibrati e più diligenti.
Da noi arrivare a una sentenza dopo due anni è già uno scandalo. Perché i processi penali in Italia sono lenti e farraginosi?
Premesso che i sistemi processuali dei due Stati sono diversi, in Italia i principali problemi che andrebbero risolti riguardano sia il diritto penale sostanziale sia processuale. La prima riforma da attuare è la depenalizzazione di molti reati che potrebbero staccarsi dall’ambito penale e confluire in quello amministrativo. Poi, mia opinione personale, occorrerebbe realizzare la separazione delle carriere giudicanti e requirenti, puntare alla discrezionalità dell’azione penale. Sarebbe un ottimo inizio. Ovviamente occorreranno altre riforme che non riusciremmo ad affrontare nella vostra intervista di oggi.
Abbiamo letto sui giornali italiani che un ex Sindaco di Napoli è stato assolto per 19 volte, come è possibile?
È uno dei tanti effetti deleteri della lungaggine dei processi, dell’obbligatorietà dell’azione penale e della disparità tra accusa e difesa che purtroppo colpiscono tante persone e che ogni tanto qualche persona nota porta alla luce. Le diciannove assoluzioni di Antonio Bassolino si spiegano con un ragionamento logico prima ancora che giuridico: le prove raccolte non erano chiaramente idonee per istruire un processo penale.
In Italia qualcuno parla di eliminazione del giudizio d’appello, lei lo reputa possibile?
Possibile sì. Tutto è possibile. Auspicabile assolutamente no! Io però sono sempre stato favorevole all’eliminazione del divieto di “reformatio in peius” per il secondo grado di giudizio (cioè se fai appello, puoi rischiare anche una condanna più grave di quella di primo grado).
Si parla anche molto di abolizione della prescrizione, lei sarebbe favorevole?
No! Non dimentichiamoci che il nostro sistema processuale penale si regge sul principio della ragionevole durata del processo. Personalmente ho sempre sostenuto che il processo penale dovesse avere addirittura un tempo specifico nel quale dovesse terminare per legge, pur essendo conscio che oggi sarebbe pura utopia.
Che cosa farebbe lei per migliorare lo stato della giustizia in Italia?
In un certo senso vi ho già risposto. Vi specificherò le tre strade da percorrere, ovviamente, a mio giudizio. La prima: porre rimedio all’inefficiente organizzazione del “Sistema Giustizia”. Come vi dico sempre, noi italiani abbiamo i migliori magistrati d’Europa che al tempo stesso sono i peggiori in fatto di organizzazione. La seconda: ridurre l’eccessiva “criminalizzazione” di molte condotte che potrebbero essere risolte con sanzioni non di natura penale. La terza: agire sulla convenienza ad affrontare sempre il giudizio di appello che porti costantemente solo benefici al condannato. Iniziando da questi tre fattori sono certo si porrebbe rimedio anche all’eccessiva durata dei processi in Italia.
Un’ultima domanda. Le vostre carceri scoppiano, come mai lo Stato italiano non pone rimedio a questa grave situazione?
In un certo senso tutto il discorso fin qui elaborato è strettamente connesso. Le riforme di cui parlavo prima porrebbero in parte rimedio anche all’attuale situazione carceraria in Italia. Depenalizzare, ad esempio, significherebbe anche uso marginale della sanzione penale privativa della libertà personale e ciò in parte garantirebbe un carcere più “umano”, cosa che purtroppo in Italia latita da ormai troppo tempo. Una possibile risoluzione di questi problemi la propose anche il mio maestro Giuliano Vassalli circa trent’anni fa e fu poi ripresa più volte negli anni successivi ma mai attuata: la cd. “lista d’attesa”. In sostanza, si dovrebbe stabilire con legge che qualora tu Stato non possa garantire uno spazio sufficiente in carcere per l’imputato in attesa di giudizio aspetti per rinchiuderlo fino a quando questo spazio non l’avrai. La norma si dovrebbe applicare ovviamente per i reati meno gravi in conformità a una serie di requisiti tassativi, ricordandoci che siamo sempre di fronte a non colpevoli sino alla condanna definitiva, come recita testualmente l’articolo 27 della Costituzione. Occorrerebbe naturalmente investire anche sulle strutture delle carceri e su una nuova e più adeguata edilizia penitenziaria adeguata ai tempi moderni.
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