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McKinsey alla corte di Draghi. Cosa ci dice la consulenza mckinsey sul mondo in cui viviamo
La notizia che McKinsey è stata coinvolta per una consulenza sul Recovery Plan è una delle polemiche delle scorse settimane, prima di essere soverchiata da altri temi, in specie i possibili rischi dei vaccini.
Per qualche giorno ha tenuto banco, suscitando perplessità non solo per il fatto che per un progetto così importante per il paese – o almeno così dice la stampa – il governo del Competente per eccellenza abbia coinvolto un soggetto privato (se i tecnici che arrivano al governo chiamano i tecnici esterni non valeva la pena tenersi i non-tecnici?) ; ma ha suscitato costernazione il curriculum di McKinsey, la più vecchia e potente delle tre maggiori aziende globali di consulenza (le altre due sono Boston Consulting Group e Bain & Company), accusata di aver influito in maniera determinante sulla cultura aziendale statunitense in modo assai penalizzate per i lavoratori, di aver collaborato con regimi oppressivi (come quello saudita) e con l’amministrazione Trump in materia di gestione di immigrati, ecc.
A seguito delle polemiche, oltre ad una nota diffusa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che puntualizza e minimizza la collaborazione con la potente multinazionale (ridotta a uno scarno compenso, almeno per gli standard retributivi del colosso, alle prestazioni di un numero ridotto di analisti, e ad una funzione non di pianificazione ma di « un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio »), si sono moltiplicate le prese di posizione connotate da un filo di derisione se non dileggio in merito all’ingenuità dell’indignazione. Perciò accanto alle reazioni più indignate, come quello della testata online The Submarine si è contrapposta The Wire, secondo cui lo scontro è niente altro che una sceneggiata del palazzo.
Si fa presente infatti che non solo le attività di consulenze sono comuni in tutto il mondo presso i governi – incluso il governo Conte. Ma si fa presente che la stessa McKinsey ha prestato consulenza su uno dei decreti Ristori, ed altre (Oliver Wyman, Boston Consulting Group) per altri temi dell’agenda governativa. Quindi di che cosa ci stupiamo ? Non sappiamo forse come va il mondo ?
In effetti se le cose vanno così, si potrebbe conservare un filo di perplessità per il fatto che le strutture pubbliche, in omaggio al principio per cui «il privato lo fa meglio» si sono svuotate di competenze ed expertise. Appare bizzarro che fino a qualche decennio fa si costruissero ponti, infrastrutture e strade con forze proprie, attualmente l’amministrazione pubblica sia costretta a ricorrere ad aziende esterne, con tutte i problemi che comporta la necessità di una vigilanza all’altezza per assicurarsi che la modalità della concessione affidataria non si traducano in una compressione eccessiva dei costi o in una mangiatoia di una giungla di subappalti (si pensi alla catastrofica situazione del TAV in Val di Susa).
Ma a parte le attività costruttive, l’uso di soggetti esterni alla pubblica amministrazione dilaga ovunque, per studi di fattibilità, piani urbanistici, valutazioni, analisi finanziaria, perizie e simili. Da un lato è una conseguenza della tristissima e miope strategia di tagliare ovunque non vi siano necessità immediate, calo di investimenti che svuotano le strutture di competenze ; dall’altro gli esperti esterni vengono chiamati a spandere il gergo manageriale – a tratti tortuoso e infarcito di anglicismi non necessari – usato nel mercato : costi/benefici, indicatori dei risultati attesi, e simili. L’amministrazione pubblica diventa sempre più come una fetta di territorio zuppa di petrolio dove chiunque si affretta a fare il suo buco per arraffare il più possibile.
Fino ad arrivare a funzioni così delicate e sensibili per il bene pubblico che un tempo erano immaginabile venissero spalancate a soggetti privati : il governo francese ha assoldato consulenti per la gestione della pandemia, come mostrano documenti ufficiali . Gli USA sotto Bush hanno così massicciamente fatto ricorso all’appalto non solo le forniture all’esercito – armi, uniformi, cibo, pulizie – ma per ruoli di combattimento, gestione di informazioni sensibili ed interrogatori di prigionieri, sfidando la concezione stessa di Stato moderno, anzi facendo ripensare al mercanariato delle compagnie di ventura del Rinascimento tanto disprezzate da Machiavelli.
La Ue è riuscita a non essere da meno : a fine 2018 è risultato che la BCE per la vigilanza delle più importanti banche – tolto tale ruolo agli Stati membri nell’ambito della Unione bancaria – è ricorsa, fra 2014-2018 a società private, fra cui Oliver Wyman (pagata la « modica » cifra di 26 mld €), McKinsey e BlackRock. Questo hanno esaminato lo stato di solidità delle banche con i cosiddetti « stress test ». Il problema è che BlackRock ha investito praticamente in tutte quelle banche – e fornisce a livello mondiale servizi agli istituti che devono « superare l’esame ». Si può immaginare quale selva di conflitti d’interesse ne scaturiscano.
La BCE spergiura che l’apporto degli esterni va diminuendo. Ed è auspicabile che sia così, perché altrimenti verrebbe da chiedere che senso ha attribuirle la vigilanza, se la appalta a ditte esterne.
Nei giorni in cui il coinvolgimento McKinsey nel PNRR teneva banco è girata una Relazione della Corte di Conti del 2012 in materia di consulenze che certifica una spesa di 2,2 mld € per le loro parcelle. È stato poco notato il fatto che si trattava dei processi di privatizzazione. Questo ci dà un indizio per capire quela sia il punto fondamentale.
Si tratta di una inversione fondamentale : lo Stato, anziché sussumere sotto di sé l’ambito privato – direzionandolo con la propria legislazione e dandogli una curvatura conforme alle proprie finalità e profili programmatici – si trova a nuotare in un mare di dinamiche privatistiche come ambiente del suo sviluppo, dovendosi in qualche misura conformare ad esso ; e nel processo è chiaro che ha bisogno delle migliori expertise di quel mondo. Si pensi al problema dello spread e della dipendenza degli Stati da investitori privati.
I consulenti in merito alle privatizzazioni avranno avuto anche cattivi risultati in termini di risultati – si pensi alla svendita di molti settori, favorendo i privati acquirenti – ma era la finalità in se stessa ad essere criticabile. In altri termini, se lo Stato si assimila ad un agente di mercato potrà avere consulenti più o meno validi ma da un lato si è già posto in un campo di gioco profondamente viziato ; e qui si mostra il limite di chi ha posto il problema della consulenza McKinsey senza valutare come l’intero impianto del PNRR sia interno a logiche privatiste. Chi, del resto, un po’ cinicamente, spande un ironico dileggio sopra questi ultimi, dichiarando tali processi come la nuova normalità, da un lato si mostra più consapevole della pervasività di essi, ma si è già consegnato mani e piedi al paradigma dominante, e tenderà ad interpretare le critiche come o attacchi pretestuosi dei nostalgici di Conte o inutili polemiche di chi vive fuori della realtà.
Occorre invece una contestazione radicale del paradigma privatistico che ha già mostrato la sua bancarotta, tanto in termini di giustizia e democrazia, quanto su quello della funzionalità : il bilanciamento dei rischi finanziari del mercato, a seguito della massiccia deregolamentazione (o meglio una regolamentazione che lanciava il messaggio di massima: «fate un po’ come vi pare ») ha portato a risultati catastrofici. Una reinternalizzazione negli apparati pubblici è l’unica scelta sensata anche in senso banalmente utilitaristico : quando il mercato fallisce, si torna col cappello in mano dallo Stato, paventando sfracelli e calamità, a cercare i soldi e le risorse ; cioè quelli dei cittadini.
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