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Nichilismo e Post-umano: due facce della stessa medaglia


24 Mar , 2021| e
| 2021 | Visioni

Se volessimo inquadrare la posizione psicologica ed esistenziale dell’uomo del XXI secolo, senza nasconderci dietro la maschera di una idealizzazione del tutto soggettiva, potremmo definirla una posizione traballante, instabile, priva di punti d’ancoraggio permanenti.

L’uomo e la donna di oggi, come profetizzava già nel secolo scorso Simone Weil, sono esseri sospesi sul baratro della storia, dove da una parte agisce sempre più ostinatamente il lato d’Ombra, quella che lei chiamava la pesanteur, mentre dall’altra balugina come una stella in via di formazione la grâce, la grazia, che ci rende capaci di procreare senso e direzione proprio lì dove l’insensatezza sembra essere definitiva.

La filosofia ha descritto questo tempo come il tempo del nichilismo, dal latino nihil che vuol dire “nulla”, “niente”, ovvero, “annientamento”. Ed è effettivamente questa la percezione generale, soprattutto in ambito etico-culturale, di uno sfaldamento della dimensione comunitaria e inter-soggettiva che da sempre ha caratterizzato la vita sociale e privata dell’essere umano.
Un tale collasso antropologico ha fatto sì che, fino a questo momento, qualsiasi atteggiamento filosofico volto alla formazione di un ethos condiviso, e più nello specifico di una visione del mondo che sia radicata in un terreno valoriale comune, venga visto come il tentativo romantico o di ristabilire l’ordine decaduto (conservatorismo), oppure, di voler sperare in un futuro palingenetico irrealizzabile (idealismo).

Detto ciò, sarebbe comunque ingenuo pensare che all’interno di questo clima, dove tutto appare insignificante e privo di uno scopo, non ci sia in realtà chi opera giorno e notte avendo ben chiaro l’obiettivo che vuole raggiungere. Basti pensare al linguaggio utilizzato da una certa filosofia neo-positivista, dataista o anche trans-umanista, oggi sotto i riflettori.
Queste filosofie considerano l’uomo quale ente fra gli altri enti: cosa fra le cose. O, meglio ancora, un qualcosa di antiquato che dev’essere superato, digitalizzato, manipolato e riprogettato a livello genetico. Praticamente una specie di itinerario per provetti demiurghi.
Di questi cultori della cibernetica ce ne sono molti in giro. Sono i cosiddetti post-umanisti: quelli che si illudono di poter giocare a fare Dio costruendo idoli luccicanti e, magari, nanotecnologici.
Ormai li possiamo trovare ben piazzati nella nostra società a rivestire ruoli imprenditoriali e finanziari apicali, dove questi pensieri sono già in procinto di tradursi in prassi storica.

Persone come Elon Musk o Steve Wozniak, tanto osannati dagli amanti del digitale, leggono la transizione antropologica in chiave totalmente meccanicistica – per non dire faustiana – in quanto sono fermamente conviti che il confine fra la tecnologia e la vita umana sia ormai superato.
In un recente articolo uscito sulla famosa rivista statunitense Forbes si legge che l’imprenditore miliardario Elon Musk ha dichiarato che: “Entro quest’anno [2021] inizieremo i test per impiantare il modulo di Neuralink [l’azienda di sua proprietà che si occupa di interfacce neurali impiantabili] nel cervello umano”[i]. Egli ha aggiunto di aver sperimentato la cosa su un cervello di scimmia e che quest’ultima si è divertita a giocare a un videogame insieme a un’altra sua simile solo attraverso l’utilizzo della mente. Non è meraviglioso?

In un libro pubblicato in Italia da Adelphi qualche anno fa, dal titolo Essere una macchina[ii], lo scrittore irlandese Mark O’Connell, descrisse in modo efficace quanto questa filosofia fosse in fondo una vera e propria religione. Una vera attualizzazione della locuzione latina deus ex machina!
D’altronde non vanno nella stessa direzione espressioni come quelle di Reed Hastings, Ceo di Netflix, quando dichiarò che l’unico pericoloso competitor della società distributrice di film online era il sonno degli utenti?

Ovviamente per chi ha memoria storica tutto questo è già stato affrontato in passato. Dal mito di Prometeo nella Grecia antica, al Golem fatto d’argilla della mitologia ebraica; dalla riflessione cartesiana sull’automa, fino ad arrivare agli inizi del XIX secolo con il romanzo gotico Frankenstein. Tutte queste sono allucinazioni di un pensiero riduzionista e megalomane che oggi, sfruttando i potenti mezzi della scoperta scientifica e tecnologica, come nel caso della guerra nucleare, rischia di diventare un pericolo imminente sempre più concreto.

Detto ciò, non bisogna farsi prendere dal panico. Dal punto di vista della ragione ogni schizofrenia alienante ha le sue cause, a volte persino comprensibili, che però vanno osservate e affrontate attraverso l’uso della ragione stessa.

È evidente che in questo lavoro di decodificazione della realtà quelli che vengono definiti gli apparati che governano l’informazione e la cultura dominante si sono chiaramente schierati – da tempo – dalla parte dell’ignavia e dell’ignoranza. Anzi, direi che in molti casi promuovono, più o meno inconsciamente, la tesi secondo la quale tutto sommato non è poi così delirante questo tipo di sistema autolesionistico, trasformando ogni critica in una polemica sterile e del tutto innocua.

Nella fase storica in cui ci troviamo credo occorra urgentemente ritornare a porsi domande di senso radicali. Domande che abbiano a che fare con il destino ultimo dell’essere umano. Domande che risveglino in noi il senso di uno stare al mondo da uomini liberi e non più rassegnati.
Da questo punto di vista la situazione medico-sanitaria, toccando da vicino la sfera più profonda dell’essere umano, se non altro, è servita a riproporre il tema ultimo della morte. Ed è da lì, dal fondo oscuro di noi stessi, che occorre ripartire, e non solo in senso filosofico, ma per riorientare una visione politica che sia degna di questo nome.
È evidente che anche per questa forma di élite rapita dai mondi virtuali la “rivoluzione” è qualcosa di auspicabile, ma resta da chiedersi: In che senso? Di quale rivoluzione si parla? Cosa s’intende davvero quando si usano parole come “transizione”, “evoluzione” o “cambiamento”? Quel è la direzione?

È tempo di uscire dalla paranoia e dal facile “complotto”, inteso in senso universale, e smetterla di accettare ogni cosa come sudditi anestetizzati solo perché questa cosa ci viene impartita dall’alto, dal mondo della scienza o da uomini che si dicono “competenti” (se non addirittura dalla militarizzazione di una democrazia sempre meno autorevole).
Tornare a chiedersi qual è il motivo per cui vivo significa anche tornare a vivere la democrazia nella sua accezione rivoluzionaria più propria. In quel perimetro dove la scelta fra obbligo o condanna non può esistere, perché la libertà di coscienza della persona e la vita democratica della città sono legate l’una all’altra indissociabilmente. Non ci può essere democrazia dove regna l’incoscienza; così come non ci può essere coscienza dove comanda l’oppressione.

Il tempo in cui viviamo, lo si è capito bene in quest’ultimo anno, non è una passeggiata. Il vivere costantemente sull’orlo del baratro ci rende sì più attenti, ma ci stanca notevolmente.
Le sfide che ci toccherà affrontare, quelle che vedono da una parte il nichilismo riversarsi nel post-umanesimo e dall’altra l’emergere di un Io umano intento a riscoprire più intensamente il senso del suo esistere, sono entrambe sfide all’ultimo sangue. Come scrive il filosofo contemporaneo Byung-Chul Han: “La lotta di due totalità è una lotta per la vita e per la morte”[iii]. E non è forse questo il motivo ultimo di ogni agire umano?
Il declino è annunciato da più parti, ora è tempo di annunciare qualcosa di diverso. Serve uno scatto in avanti verso un cambiamento profondo della nostra mente. Servono discorsi nuovi e azioni creative mai viste prima. Per questo dobbiamo pretendere una rivoluzione culturale che sia realmente inedita e totalmente viscerale, rivitalizzante, che favorisca la crescita dalle relazioni umane a partire dalla dimensione politica che le comprende. Ogni rinuncia alla dialettica storico-politica è un passo avanti verso il baratro dell’insensatezza. Questo purtroppo, o per fortuna, d’ora in avanti, sarà sempre più evidente.


[i] https://forbes.it/2021/02/05/elon-musk-entro-2021-chip-neuralink-cervello-umano/

[ii] Mark O’Connell, Essere una macchina, Adelphi, Milano, 2018

[iii] Byung-Chul Han, Filosofia del buddhismo zen, Nottetempo, Milano, 2018 pag. 137

Di: e

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