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Guardiamoci allo specchio, please!
Questa pandemia è come uno specchio: ci ha fatto vedere, e continua a farlo, l’essere reale delle nostre istituzioni e di noi stessi.
Le istituzioni hanno dimostrato tutta la loro inaffidabilità e inefficienza. Si son ridotte così da tempo a seguito di un deterioramento progressivo, iniziato alcuni decenni or sono. È un problema di strutture normative (specie costituzionali) e di dirigenti politici. Naturale, direi, che tutto ciò sia venuto drammaticamente ad emergere in desperatione omnium salutis, cioè quando la salvezza o la salute di tutti si è trovata sotto scacco e sarebbero state necessarie un’iniziativa e un’organizzazione istituzionali all’altezza. Ma così non è stato ed era perfettamente prevedibile, direi scritto nel gran libro del destino. Ecco che l’Italia ha registrato un numero di decessi impressionante, aggravato dall’inadeguatezza – nota o che dovrebbe essere stata nota – delle sue strutture sanitarie; e ha visto (e vedrà) dilatarsi pericolosamente una crisi economica già in atto da anni, a cui ha pesantemente contribuito l’insufficienza delle sue strutture produttive (che producono troppo poco) alle quali si è pensato di sopperire con l’incremento del turismo (impresa meno difficile, specie per noi, ma naturalmente esposta a tante variabili).
I dirigenti politici hanno dimostrato impreparazione e ignoranza, unite all’assoluta carenza di spirito pubblico: pochissimi, in questa pandemia, hanno avuto percezione di quel stava accadendo, pochissimi hanno provato a porsi di fronte all’interesse comune (intendo della massa) e a tutelarlo. Quasi tutti (e più di tutti il precedente Presidente del Consiglio) hanno messo innanzi la loro carriera e la loro vanagloria; o le aspettative della corporazione di riferimento. Qui mi è piaciuto Mario Draghi che, incidentalmente, ha rimproverato i centri amministrativi di stare a sentire soprattutto le categorie che hanno maggior forza contrattuale: nei fatti la nostra Repubblica è, purtroppo, di queste categorie, minoranze, e mai di tutti i cittadini. In questa situazione – in cui gli imperdonabili errori sono spesso in sospetto di illegalità di varia natura – la magistratura è silente. Ma è difficile diffondere la dirittura se poi la cifra sia piuttosto quella dell’impunità: l’esito sarà quel che vediamo, una repubblica ‘inordinata’ da cui dovremmo guardarci mettendo in campo quelle contromisure che il repubblicanesimo classico aveva teorizzato e censito.
A livello sovrannazionale anche l’UE ha dimostrato di essere inaffidabile e inefficiente: la vicenda dei vaccini – assenza di trasparenza, contrattualistica dilettantisticamente concepita e redatta, grave irregolarità nelle forniture e loro drammatica insufficienza, qualità discutibile del prodotto – dovrebbe da sola bastare ad imporre (imporci) l’abbandono di un’organizzazione che ci ha parecchio danneggiato.
A fronte di tutto ciò l’opinione pubblica non ha minimamente reagito; è rimasta indifferente, anche dinanzi a oltre 110.000 morti per Covid-19 (invece preoccupandosi alquanto dei rari decessi per trombosi di vaccinati con Astrazeneca). Non pochi i negazionisti, non pochi i complottisti: segno che l’irrazionalità corre tra noi come il virus. L’informazione pubblica non ha descritto veridicamente le gravissime criticità; o ha deviato presentando le misure restrittive come un sacrificio e basta, e non spiegando che, per come siamo messi, esse sono purtroppo l’unico antidoto di cui disponiamo per salvare vite umane. L’ansia e l’attesa diffuse sono state – e sono – verso l’eliminazione delle misure: la zona gialla come ultimo miraggio. Ma non si è ancora capito che i dati migliorano solo se esse siano mantenute (e puntualmente si è sempre ritornati alle limitazioni – una volta rimosse che fossero – per non rendere inagibili o inutili gli ospedali).
Anche per questa disinformazione molti cittadini non hanno avvertito o compreso il (grave) pericolo, molti hanno impunemente disatteso le prescrizioni, molti hanno cercato – taluni vi sono riusciti – di vaccinarsi prima del loro tempo e, talora, lo hanno fatto legittimamente perché in certe regioni o province ci si è dimenticato che la letalità è collocata soprattutto presso gli anziani e i cosiddetti fragili.
La solidarietà, anche tra generazioni, si è rivelata troppo spesso un puro slogan da affermare e proclamare magari insieme in una fiaccolata piuttosto che integrare e integrarsi in una concreta condotta che ha i costi del sacrificio e dell’oblazione individuali.
Abituati, e diseducati, dai nostri infiniti diritti di consumatori ed edonisti esistenziali – grimaldello, essi, perfetto e ottundente le menti, funzionali ai profitti delle multinazionali – vogliamo vivere, specie se di giovane età, come se la pandemia non ci fosse, accrescendo il pericolo per noi e per gli altri. Ci atteggiamo a vittime – secondo un paradigma in auge da tempo – più che assumere il ruolo di cooperanti per l’interesse comune che è, prioritariamente, quello – così ci hanno insegnato e insegnamo – della tutela della vita e della salute pubblica, con il conseguente impegno di tutti, da cittadini attivi, per il contenimento al massimo dei contagi o dei decessi. Tanto più che, da noi o da noi più che altrove, la campagna vaccinale procede con la lentezza e la disorganizzazione che ci dovevamo aspettare; e spesso anche torbidamente.
Il vittimismo è stato introdotto nelle scuole e gli studenti ci sono continuamente presentati come probabili portatori di traumi, gravi o gravissimi, ora e in futuro (ma come avranno fatto i nostri genitori e i nostri nonni, nati e cresciuti sotto le bombe, con una scolarizzazione veramente disastrata, a regalare a noi il miracolo della rinascita postbellica?). Ecco che la DAD è narrata e percepita come una specie di monstrum. Ma come si sarebbe potuto fare se non ci fosse stata? Perché insistere dall’estate scorsa sul modulo della scuola in presenza se era perfettamente prevedibile che nei fatti esso si sarebbe potuto inverare solo saltuariamente? Che scuola in presenza può esserci in una situazione qual è quella a cui siamo tuttora costretti? Perché non aver colto l’occasione e preparato responsabilmente una DAD il più possibile funzionale e funzionante? Perché non avere fin dall’inizio pensato di mandare in presenza solo, e sempre, gli studenti delle elementari e della prima media? Percorsi alternativi ritenuti impercorribili adducendo, oltre ai disagi psichici e relazionali, il drammatico impoverimento culturale conseguente alla DAD. Ma questi ragazzi erano già vittime di una scuola che da decenni non riesce a perseguire il suo scopo istituzionale a causa di inaccettabili carenze di programmi e docenti; questi ragazzi sono, e saranno, vittime dell’inarrestabile declino dello Stato e della società; sono, e saranno vittime, perché non li avremo preparati, da più punti di vista, a reagire quando sarà necessario e verrà il tempo (e verrà, anche se mi auguro di sbagliare).
Ma a dover reagire siamo chiamati per primi, e subito, noi adulti responsabili e operanti nei vari settori della vita civile: guardiamoci allo specchio e agiamo politicamente, facendoci sentire, denunciando, prospettando soluzioni o cambiamenti anche radicali. Anche a costo di rinunciare al nostro footing quotidiano a cui ci dedichiamo maniacalmente, attrezzati di tutto punto, illusi di divenire più belli, più sani, quasi degli highlanders. Il Paese ha energie nascoste e di gran valore: è ora che si manifestino uscendo dall’oscurità in cui sono consegnate o costrette, complice un sistema che ostacola in tutti modi la proposta politica dal basso. E cominciamo a dismettere i discorsi inutili o eccessivamente complessi (anch’essi quasi sempre inutili): sono le idee semplici ad aver fatto la storia e ad aver prodotto il cambiamento.
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