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Le menzogne sulla Liberazione
Il 25 aprile rappresenta uno dei momenti storici più importanti per l’Italia, come scrive Pasolini uno dei momenti di massima espressione popolare e democratica della storia del popolo italiano. In questo giorno in cui celebriamo la liberazione dell’Italia dal regime fascista bisogna ricordare tre cose molto precise, che sono sistematicamente taciute o negate dalla propaganda neoliberale che mira a intorbidire le acque della verità storica.
1) PARTIGIANI E AMERICANI.
Sul fatto che la Resistenza abbia svolto una funzione centrale e fondamentale nella liberazione del suolo italiano dai nazi-fascisti, la verità storica è talmente chiara e semplice che non vale neppure la pena di spenderci troppe parole. Soltanto una propaganda qualunquista e negazionista può raccontare la menzogna storica che furono gli americani a liberare l’Italia, e che i partigiani non hanno avuto una funzione storica cruciale. È sempre bene ricordarlo: molti liberali, soprattutto quelli appartenenti all’ala conservatrice del liberalismo, al di là della retorica preferiscono intimamente il regime fascista a quella Resistenza contaminata da elementi e valori socialisti e comunisti, perché il regime fascista difendeva proprio quella proprietà privata e quell’assetto sociale capitalistico che i comunisti e i socialisti volevano modificare; non a caso Friedrich August von Hayek, uno dei punti di riferimento dei liberali contemporanei, in un’intervista del 19 aprile 1981 al quotidiano cileno “El Mercurio” prese posizione a favore del regime di Pinochet in Cile, che aveva massacrato i socialisti di Allende e instaurato un regime dittatoriale di tipo liberale che tutelava l’assetto capitalistico e l’economia di mercato. Su questa questione tornerò nel punto 2.
La Resistenza è stata il più grande momento democratico e popolare della storia dell’Italia. Quando gli americani arrivarono nel centro-nord, trovarono già molti territori e città liberati dai partigiani. Se il popolo italiano ha potuto eleggere una Costituente con la funzione di scrivere e approvare una Costituzione, e non farsi dettare dagli americani una lista di punti da inserire nella Costituzione in un edificio situato in un’isoletta in mezzo ad un lago come accaduto in Germania, è soltanto perché in Italia esisteva già da anni una resistenza capillare e organizzata in tutto il suolo italiano. È grazie alla Resistenza dei partigiani se l’Italia è uscita dalla Seconda guerra mondiale come uno Stato sovrano (anche se parzialmente) e non come un Paese sconfitto.
Che gli americani abbiano liberato l’Italia senza il concorso dei partigiani è una menzogna storica che non sarebbe neppure meritevole di commento se non avessimo a che fare con migliaia di persone che propagandano questa falsa ricostruzione storica.
2) FASCISMO E DEMOCRAZIA.
Quando si leggono, sui social network, post antifascisti di pagine che fanno propaganda quotidiana per delegittimare la democrazia, gli occhi piangono il sangue del cuore che soffre. Nella compresenza di retorica antifascista e propaganda antidemocratica si realizza una gigantesca contraddizione ideologica. Il fascismo, infatti, si affermò proprio attraverso l’abolizione della democrazia: attraverso l’abolizione della libertà politica, e non solo delle libertà personali e civili. In un periodo storico in cui il suffragio universale, da poco conquistato, stava consentendo a contadini e operai l’influenza politica sullo Stato, i partiti politici socialisti e popolari avrebbero potuto interferire con il funzionamento dell’economia di mercato e intervenire sulla distribuzione della proprietà privata e dei redditi da essa garantiti alle classi dominanti. In tutta Europa, come scrive Karl Polanyi ne “La grande trasformazione”, la nascita dei regimi fascisti fu la soluzione ai problemi e alle contraddizioni del sistema liberal-capitalistico che avevano messo in pericolo l’esistenza della società e avevano mostrato la necessità di porre nuovamente sotto il controllo sociale e politico l’economia. Come scrive Polanyi, a questa situazione le soluzioni erano fondamentalmente due: o il socialismo, e cioè l’estensione della democrazia all’economia (in altri termini, la fine della proprietà privata dei mezzi di produzione e la pianificazione democratica dell’attività economica), o il fascismo, e cioè l’abolizione della democrazia per tenere in piedi l’assetto capitalistico della società e dell’attività economica. La classe borghese dominante, che per decenni aveva sostenuto posizioni liberali, adottò la soluzione fascista, che Polanyi d’altra parte considera essere il “virus endemico” del liberalismo economico: non a caso i liberali hanno la propria utopia politica nel motto “economia libera in uno Stato forte”, e cioè l’economia di mercato in uno Stato autoritario non democratico. Non c’è quindi nulla di più ottuso dell’essere antifascisti e antidemocratici: la democrazia è il cuore dell’antifascismo.
3) COMUNISMO E FASCISMO.
Una delle mistificazioni ideologiche e storiche più grandi del nostro tempo è l’equiparazione di fascismo e comunismo, che purtroppo è stata persino affermata politicamente con un atto approvato dal Parlamento Europeo circa un anno fa. I liberali equiparano socialismo e fascismo sulla base di un argomento molto semplice: sia fascismo che comunismo sono ideologie collettivistiche, che mirano a ridurre l’individuo alla totalità e a dirigere la società come un tutto verso un insieme di finalità prestabilite. Ci sarebbe tanto da dire al riguardo, ma per limiti di spazio mi limito a due constatazioni.
La prima è che, storicamente, il fascismo ha intrapreso una strada collettivistica solo dopo la crisi del 1929, che causò trasformazioni politiche ed economiche che costrinsero tutto il mondo e tutti gli Stati a buttarsi su una via più autarchica, dirigistica e protezionistica. Che fossero gli USA del New deal di Roosevelt, la Germania nazista della militarizzazione autarchica, l’Inghilterra dei piani sociali o l’Italia fascista del corporativismo, tutti gli Stati furono costretti dalle dinamiche storiche a forme più o meno radicali di governo e controllo pubblico dell’economia e della vita sociale. Come scrive, ancora, Polanyi, negli anni Venti e Trenta si verificò una “grande trasformazione” che portò il mondo occidentale in una direzione ben precisa, e ad alimentare le politiche collettivistiche c’era molto pragmatismo e assai poca ideologia (anche se l’ideologia egemone nei vari Paesi e sostenuta dalle forze politiche al governo influenzò ovviamente in profondità i contenuti di questa direzione unica). Per fare un esempio relativo alla storia italiana, prima del 1929 il regime fascista aveva abolito la democrazia ma non si era ancora materializzata (se non nella retorica e nella forma giuridica) alcuna svolta “collettivistica” e corporativistica, anzi l’economia liberale continuava ad essere il riferimento principale della politica mussoliniana (basti pensare alla “quota 90” della Lira, la bandiera politica principale di Mussolini fino alla crisi del 1929).
La seconda constatazione è che i contenuti del collettivismo del fascismo e del socialismo sono profondamente diversi, non solo sul piano dell’economia (vedi punto 2) ma anche nelle questioni ideologico-culturali: nel socialismo non c’è razzismo, non c’è xenofobia, non c’è militarismo, non c’è l’ideologia della razza pura che vuole annientare i diversi e gli “inferiori”. Nell’ideologia socialista c’è invece l’idea di un popolo che si auto-organizza e, in un contesto senza classi che possiedono i mezzi di produzione, democraticamente pianifica lo sforzo economico.
Queste verità storiche ed ideologiche, nel giorno in cui celebriamo la liberazione da un regime dittatoriale grazie ad una Resistenza che fu animata da socialisti e comunisti oltre che da liberal-democratici, vanno ricordate. Contro la menzogna storica e la propaganda ideologica che vuole riscrivere il nostro passato per influire sul presente e sul futuro. Buon 25 aprile a tutti, evviva la Resistenza, evviva la Liberazione.
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