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Con il Governo di unità nazionale c’è spazio per una legge sui diritti civili?
Due o tre cose sul progetto di legge Zan
Le Camere – come noto – sono impegnate nell’approvazione di un progetto di legge per la modifica degli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. Le difficoltà di approvazione del progetto di legge, che porta come primo firmatario l’on. Zan (Pd), hanno mobilitato l’opinione pubblica, movimenti ed associazioni e molteplici sono state le campagne e manifestazioni in suo sostegno.
L’iniziativa legislativa di origine parlamentare, viene presentata alla Camera il 2 maggio 2018. È utile ricordare come all’epoca il proponente era espressione di una forza politica – il partito democratico –
all’opposizione del Governo. L’iter di prima lettura alla Camera viene invece, concluso in un contesto politico diverso che vede l’ingresso del Pd nella maggioranza del nuovo Governo Conte bis. La proposta di legge, dopo due anni dall’avvio dell’iter parlamentare, viene trasmessa al Senato il 5 novembre scorso per l’approvazione in seconda lettura. Assegnato alla 2 Commissione permanente Giustizia in sede referente, l’esame si arresta. Il pdl Zan non ottiene, infatti, la calendarizzazione dei lavori in Commissione.
Nel frattanto, la formazione del Governo Draghi ridisegna il contesto politico. Il 21 aprile il Presidente della Commissione Giustizia, l’on. Ostellari, accertata la mancanza di unanimità in sede di Ufficio di Presidenza, decide di non far votare la Commissione, sottolineando la mancanza di un accordo all’interno della maggioranza di Governo. Nei mesi precedenti il presidente della Commissione aveva già fermato l’iter con una serie di richiami al regolamento, da ultimo chiedendo l’abbinamento del pdl ad altri progetti di legge connessi.
Non è di certo la prima volta che il Parlamento stenta ad approvare una legge su quei particolari diritti civili il cui esercizio interferisce con i principi della tradizione cattolica in tema di famiglia, morale sessuale, identità di genere, etc., insomma sui temi variamente riconducibili ai c.d. temi etici. La storia repubblicana italiana è piena di esempi in tal senso, ovvero di leggi che non hanno mai concluso l’iter procedimentale, perché affossate dalle resistenze politiche maturate all’interno dei governi di coalizione. Eppure la vicenda di oggi ci restituisce un dato diverso che attiene allo specifico attuale funzionamento del Parlamento.
La materia dei diritti civili è stata durante tutta la storia repubblicana in prevalenza oggetto dell’iniziativa parlamentare. Sicuramente grande parte delle iniziative legislative in materia di diritti civili nelle esperienze di governo della c.d. seconda Repubblica sono riconducibili ad una iniziativa parlamentare. La frequenza della provenienza parlamentare delle proposte può essere spiegata considerando la difficoltà per le (composite) coalizioni di governo di assumere uno specifico indirizzo politico sui temi. In tale contesto, la politica parlamentare ha guadagnato spazi ampi di decisione, al di là della dialettica maggioranza vs opposizione, costruendo maggioranze parlamentari diverse da quella di governo. Ma anche risalendo più indietro nel tempo, di certo si ricorderà come alcuni dei principali interventi in materia di diritti civili approvati durante la prima Repubblica siano stati avviati da una iniziativa parlamentare. La legge sull’aborto, la legge sul divorzio, la legge di riforma del diritto di famiglia sono tutti progetti di legge originati da una proposta parlamentare.
Anche quella straordinaria stagione della storia repubblicana di attuazione della Costituzione ha visto, insomma, il Parlamento attore della proposta in materia di diritti civili.
Negli anni successivi, in specie, a partire dagli anni Novanta, la quasi stabile titolarità parlamentare dell’iniziativa legislativa in materia di diritti civili è apparsa riconducibile anche ad una precisa “regola” di funzionamento maggioritario del Parlamento per la quale il Governo è il titolare in via principale delle iniziative di legge comportanti oneri di spesa, rimanendo disponibili all’iniziativa parlamentare il resto. Le ragioni di spesa pubblica sono uno dei grandi argomenti a favore di una prevalenza del Governo nell’attività legislativa e di un ruolo – se così può dirsi –accessorio dell’iniziativa parlamentare, prevalentemente esercitata su temi minori, ovvero meno complessi quali in genere sono quelli riguardanti i diritti civili.
Furono di iniziativa parlamentare, la proposta del 1988 della deputata socialista Alma Agata Cappiello (PdL n. 2340, Disciplina della famiglia di fatto, del 12 febbraio 1988); le molteplici proposte presentate nel corso degli anni Novanta tra cui quella presentata da Luciana Sbarbati, pdl 2991 del 28 luglio del 1993, Disciplina della convivenza more uxorio; da Nichi Vendola, pdl 845 del 6 luglio 1994, Disposizioni in materia di unioni civili; Luigi Manconi, pdl 935 dell’11 luglio del 1996, Normativa sulle unioni civili; Gloria Buffo, pdl 2870 del 11 dicembre del 1996, Norme sulle unioni civili; Ersilia Salvato, pdl 1518 del 22 ottobre del 1996, Disciplina delle unioni civili; Graziano Cioni, pdl 2725 del 30 luglio 1997, Disposizioni in materia di unioni civili, etc. Tuttavia, nessuna di esse concluse l’iter parlamentare. E così per agli avvenire.
Fu di iniziativa parlamentare, di maggioranza, il pdl Cirinnà del 2016, il quale estendeva tutti i benefici riservati alle coppie sposate (alle coppie di fatto, anche omosessuali), pur eliminando ogni riferimento al matrimonio omossessuale. In tal caso, l’iter fu concluso e la legge approvata e la scelta della “via” parlamentare da parte del Governo conferma quanto il Parlamento sia stato sempre negli anni la sede naturale delle politiche sui diritti civili.
Quando nel 2007, infatti, quando fu il Governo a presentare uno specifico disegno di legge per l’istituzione dei c.d. DICO (su iniziativa dei ministri Rosy Bindi e Barbara Pollastrini) che regolava i diritti e doveri dei conviventi omosessuali e non, si rischiò una crisi di governo. Il ddl mise in serio pericolo la tenuta dell’accordo di coalizione per l’esplicita contrarietà di alcune forze di governo di tradizione cattolica, nel caso dell’Udeur.
Ed oggi? È realizzabile un indirizzo parlamentare autonomo sulla materia? Che possibilità ha il progetto Zan di riprendere il suo iter? L’ampiezza della maggioranza di Governo rende, invero, difficile la realizzazione di una politica parlamentare alternativa sul tema. In Consiglio dei Ministri siedono, infatti, praticamente quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento. Ciò ha come effetto che il Consiglio dei ministri funziona secondo un modello a collegialità plurima in cui l’indirizzo politico è frutto di un accordo fra le molte forze politiche governative. Nello specifico, è la presenza della Lega al Governo a rendere difficile la chiusura di un accordo sul tema.
Tuttavia, esisterebbe in astratto una maggioranza numerica in Senato che potrebbe sostenere l’approvazione del testo di legge ed è la stessa che, del resto, ha consentito la conclusione dell’iter alla Camera in prima lettura (Pd, 5S, Iv e Leu).
Per cui è difficile, ma non impossibile. Vi è la possibilità di configurare una maggioranza parlamentare alternativa che potrebbe forzare i lavori in Commissione, facendo proseguire la discussione. In caso contrario, sarebbe una esplicita scelta politica, assunta per mantenere in vita l’accordo di governo e come tale dovrebbe essere considerata.
Intanto il 28 aprile arriva uno spiraglio dalla decisione della Commissione Giustizia di calendarizzare la discussione sul progetto di legge, con il voto contrario del centrodestra, ma la nomina dell’on. Ostellari quale relatore erge in salita la strada dell’approvazione.
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