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Mariana Mazzucato e il ritorno della domanda nel pensiero economico
L’economia può essere affrontata da diverse prospettive. Una prospettiva è quella definita come “l’economia dell’offerta”, conosciuta come la ‘legge di Say’, che ha le sue radici nella spiegazione dell’economista francese Jean-Batiste Say (1767-1832). Questa teoria, più nota nella sintesi secondo cui “l’offerta crea la propria domanda”, pone l’offerta al primo posto nella catena degli eventi. Una prospettiva opposta, che si concentra sul problema della mancanza di domanda – una combinazione di eccesso di risparmio e di sottoconsumo – può essere fatta risalire all’economista inglese John Hobson (1858-1940), un precursore di Keynes. Con l’economia dell’offerta si afferma l’idea che la struttura economica di una nazione non abbia importanza; con l’economia della domanda, la struttura economica tende ad avere molta importanza.
Durante la Guerra Fredda l’economia dell’offerta – la Reaganomics statunitense – dominò la teoria e la politica economica. Le politiche dal lato dell’offerta si concentrarono sulla disponibilità di capitale, quella che Schumpeter definì ‘la visione superficiale secondo cui è il capitale in sé che fa girare il motore capitalista’.
Questa focalizzazione sul lato dell’offerta ha consentito di ignorare la caduta del potere d’acquisto e dei salari reali, ed ha portato ad un aumento della quota di ricchezza nelle mani dell’uno per cento più ricco della popolazione. In questo articolo cercherò di spiegare perché, dopo quasi 50 anni, l’attenzione si sta spostando dall’economia dell’offerta all’economia della domanda. L’economista italiana Mariana Mazzucato – direttrice e fondatrice dell’Institute of Innovation and Public Purpose dell’University College di Londra – è un personaggio chiave in questo cambiamento teorico, e di fatto, ideologico.
Lo scisma teorico iniziò immediatamente dopo la Seconda guerra mondiale. La politica economica del dopoguerra subì uno strano movimento simultaneo in direzioni opposte. Una parte comprese l’importanza dell’industria. Nel suo discorso del 1947, George Marshall, ministro degli affari esteri degli Stati Uniti, annunciò il piano di reindustrializzazione, che in seguito prese il suo nome, collegandolo ad una teoria sui problemi dell’Europa: “L’agricoltore ha sempre prodotto cibo per scambiarlo con altri generi di prima necessità prodotti dall’abitante delle città. Questa divisione del lavoro è il fondamento della civiltà moderna.” Le strutture economiche contano.
Nello stesso periodo nacque la teoria alla base dell’orientamento opposto di politica economica. In un articolo pubblicato nel 1948, l’economista statunitense Paul Samuelson ‘dimostrò’ che se si aprisse solo al libero scambio, ci sarebbe una parificazione dei prezzi dei fattori o ‘factor-price-equalization’: i prezzi dei due fattori di produzione, lavoro e capitale, mostrerebbero una tendenza ad eguagliarsi tra i paesi. Sotto questa teoria, tuttavia, c’era un presupposto non esplicitato, che tutte le attività economiche fossero qualitativamente uguali. Le strutture economiche non contano.
Anche nei paesi scandinavi – dominati dalla socialdemocrazia – stranamente sia la destra che la sinistra politica, tendevano ad abbracciare l’economia neoclassica e la fede negli effetti armonizzanti del libero scambio. Non erano d’accordo – cosa importante – sulla distribuzione, ma i loro punti di vista su come la ricchezza fosse presumibilmente creata dalla mano invisibile del mercato erano sorprendentemente simili.
La versione russa dell’economia dell’offerta – con un focus sui mercati dei capitali e sulle variabili finanziarie piuttosto che sulla produzione – fu parte dell’ideologia responsabile del crollo dei settori produttivi, nei primi anni ‘90.
Mentre l’economia neoclassica si basa sull’equilibrio, Mariana Mazzucato, seguendo le orme dell’economista austriaco Joseph Schumpeter, propone le innovazioni che rompono l’equilibrio come motore che spinge il mondo in avanti. Nella visione di Mazzucato, come spiega nel suo ultimo libro Mission Economy: A moonshot Guide to Changing Capitalism, (Allen Lane, 2021) lo Stato ritorna in scena creando innovazioni, attraverso quella che lei chiama missione, di cui un esempio tipico è la corsa allo spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Mazzucato elenca un gran numero di innovazioni negli Stati Uniti che sono arrivate come sottoprodotti non intenzionali della corsa allo spazio.
Parte del processo del secondo dopoguerra fu che la destra politica, un tempo conservatrice, divenne neoliberale. Un vero conservatore sarebbe d’accordo con l’autore Giuseppe Tomasi di Lampedusa che fa dire ad uno dei suoi personaggi “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Anche nell’economia del mondo reale si applica questa logica. Se l’età della pietra sta volgendo al termine, dobbiamo entrare consapevolmente nell’età del bronzo per mantenere il nostro tenore di vita. Invece l’economia neoclassica ci ha detto di seguire passivamente, in qualsiasi momento, il vento – cioè il Mercato – ovunque ci porti. Anche negli Stati nordici del benessere sociale, un tempo attivisti, si venne a consolidare un accordo – sia a destra che a sinistra – che il mercato doveva essere autorizzato ad agire da solo, senza interferenze.
Mazzucato ci insegna che se lo Stato si pone degli obiettivi – se si crea una missione – questo può avere molti effetti positivi. Quelli che in superficie possono sembrare grandi progetti pubblici in perdita, possono in realtà creare una domanda di cose al limite del tecnologicamente possibile. I progetti spaziali erano una missione di questo tipo, e oggi la “svolta verde” può svolgere un ruolo simile.
L’attenzione al lato dell’offerta dell’economia ha portato anche a un’attenzione esagerata sul ruolo dell’accumulazione di capitale, come se l’assurdo richiamato di Schumpeter (è il capitale in sé che fa girare il motore capitalista) fosse vero.
La prof. Mazzucato sottolinea il fatto che oggi gran parte dei profitti delle società statunitensi viene utilizzata per riacquistare le proprie azioni. Quando ho frequentato la Harvard Business School negli anni ‘70, questa pratica era proibita, perché ci fu spiegato che questo poteva portare a manipolazioni del mercato azionario. Un sottoprodotto, inoltre, è anche la finanziarizzazione: un aumento dell’economia finanziaria mentre gli investimenti nell’economia reale diminuiscono. Il divieto fu revocato nel 1982, un anno dopo l’elezione di Ronald Reagan.
Riproponendo il ruolo chiave della domanda nello sviluppo economico, Mariana Mazzucato fa rivivere il messaggio di due libri pubblicati nel 1913 dall’economista tedesco Werner Sombart ‘War and Capitalism’ e ‘Luxury and Capitalism’. La distruzione delle guerre e il consumo dispendioso del lusso sono stati importanti motori della domanda fin dai tempi di Leonardo da Vinci, che ha prodotto sia arte di lusso che progetti di carri armati.
Nel dibattito seguito ad un seminario web con la Prof. Mazzucato, un politico del partito laburista norvegese ha commentato: “quello che succede è che l’Europa sta cercando la sua storia prima di Reagan e Thatcher”. Ha anche criticato la socialdemocrazia – con Tony Blair e la Terza Via – per essersi spinta troppo oltre riguardo al ruolo di armonizzazione del mercato. Secondo me ha davvero colpito nel segno.
Questo politico ha definito Mariana Mazzucato ‘l’economista più importante del mondo’. A questo punto, in qualità di professore onorario presso il suo istituto all’University College di Londra, dovrei segnalare che non sono un osservatore neutrale.
Traduzione di Monica Di Fiore.
Immagine originale a cura di Knut Løvås, knutlvas@gmail.com
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