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A proposito del dibattito pubblico sul DDL Zan
Il dibattito politico intorno al DDL Zan mostra come l’omo-lesbo-bi-transfobia, l’abilismo e la misoginia e, in generale la paura per la diversità, sia un problema radicato nella nostra cultura. Ed anzi, la fotografia del paese che ne è emersa è forse ancora più desolante della narrazione.
Desolante per le menzogne che si sono subdolamente introdotte ed alimentate nel dibattito pubblico e politico, in primis, da parte di alcune femministe, che hanno parlato del fantomatico rischio che il DDL Zan introduca e permetta la prostituzione, la gestazione per altri e il self-id per le persone trans[1] (argomentazioni sul genere magistralmente smontate dalla Prof.ssa Tamar Pitch[2]). Menzogne che nelle frange più estreme della destra italiana giungono a sostenere persino cose assurde, tipo che con il DDL Zan “si potrà scegliere l’orientamento sessuale verso cose, animali, e o persone di ogni genere e, perché no, anche di ogni età, fino al punto che la poligamia come l’incesto non saranno più un tabù, ma libertà legittime”[3].
Desolante per il tentativo continuo di mistificare la realtà rispetto a concetti giuridicamente e socialmente già acquisiti: emblematico il caso dell’identità di genere, nozione che indica la percezione che ognuno ha del proprio sé come maschio o come femmina, che non troverebbe ingresso nel nostro ordinamento tramite il DDL Zan, perché già da tempo recepita dal legislatore[4] e dalla stessa Corte costituzionale[5].
Desolante per l’ingresso a gamba tesa del Vaticano nel confronto legislativo e politico italiano in corso[6], che almeno ci ricorda chiaramente che il punto nodale della faccenda è che la costruzione di genere che la nostra cultura – anche giuridica – “deve preservare” è quella dell’antropologia cattolica che impone l’eterosessualità come modalità normale del rapporto fra genere maschile e genere femminile, quest’ultimo rigorosamente subordinato al primo!
Desolante per la volontà generalizzata di non voler arrivare al cuore del problema, che rimane la tutela effettiva della dignità di tuttɜ e di ciascunə[7]. Perché a furia di sofisticare le analisi e le posizioni politiche e religiose, si finisce per perdere di vista la vera e semplice posta in gioco: la dignità della persona. Ce lo ricordava molto bene Stefano Rodotà nell’evidenziare come, rispetto alle differenti dinamiche dell’indegnità, una via che continua drammaticamente ad accompagnarci è quella che utilizza gli strumenti giuridici esistenti per costruire “categorie di indegni” nei cui confronti ogni aggressione diventa legittima[8]: è quando il diritto diventa complice di ciò che è necessario e urgente intervenire in modo coraggioso e netto. Contro i prepotenti.
Perché possiamo anche essere tutti d’accordo che lo strumento penalistico rimane quello fra i meno appropriati (eppure, giustamente, il reato di mutilazioni genitali femminili lo abbiamo introdotto senza storcere troppo il naso…[9]); e che occorrerebbe intervenire sulla cultura[10], magari incentivare l’utilizzo di altri strumenti giuridici (anche privatistici come la responsabilità civile).
Perché si può anche essere, condivisibilmente, contrari all’utilizzo simbolico e pedagogico del diritto penale e ai reati di opinione in generale (per quanto, nel caso del DDL Zan, non si tratti di reati di opinione)[11], ma posto lo status quo giuridico, culturale e sociale, bisognerà pure dare una risposta rapida e concreta ai dilaganti episodi di persone che vengono aggredite ferocemente a causa del proprio orientamento sessuale, del proprio genere, dell’identità di genere manifestata, della propria diversabilità[12].
Posto allora che ci sono cittadine e cittadini che continuano ad essere quotidianamente trattatɜ come indegni e indegne, come paese (presumibilmente) laico e civile, vogliamo incentivare o disincentivare questi episodi di violenza e di istigazione all’odio? Occorre davvero rispondere a questa domanda in modo secco, perché siamo – già da tempo – alla famosa extrema ratio che giustifica l’intervento del diritto penale: sì o no! Senza se e senza ma.
Perché ormai dovrebbe essere chiaro, al di là delle contro-narrazioni, che il DDL Zan non introduce alcun nuovo reato (come pure si è sentito dire…), bensì estende le protezioni già oggi previste dagli artt. 604 bis e ter del codice penale per gli atti di odio fondati su motivi razziali, etnici o religiosi ai reati motivati dall’odio verso l’altro/a in ragione del sesso, dell’orientamento sessuale, del genere, dell’identità di genere e dalla disabilità. Questi articoli, si ribadisce, puniscono già oggi le condotte di a) chi propaganda oppure istiga a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; b) chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
E quindi, posto che non vi sono state alzate di scudi tanto vili e meschine contro la legge Mancino, vogliamo riconoscere anche a donne, disabili e appartenenti alla comunità LGBTI+ la stessa dignità delle persone aggredite per motivi etnici o razziali, oppure no? L’alternativa è continuare a considerare meno degne di tutela dalla violenza bruta queste categorie di persone, continuandole non solo ad esporle ad atti violenti e discriminatori, ma legittimando culturalmente e socialmente questi stessi atti.
Ridicolo appare, infine, l’appigliarsi alla libertà di manifestazione del pensiero, non tanto perché, in generale, tutti i diritti fondamentali debbono essere bilanciati con altri diritti fondamentali, per garantire sia l’uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost., comma 2) sia, soprattutto nei casi che ci interessano, il libero sviluppo della persona (art. 2 Cost.); non tanto, ancora, perché lo stesso strambo art. 4 del DDL Zan, già frutto di compromesso politico con le forza dell’opposizione, esclude che la libertà di opinione possa essere “intaccata” da questa legge (come se ce ne fosse davvero bisogno!); quanto perché la “libertà di manifestazione di pensiero” di chi si oppone al DDL Zan è una libertà (non tutelata in nessun paese democratico e pluralista) di poter continuare a istigare alla discriminazione o alla violenza contro donne, disabili, appartenenti alla comunità LGBTI+. Per la serie: non possiamo più menare e fare propaganda d’odio contro “i rom e i negri”, almeno lasciatecelo fare contro stɜ bruttɜ puttanɜ, storpiɜ e frociɜ!
Vogliamo davvero continuare ad essere indifferenti a questa cultura machista e trovare argomenti per difendere i prepotenti e questa loro “non libertà”?
[1] Si tratta di un argomento fantoccio (fallacia logica) con cui si rappresenta in modo distorto o errato una posizione altrui al fine di poterla attaccare con maggiore facilità. Sul punto si veda l’articolo ben documentato di S. Ponti, Tutte le fake news della minoranza femminista e Lgbti+ che chiede modifiche del ddl Zan, in Gaynews, 9 maggio 2021, al link https://www.gaynews.it/2021/05/09/fake-news-minoranza-femminista-e-lgbt-modifiche-ddl-zan/.
[2] Cfr. T. Pitch, “Sul disegno di legge Zan”, post pubblicato in Studi sulla questione criminale online, consultabile al link: https://studiquestionecriminale.wordpress.com/2021/05/06/sul-disegno-di-legge-zan/.
[3] Parole della Garante dell’Infanzia dell’Umbria, Maria Rita Castellani: vedi https://www.ansa.it/umbria/notizie/2021/07/07/ddl-zan-associazioni-chiedono-revoca-garante-infanzia-umbria_37a44e1c-2dc2-4a0c-9856-f9a7d6e03506.html.
[4] Con riferimento all’ordinamento giuridico interno, si pensi gli artt. 1 e 14 dell’Ordinamento penitenziario (legge n. 354/1975), che riconoscono nell’identità di genere un fattore di vulnerabilità della persona detenuta; l’art. 19 del Testo unico sull’immigrazione (D. lgs. n. 286/1998), che vieta «il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale, di identità di genere»; le diverse leggi regionali recanti «norme contro le discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere» (Toscana, legge reg. n. 63/2004; Liguria, legge reg. n. 52/2009; Marche, legge reg. n. 8/2010; Piemonte, legge reg. n. 5/2016, etc.).
[5] Per la Corte costituzionale il diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona (art. 2 Cost. e art. 8 della CEDU): vedi sentenza n. 221/2015 e sentenza n. 180/2017. Per altro, è doveroso sul punto un altro rinvio all’articolo di Tamar Pitch, supra cit. che specifica chiaramente che nel caso della legge Zan «si vogliono proibire comportamenti che discriminano o istigano alla violenza nei confronti di persone individuate, da chi commette il reato, sulla base della loro identità di genere: qui identità di genere sta ad indicare il genere scelto dalla persona in questione (dopo un percorso medico e psicologico difficile e complesso), che differisce o può differire rispetto al genere attribuito alla nascita».
[6] Si legga V. Miri, Il ddl Zan non vieta alla Chiesa di fare la Chiesa (se questa era la paura del Vaticano), in Wired, 23 giugno 2021, al link https://www.wired.it/attualita/politica/2021/06/23/ddl-zan-non-vieta-chiesa-scuola-vaticano/.
[7] Cfr. V. Gheno, Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, Effequ, 2019.
[8] Cfr. S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma – Bari, Laterza, 2012, in particolare p. 200 ss.
[9] Legge n. 7/2006.
[10] Cosa che peraltro il DDL Zan fa nella seconda parte: gli artt. 7 – 10 contengono difatti disposizioni di natura propositiva, finalizzate a perseguire il fine della prevenzione dei fenomeni di violenza e discriminazione mediante azioni istituzionali, interventi educativi e attività di promozione socio-culturale. Il problema vero è che ci si oppone anche a questo tipo di interventi, ritenendo che si tratti di vettori dell’ideologia gender (qualsiasi cosa significhi), pur di non ammettere che non si vuole un paese davvero inclusivo e rispettoso di tutte le diversità. Anzi, peggio, che si vuole essere liberi di agire violenza contro determinate persone…
[11] Cfr. D. Pulitanò, Sulla discussione sul DDL Zan, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 7-8, che specifica come il «divieto penale di commettere atti di discriminazione (fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità) deve intendersi riferito a comportamenti materiali; non a manifestazioni espressive. Non rientra nella fattispecie ‘atti di discriminazione’ l’espressione di giudizi».
[12] Cfr. S. Ponti, Il Ddl Zan spiegato articolo per articolo, al link https://www.oralegalenews.it/magazine/zan/14931/2021/, il quale, ad esempio, ricorda come sono almeno 25 anni che si cerca di introdurre una legge contro i crimini e i discorsi d’odio di matrice omotransfobica, con le proposte e i disegni di legge Vendola (1996), Grillini (2002 e 2006), Di Pietro (2009), Concia (2009 e 2011) e Scalfarotto (2013).
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