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Omolesbobitransfobia e libertà di pensiero: una conversazione sul d.d.l. Zan
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo di una conversazione sul d.d.l. Zan organizzata dal Movimento Identità Trans [https://mit-italia.it] e condotta dall’Avv. Antonietta Cozza che dialoga con il Prof. Francesco Schiaffo, docente di diritto penale e di criminologia presso l’Università degli studi di Salerno.
[A.C.] Secondo lei, con l’approvazione del d.d.l. Zan rischia di essere limitato il diritto alla libera manifestazione del pensiero?
[F.S.] La domanda ipotizza e pone immediatamente un problema di effettività delle disposizioni che, nell’ordinamento giuridico, sarebbero introdotte o, meglio, modificate con il d.d.l. Zan. Come è noto, sarebbe ampliato, in particolare, l’ambito di applicabilità di alcune ipotesi già previste dalla legge come reato. Si tratta, come per ogni fattispecie di reato prevista dalla legge, di disposizioni che, già solo per il fatto di essere in vigore, sono minacce legali di pena che limitano la libertà o, almeno, la serenità di certe nostre azioni. Si tratta, allora, di considerare innanzitutto la descrizione legale delle condotte incriminate ovvero che potrebbero essere punite, di valutare, poi, la legittimità della scelta legislativa di attribuire ad esse rilevanza penale e di verificarne, infine, anche la potenziale effettività. Mi sembra una precisazione importante ovvero una definizione di contesto e di aspetti utile ad affrontare qualsiasi analisi giuridica.
[A.C.] Vogliamo provare ad applicarla?
[F.S.] A me sembra evidente che il problema si pone innanzitutto perché tutti condividiamo la illegittimità delle limitazioni del diritto alla libera manifestazione del pensiero. Sembra che almeno questo non sia un problema. Sembra che su questo siamo tutti d’accordo. Ma temo che, in realtà, non sia così.
[A.C.] Perché?
[F.S.] Perché esistono le eccezioni. Esiste il “sì, però”. Provocatoriamente potrei dire che esiste, purtroppo, il nostro pensiero e il pensiero degli altri e che quest’ultimo può essere innocuo ma può anche essere considerato pericoloso. Ma, per dirla con Carlo Fiore, grandissimo penalista napoletano, Maestro e pioniere della critica dei reati di opinione, l’essenza pratica della libertà di opinione è tutta nel suo essere pericolosa.
[A.C.] Quindi la libertà di opinione non va limitata mai?
[F.S.] Il problema è che per ogni regola esiste la possibilità dell’eccezione. I penalisti le chiamano cause di giustificazione, ma persino la regola secondo cui va punito chiunque cagiona la morte di un uomo conosce almeno un’eccezione e si chiama legittima difesa. In criminologia, invece, lo stesso argomento diventa ‘autogiustificazione’ e sono le tecniche di neutralizzazione dei freni inibitori: l’esito è il crimine. Per la nostra regola, invece, no: la possibilità dell’eccezione non deve esistere. In quanto semplice manifestazione di pensiero, quello che comunque è essenzialmente destinato a convincere gli altri, è una libertà che non può essere limitata. Mai.
[A.C.] Ma il d.d.l. non introduce nuove fattispecie di reato. Semplicemente ne integra altre che già esistono ampliandone l’ambito di applicabilità. O sbaglio?
[F.S.] Esattamente. È proprio così. Ma, posto che qualsiasi opera dell’ingegno umano è perfettibile, è proprio questo uno dei margini di miglioramento del d.d.l.. Anzi, probabilmente è l’unico. Di sicuro il più importante. Perché davvero non riesco a vedere le ragioni per cui gli obiettivi del d.d.l. – che sono condivisibilissimi, assolutamente urgenti dato il ritardo accumulato finora e doverosi dati molti principi costituzionali – debbano essere perseguiti anche con discutibili strategie legislative che a me paiono contrarie agli stessi principi condivisi con il d.d.l. Zan: principi di libertà, pluralismo, rispetto e inclusione di qualsiasi preziosissima differenza.
[A.C.] Ma stiamo parlando dell’ampliamento dell’ambito di applicabilità di disposizioni che già esistono nel nostro codice penale.
[F.S.] Che pure non è un testo sacro. Il primo e soprattutto il costante riferimento, invece, deve essere sempre e comunque la Costituzione. Citando la Corte costituzionale che ne è l’interprete per eccellenza, potremmo dire che il diritto alla libera manifestazione del pensiero affermato all’articolo 21 è «pietra angolare dell’ordine democratico». È garanzia di pluralismo e, come ogni occasione di confronto con chi è o appare diverso da noi, è sempre occasione di crescita, individuale o collettiva. Un sano e libero confronto con l’idea diversa, anche se sbagliata, rafforza la consapevolezza e la convinzione di quella giusta ovvero ne precisa ulteriormente definizione e implicazioni. In una prospettiva collettiva, inoltre, comunque ne amplia la diffusione. Questa è la funzione pratica della libera manifestazione del pensiero: la partecipazione politica, quella nobile, fatta di dibattiti e confronti con chi la pensa diversamente, magari in occasioni molto diverse da quelle utili solo a momentanee aggregazioni di consensi elettorali. Quella che sola ci permette di crescere come individui e come comunità. Oppure, per dirla sempre con le parole della Costituzione, quella che è lo strumento essenziale dell’individuo per creare «le formazioni sociali ove si svolge la sua personalità»: stiamo parlando dell’articolo 2, non di uno degli ultimi articoli della Costituzione!
[A.C.] E il codice penale?
[F.S.] Il nostro codice penale risale al 1930, ottavo anno del ventennio fascista! Nel suo DNA non c’è democrazia e non c’è pluralismo. E infatti prevedeva numerose ipotesi di reati di opinione sulle quali la dottrina del diritto penale, la dottrina del diritto costituzionale e soprattutto la Corte costituzionale hanno molto lavorato. Esemplari sono state le interpretazioni condivise anche dalla Corte costituzionale delle fattispecie di istigazione a delinquere e di apologia di delitto previste all’articolo 414 del codice penale. Spero sia chiaro: stiamo parlando di pensieri criminali ovvero anche dei pensieri più pericolosi che possano esserci. Eppure anche in quel caso la dottrina giuridica e pure la Corte costituzionale hanno lavorato per affermarne il diritto alla libera espressione e arginare mostruose applicazioni giurisprudenziali che c’erano state anche in epoca repubblicana. Tra gli imputati di processi per istigazione ed apologia abbiamo avuto, negli anni Novanta (quindi non nell’immediato dopoguerra!), Carlo Sergio Signori, artista e scultore che realizzò un monumento a Gaetano Bresci, l’anarchico assassino di Umberto I, e che nottetempo collaborò anche alla relativa installazione su suolo pubblico. Prima di lui, per istigazione dei militari a disobbedire alle leggi, furono processati padre Ernesto Balducci e addirittura don Lorenzo Milani. Quest’ultima mi sembra veramente una vicenda estremamente ed efficacemente rappresentativa di quella che Carlo Fiore chiama la “funzione pratica della libertà di opinione”.
[A.C.] Perché?
[F.S.] Entrambi avevano pubblicamente criticato il servizio militare di leva e, specificamente, la previsione del reato di renitenza alla leva per chi se ne sottraeva. Che ne è, oggi, dell’obbligo del servizio militare di leva?
[A.C.] Non esiste più.
[F.S.] Appunto. La loro opinione, liberamente e pubblicamente manifestata e puntualmente perseguita dalla autorità giudiziaria, ha anticipato l’evoluzione sociale. Ovvero ha contribuito alla crescita sociale. Può accadere anche questo con pensieri che, sul momento, ci appaiono intollerabili. Ma non accadrà mai o accadrebbe in tempi molto più lunghi se non lasciamo la libertà di esprimerli. Se non lasciamo la libertà di esprimere tutti i pensieri che ci appaiono odiosi e tra i quali non siamo subito capaci di discernere.
[A.C.]Torniamo ancora al codice penale. Quelle fattispecie di reato esistono ancora. Anzi: il d.d.l. Zan interviene ad ampliare altre fattispecie di istigazione che sono state introdotte in tempi recenti.
[F.S.] È vero. L’articolo 414 del codice penale è ancora in vigore. E il d.d.l. Zan interviene a modificare, sia pur con operazioni chirurgiche, l’articolo 604 bis che è stato introdotto nel codice penale tre anni fa. Sotto quest’ultimo profilo, citando un altro Maestro del diritto penale, Sergio Moccia, potrei dire che «il reato d’opinione è un evergreen repressivo». È comunque intollerabile e rappresentare le ragioni per cui accade anche in epoca repubblicana sarebbe troppo complicato e ci porterebbe fuori strada. Ma tant’è: nihil novi sub sole. Ma soprattutto anche in riferimento all’articolo 604 bis, con o senza le integrazioni proposte con il d.d.l. Zan, restano comunque le acquisizioni ormai consolidate del dibattito a cui prima facevo riferimento e che nel corso di decenni si è sviluppato nella dottrina e nella giurisprudenza intorno alle fattispecie di istigazione ed apologia di cui all’articolo 414 del codice penale.
[A.C.] Sono incriminate condotte simili?
[F.S.] In parte sì. Aggiungendo ogni volta le stesse parole, il d.d.l. Zan non modificherebbe le modalità di realizzazione delle condotte già previste all’articolo 604 bis. Si tratta, in particolare, di condotte – provo a riproporle pressoché testualmente – di propaganda di idee, di istigazione, di partecipazione oppure di assistenza alle attività di associazioni, movimenti o gruppi. Attualmente queste condotte assumono rilevanza penale se sono realizzate in riferimento a idee di superiorità razziale, etnica o religiosa che, in un caso molto specifico tra quelli previsti all’articolo 604 bis, sarebbero affermate anche evocando – rectius: istigando – comportamenti violenti. In quest’ultimo caso, in realtà, è punita non solo l’istigazione ma anche la realizzazione diretta di comportamenti violenti. Questo, però, non riguarda il nostro problema: evidentemente la violenza non è manifestazione di pensiero e penso che tutti siamo d’accordo sulla sua rilevanza penale.
[A.C.] Quindi comunque condotte di “istigazione”?
[F.S.] Accanto alle altre, sì. Con l’approvazione del d.d.l. quelle condotte descritte all’articolo 604 bis sarebbero riferite anche all’orientamento sessuale, al genere, alla identità di genere e anche alla disabilità. Tutti concetti che, peraltro, sono opportunamente definiti nel primo articolo del d.d.l.. Tecnicamente è una norma definitoria che potrebbe essere un espediente legislativo utile a rispettare uno dei fondamentali criteri di legittimità di tutto il diritto penale, rappresentato dalla precisione delle proprie disposizioni: solo con ipotesi di reato descritte dalla legge con precisione e senza ambiguità è garantita la funzione essenziale del diritto penale che è quella di tutelare con certezza spazi di libertà e trasformare, nelle altre ipotesi, la violenza punitiva in legittimo potere punitivo dello Stato.
[A.C.] Anche per queste fattispecie, quindi, vale e varrebbe, dopo l’eventuale approvazione del d.d.l. Zan, l’elaborazione della interpretazione dell’articolo 414 a cui faceva riferimento prima?
[F.S.] Certo. Secondo quella lunga e faticosa elaborazione, l’istigazione, per avere legittima rilevanza penale, non può essere mera manifestazione di pensieri, volontà e propositi criminosi, ma deve essere «quasi un’azione», sosteneva Paolo Barile, splendido costituzionalista. Deve essere, cioè, dettagliata e precisa e soprattutto idonea a provocare non solo l’adesione, ma anche l’azione delittuosa altrui. Così anche l’apologia di delitto: non può essere semplice elogio del delitto realizzato da altri. In uno Stato laico e pluralista, infatti, anche questa sarebbe una legittima e, quindi, libera manifestazione di pensiero. Per essere legittimamente punibile, l’apologia di delitto deve essere realizzata in modo da essere idonea a provocare, in futuro, l’emulazione altrui del comportamento criminoso elogiato. Il problema però potrebbe essere un altro.
[A.C.] Quale?
[F.S.] L’idoneità. Sull’idoneità si è lavorato anche con la legge n.85 del 2006 che è intervenuta sui reati di opinione previsti nel codice penale sin dal 1930, eliminandone alcuni e riformulandone altri, aggiungendo spesso il riferimento alla idoneità offensiva della condotta. Alla idoneità aveva fatto riferimento anche Ettore Gallo, giudice e presidente della Corte costituzionale, altro Maestro del diritto penale e, prima ancora, partigiano durante la seconda guerra mondiale. Nel 1996, ormai Presidente emerito della Corte, intervenne con un articolo, pubblicato su una rivista scientifica, a proposito di una vicenda giudiziaria che aveva coinvolto alcuni esponenti della Lega Nord che avevano manifestato per la secessione: anche in quella occasione, Ettore Gallo sosteneva la necessità della idoneità della condotta a provocare realmente la secessione. Il problema è che stiamo parlando di manifestazioni di pensiero idonee ad indurre altri ad agire di conseguenza. La idoneità significa, allora, non diagnosi sul nesso causale tra un’azione e un evento già accaduti, ma prognosi su quanto, in conseguenza di una azione già accaduta, potrebbe accadere in futuro. Ed è, peraltro, una prognosi su nessi causali di tipo psichico. È evidente la compatibilità molto marginale di queste ipotesi con i criteri di precisione e certezza su cui si fonda la legittimità del diritto penale. Il diritto penale chiede «fatti», che è innanzitutto il participio passato del verbo fare. Lo chiede la Costituzione all’articolo 25 e lo ribadisce per tre volte il codice di procedura penale quando, all’articolo 187, definisce l’oggetto della prova: fatti, fatti, fatti!
[A.C.] Se ho inteso bene, stiamo parlando del terzo profilo che avevamo definito all’inizio. Stiamo parlando della effettività delle modifiche legislative che sarebbero introdotte, giusto?
[F.S.] Giusto. Stiamo parlando della possibilità di essere realmente applicate che hanno e devono avere le norme giuridiche. Le ipotesi di reato che, per come sono strutturate nella previsione legislativa, rischiano di risolversi in reati di opinione, hanno un margine di legittimità molto stretto che le espone comunque ad un altissimo rischio di ineffetività. I penalisti, rifacendosi ad un antico insegnamento di Paul Anselm Feuerbach e ad una storica sentenza del 1981 della Corte costituzionale, oggi la chiamano «determinatezza»: la legge penale può prevedere come reato solo fatti che possono essere provati in giudizio. In fondo è un’altra implicazione della certezza e della precisione.
[A.C.] In conclusione?
[F.S.] Tutto è perfettibile, come sempre. E forse potrebbe essere opportuno, per tante ragioni, intervenire sull’argomento comunque con la migliore proposta possibile. Il d.d.l. Zan ha dimostrato che è possibile e lo fa: io credo che la disposizione di cui all’articolo 4 sul pluralismo delle idee sia un piccolo capolavoro di mediazione e va letta affrancandosi da qualsiasi prospettiva di parte e riferendola, invece, a tutti – ribadisco: tutti! – i «convincimenti», a tutte le «opinioni» e a tutte le «idee». Va letta per come è chiaramente scritta: ne è «fatta salva la libera espressione».
[A.C.] E il diritto penale?
[F.S.] Il diritto penale è e deve restare soluzione di extrema ratio. E la politica criminale è e deve restare la extrema ratio delle politiche sociali. Come disse Gesualdo Bufalino dopo gli attentati del 1992, la mafia non si combatte con i militari, ma con un «esercito di maestre elementari». L’omofobia e le discriminazioni non si combattono minacciando pene, ma con la cultura e, probabilmente, con una sana educazione, anche sessuale.
[A.C.] Grazie.
[F.S.] Grazie a Lei, a chi pubblicherà queste mie considerazioni e a chi vorrà leggerle. Anche se solo per rifiutarle o, magari, criticarle.
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